Leale battaglia tra due forti squadre

L'ultima coppa del mondo

31 luglio 1966


Una partita che va raccontata partendo dalla fine, risolta da una decisione contestata. Pozzo ha potuto così assistere alla sua ultima finale del campionato del mondo, "il più clamoroso che sia stato mai organizzato", ed è testimone dell'unico successo internazionale conseguito dalla nazionale albionica, dal calcio che (per lui) era quello dei maestri. Quattro anni dopo, in Messico, lui non ci sarà.


Londra, 30 luglio.
L'Inghilterra ha finalmente vinto il suo primo titolo mondiale battendo la Germania per 4 a 2 a Wembley in una drammatica gara di chiusura di un grande torneo, gara decisa soltanto dai tempi supplementari. Emozioni su emozioni, proprio quando nessuno se lo aspettava più. Parliamo prima di tutto della fase terminale dei novanta minuti regolamentari, che ha deciso di ogni cosa
Si era giunti a 13 minuti dalla fine del secondo tempo sull'1 a 1 (reti di Haller ed Hurst) ed ognuno si era già convinto nel suo intimo che si dovesse passare ad un supplemento di gioco per arrivare a una decisione definitiva. Proprio allora invece l'Inghilterra andava in vantaggio in modo più casuale che altro. Un tiro sbagliato di Bobby Charlton provocava un rinvio affrettato del difensore tedesco Schulz; proprio sull'asse del campo e quasi al centro dell'area si trovavano due degli attaccanti inglesi: Peters, l'ala sinistra, era il primo a intervenire e la palla più che venirgli passata da un compagno gli giungeva come per caso nei piedi. Egli avanzava diritto innanzi a sé mentre il pur valoroso portiere Tilkowski non si muoveva dal centro della porta. Peters avanzava ancora e tutto libero come era non aveva difficoltà a far partire un tiro a mezz'altezza che mandava a finire irrimediabilmente la palla nella rete. Faceva due a uno. E rimanevano solo tredici minuti di gioco. 
Fu qui che la squadra della Germania diede prova di un coraggio davvero ammirevole. Invece di abbattersi per l'infortunio subito, la intera compagine si scaraventava in avanti nel disperato tentativo di risalire lo svantaggio. Le maglie bianche dei tedeschi erano scatenate e invadevano l'area di rigore dei loro avversari, come delle furie. Gli inglesi si difendevano con parecchio nervosismo e con alquanta confusione anche. Calci di punizione su calci di punizione, e le occasioni del pareggio giungevano con relativa frequenza. Sulla sinistra dell'attacco Held ed Overath, specialmente il primo, giungevano più di una volta ad um soffio dall'acciuffare il pareggio. Tensione generale e nervosismo giunto al massimo in tutti quanti, spettatori che gridavano, gente che in piedi si agitava urlando. 
Si arrivava cosi all'ultimo minuto del secondo tempo. Jack Charlton, il centromediano inglese, commetteva un fallo sulla sinistra dei tedeschi alcuni metri fuori dell'area di rigore. La punizione veniva ripresa da Emmerich e la palla spioveva alta al centro dell'area. Tiri che rimbalzavano sui difensori, finché la sfera andava a finire a mezzo metro dal lontano montante. Qui due o tre giocatori germanici si precipitavano in avanti assieme al portiere Banks. Due, tre o più ripicchi, e finalmente il terzino Weber che era accorso fin lì anche lui, sospingeva la palla in rete. 
Il fatto e l'intera situazione diventavano di colpo drammatici. Gli inglesi che già erano arciconvinti di avere il successo in tasca si vedevano costretti al pareggio esattamente a un mezzo minuto dalla fine. Essi reclamavano presso l'arbitro, ma il medesimo confermava senz'altro la regolarità del punto. Faceva due a due e bisognava per forza passare ai tempi supplementari. 
I giocatori delle due squadre erano sfiniti. Lo sforzo sostenuto li aveva letteralmente logorati. Alcuni si gettavano a terra, altri cercavano disperatamente qualcosa da bere durante l'intervallo fra ì tempi regolamentari e quelli supplementari. Tutti quanti avrebbero molto volentieri fatto a meno di continuare a giocare per un'altra mezz'ora. 
Quando l'arbitro, che come per pietà aveva concesso un paio di minuti di riposo alle due squadre, dava il segnale della ripresa dei gioco, ognuno si rimboccava le maniche e riprendeva a combattere. Tanto che, dopo alcuni minuti, le azioni diventavano più veloci di prima. E finiva per essere questo il periodo più vivace di tutta la gara. Attivissimo era il più giovane degli inglesi, l'ala destra Ball. Egli non tardava a far partire un gran tiro basso, e il portiere tedesco rispondeva con con una parata di grande classe. Gioco alterno, con minaccia di pericolo per ambo le parti. Si giungeva così all'11' del primo tempo supplementare. 
Era allora che avveniva l'incidente che doveva ufficialmente decidere dell'assegnazione del titolo di campione del mondo, lasciando dietro di sé discussioni tanto accanite quanto oramai inutili. La mezz'ala destra Hurst piombando violentemente sulla palla faceva partire un tiro alto di grande potenza. La palla, malgrado il gran balzo del portiere Tilkowski, andava a picchiare sotto la sbarra trasversale della porta, rimbalzando poi direttamente in campo. Tutti si volgevano allora verso l'arbitro, in attesa della sua decisione. L'arbitro stesso dichiarava a tutta prima che la palla non era entrata in rete, con un gesto vivace che tutti vedevano; ma suscitava così le vivaci reazioni di tre o quattro dei giocatori inglesi che pretendevano che la sfera fosse entrata in rete. Sopravveniva allora uno dei guardalinee, e dopo una piccola confabulazione l'arbitro dichiarava valido il punto. Era la volta allora dei tedeschi di reclamare, ma la decisione era stata oramai definitivamente presa e non c'era più nulla da fare in contrario. 
La Germania ritornava allora all'attacco, nel disperato tentativo di pareggiare ancora. Ma gli inglesi, ormai, si erano chiusi in difesa con quasi tutti gli uomini della loro squadra. Più volte erano in dieci i difensori in maglia rossa. Passavano così i minuti che mancavano al termine del primo dei due tempi supplementari, e poi trascorreva quasi per intero il secondo tempo. E, proprio al momento terminale dell'intera contesa, il capitano degli inglesi Moore, il più intelligente e l'uomo più a posto fra i ventidue che erano in campo, scopriva l'unico suo compagno d'attacco che fosse ancora piazzato in avanti, mentre tutti quanti i germanici erano lanciati alla ricerca di quel pareggio di cui abbiamo detto. Era, quest'unico attaccante che si trovava nell'aspettativa, Hurst, la mezz'ala destra, la quale combinazione in quel momento aveva preso posizione alla mezz'ala sinistra. Hurst riceveva la palla tutto solo e, rincorso da un solo avversario, partiva decisamente all'attacco. Egli penetrava in area e, con un tiro trasversale fortissimo infilava la parte alta della rete dei germanici. Faceva quattro a due, ma bisogna ammettere chiaramente che questa quarta rete non aveva nessuna importanza, anzi essa non sarebbe mai stata segnata se non fosse stata convalidata la terza rete degli inglesi, quella segnata dallo stesso Hurst. 
Abbiamo descritto per prima la parte conclusiva della partita, perché questa è stata l'unica che ha detto qualche cosa di importante nell'incontro, la più emozionante, e quella che ha finito col decidere di ogni cosa. Abbiamo cioè, in senso cronologico del termine, incominciato dalla fine. La cosa era necessaria per il suo andamento. La gara era cominciata con due reti a distanza di cinque minuti l'una dall'altra, proprio nei primi minuti della partita. 
Gli inglesi si sono meritata la vittoria che hanno ottenuto. Più per l'impegno fisico sfoderato che non per vere prodezze tecniche. Di autentiche finezze se ne son viste poche. La posta era troppo importante, forse, perché i giocatori potessero preoccuparsi di cose sopraffine. Non si può affermare né che l'ambiente non abbia influito sul risultato né che l'ambiente stesso sia stato veramente determinante in materia. Che l'Inghilterra abbia essenzialmente riportato il successo perché operava in casa propria è invece una verità che può essere sostenuta. 
L'incontro è stato giocato con molta correttezza. Esso è stato anche arbitrato in modo equanime dall'arbitro svizzero Dienst. Discutibile invero è la sua decisione di convalidazione del terzo punto dei padroni di casa, ma essa è stata presa, in realtà, più su parere di uno dei guardalinee che non a seguito di un giudizio personale suo. E l'affermazione che va fatta in termini chiari è quella che suona a lode del comportamento dell'undici germanico. Esso ha lottato con un coraggio ed una costanza eccezionali. La squadra è caduta in piedi. Non è stata certamente questa la miglior prova che essa abbia fornito nel corso di questo campionato. Ma va tenuto conto e della stanchezza degli uomini e del valore dell'avversario della giornata. Il campionato del mondo, il più clamoroso che sia mai stato organizzato, è terminato, e la popolazione locale ha riservato ai suoi vincitori un applauso ed un ricevimento che più calorosi davvero non potevano essere.

"La Stampa", 31 luglio 1966, p. 8

Tutto il mondo in uno stadio

L'ultima coppa del mondo

30 luglio 1966

E' il giorno della finale, e Pozzo ricorda anzitutto che i tedeschi non hanno mai, nella storia del football, battuto gli inglesi. Mai. Potrebbero farlo nella finale che si gioca a Wembley, in un ambiente euforico ed esaltato come non mai? Sì, potrebbero. Se avessero il coraggio e la forza degli Azzurri del '34 e del '38 ... 


Londra, 29 luglio. 
La più grande competizione sportiva del mondo giunge oggi alla sua conclusione. Si calcola che oltre alle centomila e più persone che saranno presenti allo stadio di Wembley, circa quattrocento milioni di altri sportivi assisteranno, per il tramite della televisione, alla grande finale, circa cinquanta milioni di più di quelle che avevano seguito, con l'aiuto dell'apparecchio, i funerali di Winston Churchill.
Ventisei paesi dell'Europa e dell'Africa del Nord saranno collegati direttamente a Londra, ed inoltre gli Stati Uniti, il Canada e il Messico verranno collegati con Londra a mezzo di un satellite. La parte coreografica dello spettacolo sarà più grandiosa ancora di quella della cerimonia dell'inaugurazione. Sarà nuovamente presente la regina dell'Inghilterra, e quattro bande del reggimenti della Guardia in alta uniforme intratterranno il pubblico in mezzo al campo. Sarà uno spettacolo indimenticabile. 
Se la partita fra le squadre nazionali dell'Inghilterra e della Germania Ovest dovesse definitivamente concludersi con un risultato di parità, l'incontro verrà ripetuto tre giorni dopo, cioè martedì sera alle 19,30 locali equivalenti alle attuali 20,30 nostre. 
I precedenti dell'incontro sono tutti favorevoli all'Inghilterra. Le squadre nazionali dei due Paesi si sono incontrate finora sette volte, e i tedeschi non hanno mai vinto. Un fatto questo che contribuisce a tenere alto il morale degli inglesi. L'ultima volta cha i due contendenti si sono trovati l'uno di fronte all'altro è stato proprio nel febbraio di quest'anno, ancora allo stadio di Wembley. Vinse l'Inghilterra per l a 0, con un goal dell'attuale mediano laterale Stiles. 
Le formazioni in cui Inghilterra e Germania scenderanno in campo non sono ancora state annunciate. Con ogni probabilità esse non verranno rese note prima dell'inizio della partita di domani. Quasi sicuramente fra gli inglesi la famosa mezz'ala Greaves non farà parte della squadra. Fra i tedeschi il portiere Tilkowski sta riprendendosi dal duro e falloso colpo ricevuto dai russi ad una spalla, il terzino Hottges è ora completamente guarito, e Beckenbauer ha evitato per un pelo la squalifica: la squadra dunque finirà per rimanere la medesima di quella presentata nella semifinale di Liverpool.
Arbitro dell'incontro sarà lo svizzero Dienst, conosciuto anche dai nostri sportivi per avere arbitrato incontri a cui ha partecipato la squadra nazionale nostra. Si tratta in linea assoluta del migliore arbitro elvetico. 
Le previsioni sono ora qui favorevoli in maggioranza agli inglesi. Essi hanno giocato le prime partite del torneo in modo appena appena passabile. Il pubblico mormorava e i giornali esprimevano pareri molto riservati. Fu allora che il comitato organizzatore giunse a mostrare la corda col suo intervento. Ora che il fatto appartiene al passato — per quanto questo sia ancora un passato recente — tutti i non britannici sono d'accordo nel ritenere e nel dichiarare che senza l'appoggio ricevuto da chi nel torneo stava molto in alto, l'undici inglese poteva anche crollare. 
La partita con l'Argentina, per esempio, non fu vinta che per la avvenuta espulsione del capitano dei sudamericani, perché questi, insistendo nel richiedere l'intervento di un interprete per spiegare e fare intendere quello che egli voleva dire, finì per essere espulso dall'arbitro austriaco Kreitlein. 
Poi, proprio al penultimo passo del torneo, nella semi finale contro il Portogallo, la «squadra della rosa» improvvisamente si riprese. E allora il compresso amor proprio, il nazionalismo dei britannici esplose in forma quasi violenta. Ora tutti i nativi del paese sono convinti che gli inglesi vinceranno. La pelle dell'orso è stata venduta da tutti quanti prima ancora che l'orso stesso sia stato catturato. Si parla senz'altro già di premi in denaro ai giocatori — mille sterline per ognuno —, di banchetti, di festeggiamenti, di marcia trionfale fino a Buckingham Palace per un ricevimento in casa reale. Che l'Inghilterra, per carità, non venga più ad accusare i sudditi degli altri paesi di perdere la calma, di andare in euforia, di esaltarsi, di impazzire, per un successo in un certame sportivo. 
In attesa, l'undici tedesco tace, come il «leon che guata». Esso sta bene fisicamente e tecnicamente. E' effettivamente forte. E' guidato da un uomo che sa l'affare suo, il commissario Schon. Tace l'undici tedesco, e se moralmente ben guidato dovrebbe trarre dalla situazione dei vantaggi psicologici di una notevole qualità. Esso viene considerato apertamente come già battuto. Viene da pensare alle capacità reattive che possedevano i nostri ragazzi azzurri nel 1934 e nel 1938, per trarre conclusioni sulla potenza psichica e conseguentemente potenza morale che potrebbero essere fatte scaturire da una situazione del genere. Da Bonn sta giungendo a Londra il ministro dello Sport. Se la Germania non vincerà, sarà più che altro l'ambiente che l'avrà battuta.

"La Stampa", 30 luglio, p. 9

La finalina

L'ultima coppa del mondo

29 luglio 1966

La finalina riscuote poco interesse, in quasi tutti i campionato del mondo. Ci arrivano squadre deluse e improvvisamente stanche. Il pubblico è scarso. Di solito non c'è grande attenzione difensiva, la posta in palio è di ridotta importanza. Essendo già a Londra, Pozzo non resiste al richiamo di Wenbley e detta comunque un servizio al suo giornale


Londra, 28 luglio.
Conosciamo la terza, e la quarta classificata dei 'mondiali' (sono, nell'ordine, Portogallo ed Urss che hanno concluso sul 2 a 1 la gara di stasera a Wembley); ed aspettiamo di sapere a chi andrà la Coppa Rimet, in palio sabato, sempre nel maestoso stadio di Londra, fra Germania ed Inghilterra. Stasera, intanto, Eusebio, salendo a quota nove goals ha praticamente vinto il titolo di «cannoniere» dei campionati del mondo. 
Folla inferiore in quantità a quella di martedì scorso, per la partita di questa sera. Innanzi tutto non è In ballo l'Inghilterra e quindi gli inglesi non sono direttamente interessati, e poi si tratta di decidere chi deve occupare il terzo posto e non il primo. Sarà certamente diverso sia il pubblico sia l'entusiasmo generale nel caso di sabato prossimo, quando si disputerà la finalissima. 
Gioco alterno nei primi dieci minuti, con un tiro forte e preciso per ognuna delle due squadre, tiro che impegna direttamente i due portieri. Al 13', quasi inaspettatamente, giunge la prima rete della giornata: calcio di punizione a favore del Portogallo che viene tirato dal terzino Festa; ricevendo la punizione stessa il centromediano Khurstilava alza istintivamente una mano e l'arbitro non ha la minima . incertezza nel concedere la punizione massima. 
Tira Eusebio e segna irresistibilmente. Il giocatore portoghese, come da sua consuetudine, non appena segnato corre a stringere la mano e a consolare il portiere battuto. Poco dopo un altro tiro di Eusebio da buona posizione passa alto sopra la traversa. 
Le manovre sono vivaci, ma non presentano un soverchio interesse dal punto di vista tecnico. La difesa dei portoghesi commette più di un errore, particolarmente Festa mette par due volte in imbarazzo il proprio portiere portandogli via la palla dalle mani all'ultimo istante. Un minuto prima del riposo di metà tempo, la Russia realizza la rete del pareggio. Metreveli dall'ala destra spara direttamente ed a mezz'altezza sul portiere. Prima che Pereira possa, come era effettivamente facile, intervenire ed allontanare il pericolo, il terzino destro già nominato, Festa, arriva disordinatamente ed impetuosamente sulla palla e la spinge verso la rete. 
Sulla sfera piombano più uomini delle due squadre e risulta molto controverso il fatto di chi abbia toccato per ultimo la palla prima che essa abbia varcato la linea della porta. A noi è sembrata un'autorete comunque del difensore portoghese. Sono in parecchi invece a sostenere che la palla sia stata spedita definitivamente in porta dall'attaccante russo Malafeev. 
Durante l'intervallo la folla applaude molto di più le due bande militari che compiono evoluzioni sul campo di quanto non abbia fatto a proposito dei giocatori delle due squadre. Alla ripresa il Portogallo dà finalmente prova di maggiore intraprendenza ed inizialmente arriva anche a dominare minacciando più volte la porta difesa dal grande Yashin. Presto però l'andamento del gioco riprende il suo tono quasi noioso e monotono. I portoghesi appaiono molto più lenti del loro avversari e giocano molto meno incisivamente di quanto non abbiano fatto martedì scorso contro l'Inghilterra. 
Il gioco si ravviva di qualche poco verso la metà del tempo, ed il portiere Pereira uscendo precipitosamente ferisce il centroavanti sovietico Banishevsky, il quale deve abbandonare il campo, rientrando però sul terreno di gioco dopo un paio di minuti. Le due squadre si fanno più veloci ed intraprendenti a mano a mano che ci si avvicina al termine della partita e dopo parecchie azioni di nessuna importanza a metà campo, a 3 minuti dal termine della contesa i portoghesi riescono a segnare. Dopo uno scambio alquanto rapido, avvenuto con la sua ala destra, la quale si era portata in posizione di ala sinistra, Torres rimasto in possesso della palla con una secca puntata riesce a mandare la sua squadra in vantaggio. 
Il gioco procede con la supremazia dei portoghesi per i due o tre minuti che mancano ancora al termine della contesa. Nessun cambiamento sopravviene più e quindi il terzo posto nella classifica generale di questo campionato del mondo viene occupato ufficialmente e definitivamente dal Portogallo. L'Unione Sovietica rimane quarta. 
Come osservazioni generali sull'andamento della partita, si può ripetere che essa è stata notevolmente inferiore in qualità all'ultima semifinale, quella svoltasi sullo stesso campo di Wembley fra l'Inghilterra ed il Portogallo. Si trattava, questa sera, di due squadre evidentemente stanche per le fatiche sostenute e un risultato di parità sarebbe stato forse più giusto di quello che si è dovuto registrare. La squadra del Portogallo non era più la medesima; essa non ha riprodotto la sua forma smagliante che negli ultimi minuti della partita, quando è riuscita ad andare in vantaggio.

"La Stampa", 29 luglio 1966, p. 9

Il soffice prato di Wembley

L'ultima coppa del mondo

28 luglio 1966

Ormai la coppa sta per arrivare in fondo alla sua storia; gli inglesi sono in finale e Pozzo (un po' divertito, un po' infastidito, un po' ammirato) fissa tre punti: l'improvviso mutamento d'umore dell'opinione pubblica, del civis britannicus dopo la vittoriosa semifinale; i vantaggi di cui l'undici albionico gode giocando sempre a Wembley - sul morbido pitch che taglia le gambe a chi non ci è abituato; l'indiscutibile classe di Bobby Charlton.

Londra, 27 luglio. 
I giornali inglesi hanno cambiato tono. Tutti quanti. Sono scomparse le critiche alla squadra nazionale del Paese e al suo commissario tecnico Ramsey. E' bastato che i giocatori dell'undici dell'Inghilterra svolgessero una partita convincente contro il Portogallo - e questa l'hanno giocata realmente bene - per far esplodere tutti quanti in un urlo di entusiasmo irrefrenabile. Una cosa incredibile. 
Noi in Italia incolpiamo senz'altro di nazionalismo spinto - e riusciamo anche a convertire il patriottismo in un delitto - chi prodiga delle lodi sperticate ai giocatori nostri che hanno vinto una partita. Bisogna vedere qui cosa è successo. I giornalisti londinesi sono al proposito i più colpevoli di tutti nel Paese. Quelli delle città lontane e della provincia sono più misurati e contenuti. Ma questi della capitale, nella smania di superarsi l'un l'altro, sono addirittura spudorati. 
La squadra nazionale inglese, che veniva prima apertamente discussa, è salita adesso, tutto di un colpo, al settimo cielo. Il centro mediano Jack Charlton, che è un buon giocatore e nulla più, è diventato il «migliore e il più completo della terra». Esagerazioni su esagerazioni. E risulta perfettamente inutile discutere con questa gente per indurla a non allontanarsi troppo dalla ragionevolezza. Il «civis britannicus» in questioni del genere ha sempre ragione lui, il suo Paese è superiore a tutto e a tutti. 
Il fatto positivo è che l'undici inglese questa volta ha fatto un passo in avanti come stile, come rendimento, come efficienza, come gioco in genere. Si può almeno dare ragione a questa gente quando sostiene che una volta che la sua squadra viene posta di fronte ad un undici che gioca con correttezza e lealtà, una volta che non abbia a misurarsi con avversari privi di scrupoli, il suo modo di comportarsi si trasforma. 
Trasportati sul terreno puramente tecnico, i giocatori inglesi acquistano subito notevolmente in efficienza e in potenza. E' quello che è avvenuto questa volta. Perché i portoghesi sono stati proprio di una correttezza esemplare. Hanno giocato esclusivamente sulla palla, rispettando l'uomo. Ed Eusebio, il colored man del Mozambico, questo ragazzo che viene dalle colonie, tiene un comportamento che il più corretto dei figli di papà inglese, che abbia studiato ad Oxford o a Cambridge, non arriva a tenere. Con uomini di tanta distinzione non c'è da meravigliarsi se il gioco migliora naturalmente e istantaneamente di qualità. 
D'altra parte non va dimenticata la natura speciale del terreno di Wembley. Esso è tenuto in modo esemplare. E' soffice, arriva quasi ad essere allentato e sfondante. Noi ci siamo stati su più di una volta e lo conosciamo bene. Chi non è abituato è spesso soggetto a dolori alle gambe nel corso del secondo tempo, se non addirittura soggetto a crampi. Mentre i portoghesi, per il sole che la fa da padrone in casa loro, sono abituati a terreni più duri e consistenti, gli inglesi, che non si sono mai mossi da Wembley, dove hanno disputato tutte e cinque le loro partite del torneo, vengono a trovarsi avvantaggiati. 
Il grande uomo dell'Inghilterra è stato questa volta - cioè ancora una volta - Bob Charlton, l'attaccante enciclopedico del Manchester United. Sue sono state le due reti che hanno dato la vittoria all'Inghilterra: l'una ispirata da accortezza e precisione, l'altra tutta materiata da una potenza formidabile. Per noi, ripetiamo, ieri un pareggio fra le due semifinaliste sarebbe stato la cosa più giusta. Ma con uomini di simile calibro dobbiamo classificare la vittoria dell'Inghilterra fra i risultati equi e meritati di questo torneo.

"La Stampa", 28 luglio 1966, p. 8

Una bella e corretta semifinale

L'ultima coppa del mondo

27 luglio 1966

E così, anche Monsù Poss è riuscito a godersi finalmente una bella partita ...


Londra, 26 luglio. 
La partita che secondo noi meritava pienamente il titolo di finale del torneo per le particolari caratteristiche dei suoi protagonisti, cioè Inghilterra e Portogallo, si è svolta questa sera allo stadio di Wembley davanti a circa 100 mila persone. Un buon terzo del pubblico era composto da stranieri, coalizzati tutti contro l'undici locale, come per una specie di rivincita sui favoritismi di cui sono stati oggetto finora gli inglesi da parte del comitato organizzatore. 
Bisogna dire subito che lo spettacolo offerto da questa semifinale è stato di qualità elevata. A parte il lato coreografico dello spettacolo stesso, ravvivato dai canti e dalle invocazioni del pubblico, nonché dalle esibizioni della solita banda militare della guardia in grande uniforme, il gioco in sé è stato di un tipo superiore a quello che si era visto finora a Wembley. 
E' stato, innanzi tutto, molto più corretto dei precedenti. In tutti i primi quarantacinque minuti, l'arbitro — il francese Schwinte, che per il suo arbitraggio è noto anche in Italia — non ha avuto da fischiare che due soli falli in tutto. Contrariamente al solito, nessun richiamo ai giocatori, nessuna ammonizione. Gioco essenzialmente basato sulla tecnica da entrambe le parti, non più sulla forza bruta dei giocatori, come a Liverpool nella semifinale del giorno precedente fra Russia e Germania.
L'Inghilterra, col suo tipo di schieramento a 4-3-3, dava prova di una velocità superiore, cercando di operare essenzialmente in profondità. Ma i portoghesi, che con le loro azioni a passaggi brevi si trovavano con relativa facilità, lasciavano l'impressione di essere più tecnici e il solo appunto che si può loro muovere è quello di aver giocato troppo in linea, invece che in profondità. Essi mancavano di Vicente e di Morais, due dei loro difensori migliori, ma davano prova di grande mobilità, nonché di una precisione assoluta nella manovra fra uomo e uomo. 
Questo primo tempo avrebbe dovuto logicamente terminare con un risultato di parità. E così sarebbe realmente avvenuto se non fosse stato per una difettosa parata del portiere portoghese, che pur costituisce solitamente un'autentica rocca per la difesa dei lusitani. Pereira, parando un tiro fortissimo di Hunt, non respingeva la palla che per alcuni metri davanti a sé, di modo che fu la cosa più facile di questo mondo per il sopravvenuto Bob Charlton quella di sospingere la palla nella rete. 
Il secondo tempo merita per la correttezza lo stesso titolo di distinzione del primo. Pochi, pochissimi falli e nessun gesto di vera cattiveria. Questa semifinale, sotto l'aspetto della lealtà del gioco, riabilita il nome del torneo. 
La ripresa ha avuto tre fasi distinte. Nella prima di esse il Portogallo ha prodotto il suo sforzo più intenso, dominando territorialmente per circa un quarto d'ora, senza riuscire però a imporsi definitivamente La difesa inglese era chiusa e ferma in modo inesorabile. Da notare che proprio in questo periodo il mediano laterale inglese Stiles commise un fallo di mano che l'arbitro francese Schwinte fece bene a non punire con un rigore per la totale involontarietà dell'atto. 
Poi, nella seconda fase di questa ripresa, gli inglesi, rompendo il lungo assedio in cui erano stati tenuti, riuscivano ad avanzare e, sostenuti dal calorosissimo incoraggiamento del pubblico, portavano tutta una serie di attacchi aperti e disinvolti. Su uno di essi, al 35° i padroni di casa segnavano la loro seconda rete a mezzo di un tiro meraviglioso per potenza e precisione di Bobby Charlton. Infine, nella terza ed ultima parte dell'incontro, i portoghesi ritornavano all'attacco, e due minuti dopo aver subito il secondo goal essi ottenevano il premio della loro tenacia a mezzo di un rigore concesso per un fallo di Jack Charlton, che si era servito di una mano per deviare un tiro degli ospiti che stava per violare la rete inglese, mentre il portiere appariva nettamente battuto. Naturalmente a realizzare la massima punizione in questa occasione era il solito Eusebio. 
Questa partita va considerata come giusta nel suo risultato. Un pareggio avrebbe tuttavia fornito all'incontro un esito forse più giusto ancora, perché il Portogallo ha offerto una prova forse leggermente inferiore di valore a quelle prodotte finora, ma egualmente una prova di alta levatura. Proprio sul termine della partita i lusitani hanno rischiato di ottenere il pareggio a mezzo della loro ala sinistra Simoes. 
Questa gara è stata come bellezza, come combattività e specialmente come correttezza quella che ha salvato le sorti del torneo, bisogna ripetere. Come dirittura di comportamento essa è stata la migliore delle trenta che si sono finora disputate. 
Le quotazioni dell'undici inglese sono salite di molto dopo questa vittoria. Il successo, del resto, è giunto in tempo anche per attenuare le colpe del commissario tecnico inglese, Ramsey, che il giorno prima era stato ufficialmente e duramente ammonito dal comitato organizzatore per aver definito i giocatori della squadra argentina col titolo di «animali».

"La Stampa", 27 luglio, p. 8

Polemiche arbitrali

L'ultima coppa del mondo

26 luglio 1966

A Liverpool per vedere la semifinale tra sovietici e tedeschi, Pozzo scrive di ciò che ha annusato o che semplicemente sa: il torneo è indirizzato. Gli arbitraggi dei quarti hanno destato polemiche. Ma il peggio deve ancora venire ...

Liverpool, 25 luglio. 
Che in questo campionato del mondo avvengano delle cose che lasciano alquanto interdetta la persona che avendo vissuto a lungo nell'ambiente tiene gli occhi aperti anche sui fatti che paiono meno interessanti, non costituisce una novità. Noi lo abbiamo accennato in qualcuno dei nostri servizi precedenti. Qui bisogna guardarsi bene dal fare troppo rumore con notizie sensazionali, per non venire definiti come «scandalmongers», cioè «mercanti di scandali». Ma pure in tono cauto e pacato, certe impressioni, certe verità bisogna pur dirle, se si deve servire con onestà la causa del grande pubblico. 
Abbiamo scritto ieri che l'espulsione del giocatore argentino Rattin nella partita di Wembley con l'Inghilterra era parsa a tanta gente come un gesto di una severità eccessiva. Il Rattin si era avvicinato all'arbitro per richiamare la sua attenzione su alcuni fatti nella sua veste di capitano, e per questo aveva accennato alla fascia di comando che portava al braccio. Il Rattin domandava la presenza di un interprete per spiegare le sue ragioni. Come risposta egli fu espulso dal campo. L'arbitro austriaco [sic: in realtà tedesco] venne salvato poi dalla polizia alla fine dell'incontro. Ma l'impressione che negli avvenimenti di Wembley ci fosse qualche cosa di artificioso e di non facilmente spiegabile rimase in parecchie delle persone presenti. 
Poi vennero presi gravi provvedimenti contro tre giocatori argentini, cioè Rattin, Onega e Ferreira, ed una multa di 83 lire sterline (oltre un milione e 400 mila lire) alla Federazione argentina insieme alla minaccia di esclusione dai campionati del mondo del 1970 se certe assicurazioni non verranno date. Ora quello che è successo in seguito riconferma proprio queste impressioni. A non parlare del fatto, che torna strano, che a dirigere la partita dell'Inghilterra sia stato mandato proprio l'arbitro austriaco che aveva fatto espellere già prima un altro giocatore argentino, mentre a dirigere la partita della Germania era stato mandato un inglese. 
L'arbitro italiano Lo Bello ha arbitrato stasera la prima delle due semifinali, quella di Liverpool fra la Germania e la Russia. Ed il fatto è stato interpretato da molti come un contentino dato al siciliano, per mettere a tacere ogni sua aspirazione a dirigere la finale del torneo. Perché il Lo Bello si è portato bene finora, e tale onore se lo sarebbe meritato pienamente. Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: dove non arriva il denaro l'ambizione arriva certamente, e fra gli arbitri qui presenti che sono i più noti del mondo, tutta una piccola lotta subacquea si combatte ora per arrivare al grande onore di dirigere la finale del campionato del mondo. Un austriaco [sic: in realtà tedesco], Kreitlein, ed un ungherese, Zsolt, paiono essere i candidati preferiti. In quale stato di mente questi due arbitri od altri ancora entreranno in campo nella finale se ad essa parteciperà l'Inghilterra? 
Il Comitato organizzatore poi, quando ha visto il grande ricupero effettuato dal Portogallo nella gara dei quarti di finale contro la Corea del Nord, si è spaventato ed ha addirittura invertito la data delle due semifinali, da lunedì a martedì, lasciando così un giorno di più di riposo alla squadra inglese, ed ha anche spostato la sede della seconda semifinale da Liverpool a Wembley per far giocare gli inglesi stessi sul campo che non hanno mai abbandonato durante tutto il torneo. Il fatto ha provocato vivaci e risentite reazioni nell'ambiente nordico dell'Inghilterra che voleva vedere all'opera la Nazionale del Paese almeno una volta, ed un giornale di Liverpool — il «Liverpool Echo» — si è fatta eco, proprio come dice il suo nome, delle vivacissime proteste del pubblico della città e della vicina Manchester.
Noi siamo molto rispettosi del senso di dirittura e di onestà degli inglesi. Ma sappiamo pure che leali e schietti essi lo sono fino al momento in cui gli interessi del loro Paese non vengono a essere in contrasto con quelli di altri. Ricordiamo fin dagli anni in cui eravamo studenti quassù, una frase scultorea che nel consesso massimo del Paese era stata pronunciata dal «premier» Gladstone: « My country, right or wrong, but my country » («Il mio Paese, abbia esso ragione o torto, ma innanzitutto il mio Paese»).

"La Stampa", 26 luglio 1966, p. 8

All'insegna della violenza

L'ultima coppa del mondo

25 luglio 1966


Dopo alcuni giorni di sciopero, il quotidiano torinese torna in edicola. Si sono appena disputati i quarti di finale; Pozzo è andato a Sheffield, per Germania - Uruguay. Ugualmente, commenta il turno (è il pezzo che riproduciamo per primo), criticando fra le righe il comportamento degli organizzatori. Ma sottolineando l'uscita dalla coppa - per attitudini non ortodosse - di tutte le sudamericane.


Sheffield, lunedì mattina. 

Così, dopo una lotta sempre più dura e accanita — una lotta che ha varcato spesso anche i limiti della correttezza — le quattro squadre che sono giunte alla fase delle semifinali sono quelle dell'Inghilterra, del Portogallo, della Germania Ovest e dell'Unione Sovietica. 
Eliminate sono tutte le squadre non europee: le due sudamericane e la unica asiatica. Una grossa sorpresa è stata la resa dell'Ungheria. La lotta è stata dura su tutta la linea, anche dove il risultato non lo lascerebbe supporre. Le quattro reti segnate dalla Germania dell'Ovest sull'Uruguay non sono state il frutto di una superiorità schiacciante, ma innanzi tutto la conseguenza del fatto che la squadra tedesca ha lottato per quasi intero il secondo tempo della partita con undici uomini contro nove soli, in quanto ai sudamericani sono stati espulsi Troche e Silva. 
L'incontro dall'esito più clamoroso è stato quello che ha visto ben otto reti segnate nei novanta minuti, quello del Portogallo che ha eseguito una rimonta che rimarrà epica nella storia del calcio internazionale. Il Portogallo stesso, dopo essere stato in svantaggio per tre reti a zero a opera della Corea, con un recupero prodigioso ha finito per vincere per 5 a 3. 
E l'Ungheria è stata compromessa presto da un errore del suo portiere, quando già aveva dovuto sostituire parecchi giocatori, chiamandone da Budapest anche uno dei ventidue che aveva lasciato a casa a disposizione nell'attesa. E l'Inghilterra, che anche questa volta ha giocato male, non ha riportato il successo che per una striminzita rete, che è stata segnata nel secondo tempo, a tredici minuti dalla fine, quando gli argentini erano stati ridotti a dieci uomini soli, anche qui per una espulsione, quella del centromediano Rattin. Le espulsioni, come si vede, hanno preso tutte quante di mira i sudamericani, che non amando le marcature strette cercano di liberarsi delle medesime anche ricorrendo alla violenza o a gesti irritanti. 
L' eliminazione dell' Uruguay dal torneo ha messo senz'altro fine alla serie delle squadre che, avendo precedentemente vinto due volte il campionato del mondo, avrebbero potuto questa volta entrare definitivamente in possesso della Coppa Rimet. Sotto la forma di una possibilità per l'avvenire, il fatto rappresenta anche una piccola consolazione per l'Italia. Mal comune mezzo gaudio. 
Il fatto che maggiormente ha impressionato in questi quarti di finale è stato determinato dalla forza di recupero sfoderata dall'undici del Portogallo. Eusebio, il suo centravanti, ha da solo colmato con quattro reti — di cui due su rigore — il distacco in cui era incorsa la sua squadra all'inizio della partita. Il centravanti del Benflca, che già aveva segnato altre tre volte precedentemente nel torneo, è diventato ora il cannoniere capo di tutta la manifestazione. La mezz'ala inglese Greaves — che ieri è stata tenuta a riposo per una ferita — non ha ancora segnato nemmeno una volta. 
A proposito del Portogallo e dei suoi quattro uomini del Mozambico — Eusebio, Coluna, Hilario e Vicente, due attaccanti o quasi, e due difensori — che tutti temono e nessuno vorrebbe incontrare, toccherà proprio ora all'Inghilterra di contrastarne la marcia nella seconda semifinale, quella di Wembley. 
Torna opportuno a questo proposito di ricordare qui i commenti che negli ambienti ufficiali ma non britannici, si fanno sulle decisioni del comitato organizzatore che, allo scopo di assecondare la marcia della squadra dell'Inghilterra, ha capovolto l'ordine delle due semifinali. Il presidente della federazione brasiliana dello sport, De Havelange, ha dichiarato che l'Inghilterra viene favorita in tutti i modi possibili. Una prova del fatto è stata data appunto proprio ora. Il regolamento stabiliva che la vincitrice del primo quarto di finale si incontrasse con la vincitrice del terzo, lunedì a Liverpool. Invece, il comitato ha preso d'urgenza il provvedimento di far giocare prima a Liverpool la Germania dell'Ovest contro l'Unione Sovietica, rimandando l'Inghilterra a giocare a Wembley contro il Portogallo il giorno dopo martedì. Così gli inglesi godranno di un giorno in più di riposo prima di affrontare la difficilissima semifinale, e potranno ancora per la quinta volta consecutiva giocare sul loro terreno, quello di Wembley.

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Sheffield, lunedì mattina.
La partita alla quale abbiamo assistito a Sheffield sabato scorso è stata bella e brutta nello stesso tempo. Si trattava di uno dei quattro incontri dei quarti di finale del torneo, ed esso ha assunto prevalentemente il carattere di un combattimento. Ha vinto la Germania dell'Ovest, qualificandosi per le semifinali del torneo. Il risultato di quattro reti a zero enfatizza la superiorità dell'undici tedesco, perché nel secondo tempo della partita due dei giocatori dell'Uruguay sono stati espulsi dal campo. L'arbitro inglese Finney è stato inesorabile in ambo i casi. La prima espulsione è avvenuta pochi minuti dopo l'inizio del secondo tempo, ed essa ha colpito il terzino uruguayano Troche, che aveva sferrato un pugno all'ala sinistra germanica Emmerich. Il secondo espulso è stato il centroavanti Silva, il quale, mentre la palla era lontana parecchio, aveva proditoriamente aggredito Haller. L'arbitro non aveva notato il secondo fallo, ma, interpellato il guardalinee che aveva visto tutto, non aveva esitato un istante a prendere il provvedimento punitivo. 
Evidentemente erano le istruzioni impartite dal comitato organizzatore che facevano sentire il loro effetto. Perché già precedentemente, cioè fin dal primo tempo, si era saputo che a Wembley era stato espulso Rattin, il centromediano dell'Argentina. E prima ancora, Stiles, il mediano laterale dell'Inghilterra, era stato minacciato di severi provvedimenti. 
L'Uruguay, che aveva cominciato la partita in un modo più che promettente, addirittura sfolgorante, ha dimostrato col suo comportamento che aveva perso completamente la testa. Come squadra, i sudamericani si portavano bene, e fruivano anche di una certa superiorità. Era di fronte al gioco positivo e bene inquadrato dei tedeschi, che il sistema nervoso degli uomini di Montevideo crollava in modo tanto palese quanto insulso. Falli su falli, entrate violente su entrate violente. E così la ragione rimaneva a chi conservava maggiormente la calma. 
I primi dieci minuti di gioco erano stati favorevoli ai sudamericani, che avevano sferrato con Cortes e con Rocha due o tre tiri da lontano pericolosissimi. Particolarmente sul primo dì essi il portiere germanico aveva compiuto una parata che aveva assolutamente del miracoloso. Poi, proprio al termine di questo periodo iniziale, la Germania era andata in vantaggio. Azione di Haller, tiro di Held, leggera deviazione di un terzino e palla bassa che finiva in un angolo della rete dei sudamericani. Poco dopo era il portiere' dell'Uruguay che doveva prodursi in una grande parata su tiro di Beckenbauer. A metà tempo, 1 a 0 per la Germania.
La ripresa era incominciata da poco, quando avveniva la prima espulsione, quella del terzino Troche. E allora le cose precipitavano per l'Uruguay. Veniva espulso anche l'attaccante Silva, e una scenata avveniva sulla linea del gioco con l'intervento della polizia inglese. Segnava Beckenbauer, su passaggio di Seeler. Poi realizzava ancora Seeler stesso alla mezz'ora, e chiudeva la serie Haller con un'azione isolata e individuale, dopo che Hemmerich aveva rischiato di segnare anche lui. Ridotti a nove uomini soli, gli uruguayani continuavano a combattere strenuamente fino al termine, rischiando più di una volta di diminuire le distanze. I nervi sono la causa principale del crollo dei sudamericani, che in quanto a gioco puro non sono stati affatto inferiori ai loro avversari. Sugli scudi per questi ultimi i due giovani e nuovi elementi, Held e Beckenbauer.

"Stampa Sera", 25-26 luglio 1966, p. 8

Verso la battaglia di Sheffield

L'ultima coppa del mondo

22 luglio 1966


Fuori corsa "un lotto impressionante di compagini", tra cui Italia e Brasile, incombono i quarti di finale. Pozzo si sbilancia e azzarda pronostici. Ma ne offre solo tre: sull'Inghilterra preferisce non pronunciarsi. Sembrerebbe, tuttavia, che nutri una certa simpatia per la Germania ...


Birmingham, 21 luglio.

Dopo le partite disputate mercoledì scorso le squadre che rimangono a combattere per il campionato del mondo da sedici che erano si sono ridotte ad otto. Eliminati sono: il Brasile, la Spagna, la Svizzera, la Bulgaria, la Francia, il Messico, il Cile e l'Italia. Un lotto imponente di compagini, come si vede. 
Ora i quarti di finale vedono l'Inghilterra affrontare l'Argentina a Wembley, la Germania dell'Ovest incontrare l'Uruguay a Sheffield, il Portogallo vedersela con la Corea del Nord a Liverpool, e la Russia misurare i ferri con l'Ungheria a Sunderland. Quattro incontri dei quali i più interessanti dovrebbero essere il secondo e il primo nell'ordine, perché la Corea del Nord, pur progredendo tecnicamente ad ogni incontro che disputa, non dovrebbe turbare notevolmente le condizioni di superiorità del Portogallo, e l'Ungheria dovrebbe essere in grado di battere senz'altro l'Unione Sovietica. 
Sono le due squadre sudamericane che possono portare un attacco pericoloso alquanto alla Germania dell'Ovest e all'Inghilterra. Si tratterà, a Sheffield ed a Wembley, del confronto fra due stili diversi, due maniere differenti di giocare. Gli argentini e gli uruguaiani, da quei tipici sudamericani che sono, possiedono un controllo e un comando della palla che gli europei proprio non hanno. Ne fanno, della palla, assolutamente quello che vogliono, da fermi o in corsa, correndo o saltando. Certe loro prodezze possono venir considerate come gesti da giocolieri o come tocchi da artista, come si vuole; ma qualcuno di essi riesce a scombussolare nettamente l'avversario. Ne ha fatto l'esperienza l'Inghilterra stessa nella prima partita che ha disputato nel torneo, quella contro l'Uruguay. Ora l'Inghilterra stessa avrà a che fare contro altri sudamericani, gli argentini. Ciò sempre a Wembley, sede generale del gioco inglese. 
Ma noi pensiamo che la battaglia più importante sia quella che si combatterà a Sheffield. Eravamo qui a Birmingham mercoledì e abbiamo assistito ad un incontro di una bellezza rara fra la Germania dell'Ovest e la Spagna. 
Il commissario tecnico spagnolo, come in un gesto di irritazione per il gioco privo di efficienza che aveva svolto la sua squadra fino a quel momento, aveva tolto di squadra, quasi violentemente, tutti e tre gli «italiani» che aveva richiamato in patria, cioè Suarez, Del Sol e Peiró. Aveva lasciato a riposo anche il famoso velocista Gento, l'ala sinistra. E, come in risposta, la Germania aveva tenuto lontano dall'incontro l'altro elemento immigrato in Italia, Haller del Bologna. Quest'ultimo è venuto a sedersi proprio dietro di noi in tribuna, durante la partita. A rappresentare indirettamente il calcio italiano era rimasto puramente il milanista Schnellinger. 
Le due squadre, così modificate, si sono data una battaglia epica. Gli spagnoli hanno sfoderato la loro antica «furia», quella che noi tanto bene conosciamo, con una velocità di azioni, uno spirito d'improvvisazione e un senso pratico del gioco di profondità che ha entusiasmato il numeroso pubblico. Erano presenti più di cinquantacinquemila spettatori. C'era, in quell'undici spagnolo composto per metà da cosiddette riserve, quella combattività, quell'agonismo che erano stati dolorosamente assenti dall'opera degli italiani nelle tre partite che essi hanno disputato nell'Inghilterra del Nord. Ed i germanici sono stati tenuti a bada per lungo tempo, anzi sono andati in svantaggio ad un certo punto del primo tempo per un pallonetto della mezz'ala sinistra spagnola, un vero tocco da artista. 
Poi, il pareggio è venuto verso il termine del primo tempo stesso, su di una legnata semplicemente formidabile dell'ala sinistra Emmerich, il capo cannoniere della Germania che era stato escluso fino a quel momento dalla squadra per essere fuori forma. La vittoria venne ad arridere ai tedeschi proprio negli ultimi minuti della partita su di una deviazione da pochi passi di Seeler, il giocatore di Amburgo che tante società italiane avevano mesi addietro corteggiato. Quella della Germania è sempre una gran bella squadra. Germania-Uruguay a Sheffield è per noi la partita più interessante delle quattro di sabato prossimo. 
La questione della conquista definitiva della Coppa Rimet pare ora definitivamente rinviata ad altra occasione. Tre squadre avendo vinto due volte il torneo erano in lizza per questa conquista: il Brasile, l'Italia e l'Uruguay. Due - il Brasile e l'Italia - si sono fatte eliminare. Rimangono gli uruguaiani. E questi dovrebbero uscire sconfitti dalla prova che li attende contro la Germania dell'Ovest. Si tratta di una piccola consolazione per gli azzurri della prossima generazione, che potranno così ancora sperare di completare l'opera che questa volta è fallita.

"La Stampa", 22 luglio 1966, p. 9

Molti 'perché' senza risposta

L'ultima coppa del mondo

21 luglio 1966

Con toni amari (e sarcastici nella chiusa), Pozzo ricorda (giustamente) di essere stato uno dei pochi che avevano lanciato segnali d'allarme in tempo utile. Rimangono ora e ancora senza risposta le domande sulla conduzione, la formazione, l'atteggiamento della squadra in campo. 

Middlesbrough, 20 luglio. 
Il crollo della nostra squadra ha colpito tutti gli italiani presenti — e beninteso anche coloro che, non italiani, credevano nel valore degli azzurri —, è stato come un colpo di fulmine. Noi diciamo, come prima cosa, che ci vuole un po' di coraggio per dichiararsi sorpresi da quanto avvenuto. Noi, fin da quando la squadra arrivò in Danimarca — non ancora in Inghilterra, cioè — abbiamo dichiarato subito, e lo scrivemmo anche in chiari termini, che l'undici nostro non aveva giocato come al solito. Il gioco fluido e convincente, svolto in tre delle quattro partite, qui in Inghilterra non c'era più, è stato un'ombra di quello svolto in quelle circostanze. Il gioco stesso non è venuto mai alla ribalta. 
E' una cosa, questa, che hanno visto tutti. Molti hanno anche approfittato del fatto per riprendere apertamente i motivi polemici che avevano già sviluppato in Italia. Ma, nella possibilità di qualificarsi per i quarti di finale, quasi tutti hanno continuato a credere, magari anche fermamente. Noi guardavamo agli avvenimenti, e più si andava avanti e più si radicava in noi la convinzione che, se non avveniva un cambiamento nel modo di funzionare della squadra, si sarebbe finiti male. Sono cose, queste, che non diciamo ora, ma che abbiamo scritto in caratteri chiari e da Copenaghen, subito dopo l'ultima partita di preparazione, e da Sunderland dopo il primo incontro ufficiale del torneo, quello contro il Cile. E le nostre considerazioni pessimistiche le abbiamo confermate a seguito della gara perduta con l'Unione Sovietica. 
Ora il disastro si è verificato. La squadra ha perso, il pubblico si e schierato tutto dalla parte dell'avversario nostro, deridendoci anche. E la nostra è la compagine più commiserata di tutte quelle che sono convenute in Inghilterra. Qualcuno qui cerca di trovare consolazione pensando al modo come sono andate le cose per il Brasile, che veniva considerato come vincitore assoluto del campionato. Qualcun altro pensando anche che né la Svizzera, né la Francia, né la Spagna e nemmeno il Cile ed il Messico sono andati meglio di noi. Qualcun altro arriva perfino a ricordare che la nostra sorte è stata così triste come quella subita dall'Inghilterra nell'altro campionato del mondo, ad opera del misero undici degli Stati Uniti. Consolazioni, tutte queste, dei disperati, vien da rispondere: mal comune mezzo gaudio.
Noi, cioè i giocatori nostri erano venuti fin quassù con ben altre prospettive ed altre speranze. La fortuna non si è schierata dalla parte nostra. E' questa una circostanza che abbiamo già menzionato e che occorre qui ripetere, ma il valore intrinseco dell'undici era tale da rendere possibile alla compagine italiana di elevarsi anche al di sopra della sorte. Ed il modo in cui siamo crollati, così miseramente, autorizza a supposizioni, congetture e considerazioni diverse. 
Abbiamo messo in campo diciotto giocatori diversi in tre partite, ed in nessuna di esse il funzionamento ha soddisfatto. Nell'incontro ultimo, quello che doveva decidere della nostra sorte nel torneo, la formazione ha stupito tutti quanti, perché in nessuna delle partite di preparazione essa era stata nemmeno provata. Perché tanti uomini nostri sono apparsi talmente fuori forma? Perché la squadra ha battuto genericamente in ritirata, ogni volta che l'avversario si è fatto avanti più o meno baldanzosamente? Perché la nostra difesa, che rappresentava il baluardo della nostra sicurezza, è apparsa improvvisamente così sconnessa e titubante? Perché la nostra prima linea non ha combinato nulla di buono? Mistero. 
E concludiamo che con tanta aperta discordia regnante nel nostro ambiente, con tanta gente che si atteggia a tecnico, ad ultraesperto, che assume atteggiamenti da generalone, con tanta gente che esprime giudizi inesorabili su tutto e su tutti, la nostra impresa in terra britannica — che pure si presentava in forma lusinghiera — era condannata all'insuccesso fin da prima che cominciasse. In Italia il nostro pubblico è composto tutto ed esclusivamente da maestri, da professori, da tecnici di levatura insigne — gelosi tutti quanti, fino all'ultimo sangue, l'uno dell'altro.

"La Stampa", 21 luglio 1966, p. 8

Dolenti note

Le cronache di Monsù
L'ultima coppa del mondo

18 luglio 1966

Un altro sciopero dei poligrafici impedì a "La Stampa" di andare in edicola domenica 17 luglio, giorno successivo al rovescio subito dagli Azzurri per mano dell'undici sovietico. Sul giornale del lunedì, Pozzo - in due contributi - espone le ragioni del pessimo momento vissuto dalla nazionale, improvvisamente spenta ma con una carta ancora da giocare per restare a galla. Nel secondo, il vecchio CU fa un breve bilancio generale sul torneo, nel quale si è concluso il secondo turno.


Sunderland, lunedì mattina.
Le impressioni negative riportate assistendo al primo incontro sostenuto dai nostri calciatori sui campi inglesi non erano sbagliate: la squadra italiana aveva battuto il Cile giocando male, però, sabato, non ha migliorato troppo il suo rendimento ed è stata sconfitta per 1 a 0 dall'Unione Sovietica, che ha segnato il suo goal con l'ala destra Cislenko all'11° minuto della ripresa. Una seconda brutta giornata per gli azzurri, e di fronte ad una squadra per nulla trascendentale. Quella della Russia non può infatti essere considerata una grande formazione nel senso tecnico del termine. E' una compagine di discreto valore e nulla più. E' priva di fantasia nella sua attività, e contro di noi non ha dato prova che di una sola dote, la superiore velocità. 
E qui siamo alle dolenti note per l'unità degli azzurri. Il suo contegno quassù, nel nord dell'Inghilterra è — l'abbiamo già detto e dobbiamo ripeterlo — addirittura incomprensibile. Giocatori che sino a ieri, pur senza arrivare al livello dei grandi campioni, erano però degli elementi di levatura superiore alla media, si sono come smarriti non appena varcata la Manica. Ne risulta che la squadra non si muove sul terreno né come sa, né come può. Chi la conosce e la segue da tempo sa che essa si può portare due, anche tre volte meglio di quanto faccia in questa edizione della Coppa Rimet. 
Sul terreno di Sunderland, gli stessi tifosi nostri giunti allo stadio animati da buone intenzioni, con bandiere, trombe e molto entusiasmo, sono ad un certo punto ammutoliti per lo spettacolo che veniva loro offerto. L'undici italiano praticamente non ha giocato, anche se un leggero miglioramento è stato possibile riscontrarlo nei confronti della Nazionale che aveva pur battuto il Cile. 
I difetti degli azzurri sono ovunque, sono difetti di tecnica e di temperamento. Nemmeno la difesa che ha sempre costituito la nostra forza maggiore si porta adeguatamente. Di fronte ad un attacco avversario che si faccia avanti essa si ritira, ed invece di affrontare i rivali lontano dalla propria porta, dà loro battaglia alle soglie o addirittura dentro l'area di rigore, ovvero nella zona più pericolosa perché da quella distanza può sempre venire scoccato dagli avversari il tiro del goal, il tiro decisivo come è accaduto ieri al russo Cislenko. 
Gli avversari invece vanno affrontati senza paura a centro campo, non bisogna avere timore negli interventi, occorre avere coraggio singolarmente e non ripiegare sino a quando si sentono i compagni vicini, come per avere da loro un aiuto. E' come ammettere di essere inferiori, una tattica del genere, e sembra davvero una tattica dettata dalla paura, una sensazione che nello sport può bloccare i muscoli, se l'atleta non reagisce e se ne lascia impadronire. 
Ai tempi nostri, ci si scusi se li ricordiamo una volta tanto, la battaglia, quando era necessaria, si dava a metà campo, in una zona cioè dove, se battuti una volta, c'era ancora tempo e spazio per riprendersi, per recuperare, per rincorrere l'avversario lanciato verso il portiere nostro. Qui in Inghilterra, giocando a questo modo, se i nostri avversari sanno tirare in porta, noi finiremo per incassare ogni volta una quantità di reti. Ed un fatto del genere sarebbe già avvenuto contro il Cile, se i cileni avessero avuto dei tiratori dotati di precisione, ed una sconfitta più forte l'avremmo subita da parte dei sovietici stessi, se questi pure avessero saputo portare meglio a termine i loro attacchi. 
Dopo due partite, un bilancio davvero deludente per il calcio nostro, almeno per quanto ha dimostrato sinora. Fortunatamente la squadra azzurra ha ancora la possibilità e l'occasione di qualificarsi per i quarti di finale. Basta che si batta martedì la Corea del Nord sul terreno di Middlesbrough e la rappresentativa azzurra salirà a quattro punti nella graduatoria del suo girone, fuori della portata del Cile che ha un punto, ed anche se superasse la Russia non arriverebbe che a tre. Se gli azzurri non chiuderanno almeno alla pari con la squadra asiatica, il disastro per noi sarebbe completo. 


Sunderland, lunedì mattina.
Adesso ci troviamo a sperare di battere la Corea, quasi a temere di non riuscire nell'intento. Questo il risultato delle impressioni negative riportate sul conto della squadra nostra dopo la vittoria, senza troppo merito, sul Cile, e la purtroppo meritata sconfitta subita ieri ad opera dell'affatto trascendentale selezione dell'Unione Sovietica. Se almeno i giocatori russi si fossero mostrati nel frangente dei campioni di statura internazionale, la battuta d'arresto della formazione azzurra — stavolta senza Rivera — parrebbe meno dura: invece Cislenko e colleghi hanno superato i nostri rappresentanti nella velocità e nella decisione, due fattori che nel calcio hanno grande importanza, ma non sono come la tecnica e la classe: velocità e decisione si possono avere sempre, basta volerlo ed essere in buone condizioni fisiche, mentre tecnica e classe sono cose più difficili, sono il frutto di un lungo lavoro o di una particolare predisposizione allo sport della palla. 
Per il calcio nostro, qui giunto con aspirazioni non di vittoria finale ma certamente di buon comportamento, il risveglio è stato duro dopo le partite con Cile ed Unione Sovietica. Delle debolezze dei nostri attaccanti già eravamo abbastanza certi, per le numerose dimostrazioni in tal senso date anche in campionato, ma non ci si aspettava di vedere anche i forti difensori, i Salvadore, i Rosato, i Burgnich ed i Facchetti, cedere cosi chiaramente di fronte agli avversari, ripiegare disordinatamente verso Albertosi, invece di giocare decisi fuori dell'area di rigore. Per i nostri ogni partita è un affanno, le sconfitte diventano inevitabili. Si può ancora sperare nel prossimo futuro, nel proseguimento della Coppa Rimet, ma ormai abbiamo deluso la grande attesa che ci circondava. L'aria d'Inghilterra ha tolto le forze ed il coraggio agli atleti nostri. 
Intanto, guardando i campionati da un lato più generale, dopo quattro partite per girone la situazione comincia a diventare più chiara in questa mastodontica manifestazione che è il campionato del mondo. Ognuna delle sedici squadre è comparsa in campo due volte ed i risultati — spesso contraddittori nella loro essenza — hanno fatto sentire il loro effetto. Significativo è il fatto che due sole squadre già a questo punto della tenzone figurino a punteggio pieno. Esse sono quella del Portogallo del gruppo 3°, e quella della Russia del gruppo 4°, il nostro. Il Portogallo ha avuto la fortuna di incontrare l'Ungheria prima che questa avesse trovato il suo miglior grado di forma, e l'ha battuta clamorosamente. Poi, con la Bulgaria, ha avuto relativamente la vita facile. E' la squadra che ha segnato il maggior numero di reti, quella del Portogallo: sei reti, e la sua potenza di attacco è quella che, assieme alla forza di costruzione dell'Ungheria, maggiormente ha impressionato finora nel torneo. 
Come forza penetrativa in un torneo che fino al momento presente ha visto le teorie difensive prevalere su quelle offensive, si sarebbe stati disposti a dare la preferenza all'undici della Germania. Fino a ieri. Poi, ieri stesso, i tedeschi si sono fatti bloccare sullo 0-0 dall'Argentina, e il fatto ha sorpreso tutti quanti. Contro i sudamericani, la Germania ha presentato una formazione diversa dalla solita: con Haller in posizione di mediano laterale e con Bruells, conosciuto anche in Italia, come mezzala destra. 
Gli argentini si sono battuti, a base di gioco stretto e minuto come al solito, in modo rabbioso. E, detto fra parentesi, l'incontro ha dato luogo alla prima espulsione di un giocatore d'attacco. Il calciatore espulso è stato il mediano laterale Albrecht il quale, dopo di avere commesso un fallo di violenza inaudita, ha tentato invano la solita commedia di buttarsi a terra come se si trovasse in agonia. Una commedia, detto fra parentesi, che si ripete anche qui con troppa frequenza. L'arbitro, che ad essa non ha creduto affatto, è stato lo jugoslavo Zenecnic [sic]. L'argentino Albrecht rifiutò dapprima di ubbidire all'ordine di espulsione, un fatto questo che da parte dei sudamericani era successo anche a Torino, e dovette intervenire un dirigente argentino per costringerlo a lasciare il campo. 
La più forte impressione di tutte l'ha lasciata comunque finora l'Ungheria, per il modo in cui ha giocato e vinto contro il Brasile. La partita che i magiari hanno svolto sul campo dell'Everton a Liverpool è stata di una bellezza tale da far riconciliare col gioco le persone più seccate dalle tendenze moderne. I magiari non sono ricorsi a complicazioni di gioco. Essi hanno svolto i loro temi in modo semplice e naturale, tanto da fare parere facile il difficile. Un modo di comportarsi, questo, che ha richiamato alla memoria il gioco di una volta. E i brasiliani hanno confermato a tutti quanti che la loro squadra, quando non compare in campo il divo Pelé, perde la metà del suo valore. I sostenitori del Brasile quasi si offendono quando si dice loro questa grande verità. Essi sostengono il principio che è il Paese intero ad essere forte, ed a possedere una produzione di elementi di valore che gli altri non hanno. Un principio che stavolta ha ricevuto un colpo formidabile. 

I due articoli sono apparsi su "Stampa Sera", edizione del lunedì, 18-19 luglio 1966, rispettivamente in prima e a p. 8

Una creatura senza intelligenza

Le cronache di Monsù
L'ultima coppa del mondo

16 luglio 1966

Ungheria contro Brasile. Come nel '54, i magiari hanno la meglio. Con gran sorpresa di tutti, compreso Pozzo. Priva di Pelé, la Seleçao batte in testa.


Liverpool, 15 luglio. 
Prima della gara di questa sera contro il Brasile, all'Ungheria non venivano date molte possibilità di qualificarsi per i quarti di finale: i magiari erano stati battuti dal Portogallo due giorni fa e si riteneva che contro i campioni del mondo la squadra di Albert avrebbe fatto la stessa fine. A Liverpool, invece, è venuta la clamorosa sorpresa: l'Ungheria ha messo in mostra un gioco pratico e veloce riuscendo ad imporsi per tre reti ad una. Fra i sudamericani mancava Pelé: e stasera si è visto (se ancora ce n'era bisogno) quale peso abbia nel rendimento della squadra l'assenza di un campione come lui. 
L'incontro è stato entusiasmante dal principio alla fine. Ogni tanto, però, è affiorata qualche grave scorrettezza, specie da parte dei difensori brasiliani, spesso superati dai veloci attaccanti magiari. E questo ha guastato un poco una gara che è senz'altro da considerarsi fra le migliori finora disputate ai campionati mondiali d'Inghilterra. 
Quando la partita sta cominciando, piove: la pioggia quassù è la norma generale, piove sempre, venti volte al giorno spunta il sole, venti volte l'acqua riprende a cadere. I primi minuti della partita sono tutti a favore dell'Ungheria la quale, dopo poco più di cinque minuti di gioco, si porta in vantaggio per merito dell'ala destra Bene, il ragazzo che nella finale delle Olimpiadi di Tokio ha segnato con una prodezza eccezionale ed è il più giovane elemento della squadra. 
Al 14° minuto, però, viene il pareggio da parte dei sudamericani: un calcio di punizione per il Brasile è accordato sulla destra qualche metro fuori dell'area di rigore; lo batte il mediano Lima con un lungo tiro a mezza altezza, riprende Tostao, proprio il ragazzo che ha sostituito Pelé e che deve il suo soprannome ad una monetina che era in uso anni addietro in Brasile. Il suo tiro è di una precisione straordinaria, esso infila l'angolo alto della porta magiara sulla sinistra dell'estremo difensore. 
La partita è bella ed entusiasmante. Nell'undici brasiliano si sente la mancanza di un uomo come Pelé: i suoi compagni stentano a trovare l'accordo e la giusta carburazione. 
Quando le due squadre si ritirano negli spogliatoi per il riposo di metà tempo la luce artificiale compare in campo. Appena iniziato il secondo tempo una rete dei brasiliani è annullata per un chiaro fuorigioco dell'ala sinistra. 
Al 20° minuto finalmente l'Ungheria va in vantaggio per mezzo di un tiro di Farkas e l'azione che ha portato a questa seconda rete magiara è stata veramente entusiasmante, a seguito di una bella combinazione col pallone raso terra. Poco dopo Garrincha scatta mentre il gioco è fermo e riesce a segnare, ma l'arbitro giustamente annulla. Una bella azione di Bene e Farkas si ripete poco dopo e al 28' l'arbitro concede un rigore alla squadra ungherese per un atterramento in area dello stesso Bene; segna Meszoly, il mediano destro. Tre a uno per l'Ungheria. Il pubblico sostiene i magiari con un'unanimità raramente notata sul campi inglesi. 
L'arbitro annulla una ulteriore rete dei magiari che alla maggioranza del pubblico è apparsa pienamente regolare. Ad un dato momento il mediano destro Meszoly, l'uomo che aveva segnato su calcio di rigore la terza rete, lascia il campo, duramente colpito, ma rientra quasi subito per non lasciare i suoi compagni ridotti nel numero. 
Il risultato è il più sensazionale di tutto il torneo fino a questo momento. Sugli scudi fra i giocatori ungheresi il centravanti Albert, l'ala destra Bene e l'interno Farkas. Dei brasiliani non si può dire gran che di bene; va fatta un'eccezione soltanto per il vecchio quasi quarantenne Djalma Santos, che è stato il loro elemento migliore. Ma il Brasile, privo di Pelé, pare una creatura senza intelligenza. 
Non ha cessato un momento di piovere durante l'intera gara. Il campo però si trovava in magnifiche condizioni, malgrado l'acqua caduta. Gli spettatori erano più numerosi di quelli che avevano assistito alla gara di martedì scorso, ed ammontavano a più di cinquantunmila.

"La Stampa", 16 luglio 1966, p. 9

L'ineffabile storia di Tofik Bachram-og’ly Bachramov

Il francobollo celebrativo dedicato a uno
degli eroi nazionali azeri:
Tofiq Bəhram-oğlu Bəhramov
(1997, vedi il foglietto)
Gianni Brera riteneva che Tofik Bachramov, il guardalinee sovietico della finale mondiale tra Inghilterra e Germania andata in scena a Wembley il 30 luglio 1966, fosse in malafede quando, richiesto dall'arbitro svizzero Gottfried Dienst, giudicò dentro la palla scagliata al 101° da Geoff Hurst sulla traversa e rimbalzata sulla linea di porta. Brera sospettava che Bachramov volesse in qualche modo vendicare l'eliminazione dell'URSS nella semifinale per opera dei tedeschi [G. Brera, I mondiali di calcio, 2010, pp. 76-77]: i sovietici l’avevano patita come un furto (legittimato da Concetto Lo Bello) perché costretti a giocare in nove per l'espulsione dell'attaccante Igor Cislenko che si era aggiunta all'infortunio di Sabo. Pare che l'inviato dell'“Équipe” commentò sobriamente: "Chi parla di complotto a favore dei tedeschi e degli inglesi può sostenere questa tesi con le cifre: nelle ultime tre partite disputate la Germania ha giocato contro squadre di dieci e nove giocatori: l'Argentina in dieci (un espulso), l'Uruguay in nove (due espulsi) e l'URSS in nove (un ferito severamente, un espulso)”. Se poi vogliamo tenere presente come presidente della FIFA fosse allora il britannico Stanley Rous, che era riuscito a ottenere che l'organizzazione della fase finale dei mondiali venisse affidata al proprio paese, di temi per alimentare la cultura del sospetto ve n'erano ben più d'uno, come sapeva bene quell'uomo di mondo, memore di storia, che era il nostro Giaonbrerafucarlo.

La situazione era complessa e banale, a un tempo. Complessa per il contesto delle relazioni internazionali che gravava allora anche sulle manifestazioni sportive: a distanza di mezzo secolo è difficile immaginare la reale portata del clima di guerra fredda che teneva vivo il ricordo, ancora recente, del conflitto mondiale scatenato dalla follia nazista; per il regime sovietico era un'onta aver perso dalla Germania, con la quale era in corso il drammatico braccio di ferro che appena pochi anni prima aveva diviso Berlino in due città separate da un muro fisico e ideologico. Banale perché l'episodio del gol "fantasma" di Wembley, tornato di recente d'attualità per la decisione dell'International Football Association Board di aprire alle tecnologie in casi del genere, consente di rievocare alcuni aspetti, anche un po' ameni, di quella vicenda che sono passati in secondo piano rispetto alla questione del gol o no gol.

La terna arbitrale designata per la finale :
 Karol Galba, Gottfried Dienst e Tofik Bachramov
Innanzitutto cominciamo col ricordare che Bachramov non era russo e nemmeno guardalinee: Tofik Bachram-og’ly Bachramov era infatti azero e arbitro internazionale dal 1964. Da giovane (era nato a Baku nel 1926) aveva fatto il calciatore e negli ultimi anni di guerra era stato arruolato col grado di sergente dell'Armata rossa; ripresa l'attività pedatoria aveva subito un grave infortunio alla gamba che lo aveva indotto a seguire la carriera arbitrale, dove arrivò ad arbitrare stabilmente le partite del maggiore campionato dell’URSS. Selezionato dalla sua federazione come arbitro ai Mondiali del 1966, vi diresse nei gironi eliminatori Spagna-Svizzera annullando il gol regolare del pareggio elvetico: un debutto perlomeno incerto, cui però fece seguito inopinatamente la designazione, insieme al collega cecoslovacco Karol Galba (che aveva arbitrato senza contestazioni Uruguay-Francia 2:1, sempre nei gironi), come guardalinee per coadiuvare lo svizzero Gottfried Dienst nell’arbitraggio della finalissima (era allora abitudine impiegare nel ruolo degli arbitri).

Reliquie: il biglietto d'ingresso alla
finale della Coppa del Mondo 1966
Potremmo pensare che la carriera di Bachramov finì stroncata il giorno del pateracchio di Wembley, ma saremmo degli ingenui. L'uomo era scaltro e navigato e godeva di protezioni altolocate. La decisione che assunse in quel pomeriggio londinese si rivelò la fortuna della sua vita. Non solo ottenne un riconoscimento dalla regina Elisabetta, il "Golden Whistle", per i suoi "services to England" [sic: fonte], ma i dirigenti calcistici internazionali gli fecero dirigere una semifinale di Coppa delle Coppe l'anno successivo, la semifinale di Coppa dei Campioni 1968 tra Manchester United e Real Madrid all'Old Trafford (1:0, gol di George Best), un'altra partita ai Mondiali del 1970 (Perù-Marocco 3:0), la finale di andata di Coppa UEFA 1972 tra Tottenham e Wolverhampton (curiosamente sempre squadre inglesi ...), e infine quella, sempre di andata, della Coppa Intercontinentale tra Ajax e Independiente, giocata il 6 settembre 1972 ad Avellaneda, in cui Bachramov non seppe stroncare il gioco duro degli argentini: al 27° una "patada" (uno zompo, nel gergo dei tifosi gauchos) di Dante 'Tano' Mircoli, un italiano naturalizzato argentino che si era dedicato a uomo su Johan Cruijff, costrinse quest'ultimo a finire lì la sua partita (non senza avere segnato il primo gol al 6°); durante l'intervallo i compagni di squadra del fuoriclasse olandese non volevano rientrare in campo per protesta e fu solo grazie all'opera di convinzione del loro allenatore Ştefan Kovács che la partita poté essere portata a termine (1:1, con pareggio argentino a 8' dalla fine); ma la questione ebbe uno strascico perché dopo aver battuto 3:0 gli avversari nella finale di ritorno, l'Ajax decise di non partecipare alla competizione l'anno successivo (lasciando alla Juventus la gloria di farsi battere, sempre dall'Independiente, in gara a unica a Roma). Insomma, una carriera arbitrale di discreto livello, ma macchiata da episodi discutibili che mostrarono una palese carenza di autorevolezza.

Reliquie: la scarpa destra con cui Geoff Hurst segnò la terza rete
per l'Inghilterra nella finale della Coppa del Mondo 1966
(National Football Museum, Manchester)
Terminata l'attività sul campo, Bachramov scalò i ruoli dirigenziali, dapprima nella federcalcio sovietica e poi, caduto il regime, in quella dell’Azerbaigian, di cui, al momento della morte nel 1993, rivestiva l'incarico di segretario generale. Le gesta di Wembley gli valsero l'imperitura gratitudine degli inglesi, mentre in patria divenne un vero e proprio eroe nazionale. Nelle sue memorie (sì, pare che scrisse pure un'autobiografia) si dice che Tofik ricordò così quell'episodio: ''Non ho visto il punto in cui la palla è rimbalzata, ma ero in ogni caso convinto che fosse rimbalzata in campo dopo avere toccato la rete e non la traversa''. Dunque non vide, ma decise con sicurezza pari alla sicumera. Se rivediamo l'azione a velocità televisiva [qui] si notano almeno cinque cose: 1) Bachramov è in ritardo sulla linea laterale, per palese carenza dinamica, e non segue la posizione dell'ultimo difensore tedesco (il n° 2 Horst-Dieter Hoettges, che aveva accompagnato sulla linea di fondo l’attaccante inglese Alan Ball autore del cross per Hurst) ma è in una posizione diagonale (e non perpendicolare) rispetto al pallone quando questo batte sotto la traversa e poi per terra; 2) il movimento del pallone è rapidissimo e di difficile lettura, tanto che l'arbitro Dienst si rivolge direttamente al guardalinee di sua iniziativa e non su sollecitazione dei giocatori tedeschi (anzi, sulle prime gli inglesi sembrano temere per l’annullamento del gol); 3) Bachramov compie un saltello (come se gioisse?) dopo il rimbalzo della palla e le esultanze degli inglesi; 4) effettivamente si alza uno sbuffo di calce alla ricaduta della sfera sulla linea di porta, come sostennero subito i tedeschi; 5) il dialogo, più a gesti che a parole, tra Dienst e Bachramov è caratterizzato dalla risolutezza di quest'ultimo nell’indicare il dischetto di centrocampo. Da qui i molti sospetti che suscitò subito.

Reliquie: il pallone "Slazenger 25 Challenge 4 Star"
utilizzato nella finale della Coppa del Mondo 1966
Per trent'anni ognuno rimase della propria opinione fino a che non arrivarono i professori (quelli veri, dell'università) a sciogliere ogni dubbio: nel 1995 l'ateneo di Oxford, che è noto per le sue ricerche serissime, ne finanziò una di indubbia utilità che accertò definitivamente, con l'uso di sofisticate tecnologie, quel che si intuisce a occhio nudo grazie alla telecamera: e cioè che il pallone rosso (il fascinosissimo "Slazenger 25 Challenge 4 Star") non aveva superato la linea di porta, e che il gol era irregolare. Come tutto il mondo non insulare aveva sempre pensato.

Bachramov ebbe in sorte di chiudere gli occhi per sempre prima del verdetto tecnologico e portò con sé la sua salda (e cieca, come tradirono le sue stesse parole) convinzione di essere nel giusto. Appartiene invece alla testardaggine albionica la posizione ribadita, ancora nel 2006, da Sir Geoffrey Charles Hurst: "my goal was a good one. But the referee couldn’t follow the ball’s trajectory, and the linesman, Bahramov, did it for him. Everything happened in a flash – the ball crossed the goal line, hit the ground and came out again. In other words, many people couldn’t see it. Everyone looked at the referee, waiting for his decision. The referee was confused, but the linesman Tofiq Bahramov was adamant that it was a goal. He made a perfectly correct decision. This goal was later analysed on computers and most supported Bahramov" [fonte]. A conferma dell’assioma che il mondo è bello perché è vario.

30 luglio 1966, Wembley Stadium
Tofik Bachramov indica il dischetto del centrocampo
nonostante le proteste teutoniche
Su quegli istanti concitati e destinati a passare alla storia sono fiorite leggende, ovviamente variegate, ma tutte centrate sugli stereotipi nazionali e di guerra: secondo una versione, qualcuno urlò dalle tribune a Bachramov "Ricordati di Stalingrado!", riferendosi all'assedio portato dai tedeschi nel secondo conflitto mondiale (una versione però inficiata da alcuni sul piano filologico, perché l'arbitro azero non avrebbe compreso l'inglese); un’altra scuola di pensiero ritiene invece che fu Bachramov che avrebbe risposto alle proteste dei tedeschi citando Stalingrado (ma si ammette anche che nessun giocatore lo ha poi mai confermato); una terza variante vuole invece che sia stato il CT tedesco Schön a cercare di placare le ire dei suoi giocatori rammentando loro che stavano giocando contro l’Inghilterra, che il guardalinee era sovietico, e che la Germania aveva perso la guerra, e che perciò anziché lamentarsi occorreva sopportare e tacere. In alcuni filmati del dopo partita si vedrebbe anche un buffetto che il Kaiser Franz avrebbe rifilato sulla nuca a Bachramov, come a dirgli "è tutto merito tuo, eh?".

6 giugno 2006, Baku
Come due vecchi reduci della seconda guerra mondiale
Hans Tilkowski e Geoff Hurst depongono un mazzo di fiori
all'inaugurazione della statua in memoria di Tofik Bachramov
eretta di fronte all'entrata dello Stadio Nazionale "Tofik Bachramov"
Fatto sta che sia in Inghilterra (e vorrei vedere!) sia in patria Tofik Bachramov continua a essere oggetto di venerazione. In Azerbaigian se ne onora la notorietà internazionale, e quel che ne derivò in termini di attenzione al calcio azero: non a caso lo stadio nazionale di Baku è stato intitolato alla sua memoria nel 2005. L’anno successivo, in occasione del centenario della prima partita di calcio giocata in terra armena convennero a Baku per coltivare il rispettivo elettorato anche gli alti papaveri Joseph Blatter e Michel Platini. Un inquietante colosso statuario in stile sovietico, raffigurante il buon Tofik in mutande, fischietto e braccio teso a punire, fu scoperto il 6 giugno 2006 alla presenza di Geoff Hurst e di Hans Tilkowski, il portiere della nazionale tedesca nella finale di Wembley. Per quarant’anni i due avevano polemizzato a distanza, senza mai incontrarsi, fermi nelle rispettive posizioni: gli storici parlerebbero di memoria non condivisa. Bastò il buon vecchio Sepp per riappacificarli nel segno di Bachramov. Ma fu Sir Hurst a dominare la scena quel giorno; gli azeri lo accolsero come un mito, ed egli ebbe a dichiarare: “In Europe there are not many federations that can boast of a hundred years of history. Azerbaijan is not a strange land to me, because it is the homeland of my friend, Bahramov”. A riconferma dell’assioma che il mondo è bello perché è vario.

12 ottobre 2004, Baku
I tifosi inglesi (in maglia rossa e inequivocabili iscrizioni epigrafiche)
rendono omaggio alla memoria di Tofik Bachramov. In mezzo a loro
il figlio Bahram con una riproduzione della Coppa Rimet 1966 che
la nazionale inglese vinse grazie anche al giudizio insindacabile del padre
D’altra parte, nemmeno due anni prima, in occasione della partita tra Azerbaigian e Inghilterra valida per le qualificazioni al campionato del mondo, i tifosi inglesi avevano tributato un vero e proprio pellegrinaggio alla memoria di Bachramov, recandosi riconoscenti a deporre fiori sulla sua tomba. Una (non sospetta) fratellanza di popoli nel nome del calcio.

Azor