La vigilia soporifera del derby

Le cronache di Monsù
26 febbraio 1967

E che sia un derby signorile, pacato, educato: Monsù Poss, torinista moderato, lo desiderava così. E' molto importante per la classifica - per quella della Juventus, s'intende. Finirà zero a zero, con Sarti in ospedale dopo aver ricevuto una pallonata in testa. Così la Juve non accorcerà le distanze sull'Inter, inchiodata a San Siro dal Lecco ma con la testa già alla partita di coppa col Real. Il vecchio CU sarà stato contento.

Il pareggio ottenuto ieri dal Lecco sul campo di San Siro contro l'Inter raddoppia l'importanza dell'odierno «derby» torinese, almeno per quanto riguarda la Juventus. E' evidente che i bianconeri devono puntare al successo pieno per ritornare a due sole lunghezze dalla squadra capolista. Questo aumenta il loro impegno e dà un tono ad un confronto che prima dell'inatteso risultato di Milano si presentava sotto un aspetto speciale, un po' diverso dal solito. Un aspetto, diremmo, quasi pacifista. Classifica a parte, della gara si parla meno del consueto. Non si intendono propositi bellicosi in giro. Non si parla di lotta a fondo. Ognuna delle due parti in causa pensa ai casi suoi con la dovuta concentrazione e con la serietà che il caso esige, ma con tranquillità, con raccoglimento quasi. 
Noi diciamo sinceramente che, posti nel caso di dovere fare una scelta, daremmo la preferenza a questo tipo di incontro casalingo, nei confronti con l'altro, quello che è diventato fin troppo consuetudinario. Di guerre, di conflitti violenti, di scoppi polemici ne abbiamo visti e vissuti fin troppi. Meglio un incontro piano, liscio, sereno, improntato a rivalità, non ad invidia o, peggio ancora, ad astio: un incontro che rassomigli un po' come ad una discussione fra persone che la pensino diversamente l'una dall'altra, ma che reciprocamente si rispettino. 
Tanto, fondere non si fonderanno mai, e l'un contendente, pur tenuto calcolo degli inevitabili corsi e ricorsi storici, non soverchierà mai l'altro. Sono comandati, dalla sorte, a convivere. Meglio che convivano in pace, in serenità, senza grossi urti né grandi screzi. Tanto, una volta che le due squadre sono sul campo, la combattività e la schietta sincerità della lotta non ne scapitano, non ne vengono menomamente a soffrire. Basta il pungolo dell'amor proprio a fare sì che il confronto sia vivace ed interessante. Un confronto fra granata e bianconeri in cui gli spettatori siano portati a sonnecchiare, è cosa impossibile da concepire.
Quest'atmosfera di calma e di tranquillità che circonda l'ambiente — atmosfera forse più apparente che sostanziale — è un po' una conseguenza del momento che i due sodalizi attraversano proprio ora. L'uno dei due punta verso l'alto, vuole aspirare al primato, accampa dei diritti, è attratto da un traguardo luminoso e ben definito. L'altro se ne sta a metà classifica, non ha grandi noie, non ha a che fare con grosse aspirazioni, né grossi pericoli. Le sue ambizioni, se mai, le riserva e le riversa tutte sulla stagione prossima. Decadere non può, salire molto nemmeno. 
Ogni tanto qualcuno sonda il terreno, spargendo in esso la voce di diserzioni e di dimissioni: punzecchiature che non disturbano, tanto la loro origine viene subito scoperta. Dieci lunghezze di classifica separano al momento attuale l'una compagine dall'altra. Nessuna gelosia di posti le divide quindi. E' vero piuttosto che queste distanze non costituiscono un elemento di grande importanza negli incontri stracittadini. Basta il confronto per dare incentivo alla prova. 
Il momento che attraversiamo è particolare anch'esso. In tanti, in troppi incontri, una quantità non disprezzabile di spettatori accenna a disertare i campi di gioco, disgustata forse dal modo in cui vanno le cose. Bisogna dire in chiari termini che né la Juventus né il Torino, né in fatto di tecnica né nel campo della politica sportiva, hanno assunto atteggiamenti che possano in qualunque modo urtare il senso sportivo delle persone per bene. 
Ambedue le società torinesi sono rimaste fedeli ai principi morali di una volta: ambedue per l'attaccamento e la fede che portano ai loro vecchi colori. E' una dote, questa, che, lungi dal dividerle, umanamente, ineluttabilmente le unisce. Per questo, esse meritano che il pubblico continui a seguirle, e che oggi accorra numeroso e le applauda entrambe: la vincitrice e la perdente. Nella loro dirittura esse rappresentano il vecchio Piemonte, che rifiuta di sgretolarsi. 
Il pronostico è favorevole alla Juventus: è evidente. Il che non vuole dire affatto che la partita debba avere un colore ed un carattere unilaterali. L'amor proprio — quella dote che confina cosi da vicino con l'orgoglio — porta spesso a compiere imprese da miracolo. Ambe le squadre hanno qualche grattacapo per quanto concerne la formazione dell'undici da mettere in campo: il Torino per il portiere Vieri, la Juventus per il difensore Bercellino. Problemi che forse a quest'ora sono già risolti. Comunque la battaglia sarà bella. Deve essere bella, con l'atmosfera che su di essa aleggia.

"La Stampa", 26 febbraio 1967