Perché hanno vinto

Le cronache di Monsù
17 maggio 1948

Italia e Inghilterra erano al loro quarto rendez-vous, il primo del dopoguerra. I risultati degli azzurri, ormai quasi interamente reclutati dalle fila del Toro, erano di buon auspicio. Ci si attendeva un match, quanto meno, equilibrato. Come da tradizione. Ma il passaggio - di cui Pozzo non è mai stato convinto sino in fondo - al 'sistema', mise di fronte chi quel gioco praticava da anni a chi lo stava imparando. E fu una batosta storica. A Torino, gli inglesi passarono con un roboante quattro a zero. Disincantate, e meno 'grintose' del solito, le osservazioni di Monsù Poss.
Brera individuerà in questa partita il segno inequivocabile del "mortificante tramonto" di Pozzo e dei suoi; la fine di un'epoca grande e di nuove illusioni. "L'incontrissimo con l'Inghilterra conferma che Pozzo non capisce più il calcio e che lo stesso Torino non ha ancora idea di come ci si difenda ... Matthews bulleggia sgradevolmente accomodandosi i capelli mentre aspetta Eliani al tackle: e quando si decide Eliani a entrare, lui lancia profondo a Mortensen, già scattato a dettare il passaggio ... Pozzo ha vinto due mondiali e un'olimpiade sfruttando il contropiede ma non se ne ricorda. Il contropiede è sempre degli inglesi ... La classe media degli azzurri accozzati da don Vittorio è forse superiore a quella inglese: è invece disastrosamente nulla la conduzione tattica" (Storia critica del calcio italiano)


Proprio come si diceva. Nella discussione tecnica ci si è trovati di fronte a chi la sa più lunga di noi. E chi la sa più lunga, ha finito per avere ragione in misura forse anche superiore a quanto si meritano. 

Ché, su questo incontro si possono dire tante e tante cose. Si potrebbe dissertare a lungo, per esempio, sulla disdetta che ha perseguitato i nostri giuocatori. Questa disdetta c'è stata, reale e positiva, e va dalla preparazione che è stata impedita da un'offensiva del maltempo di una durata ed intensità raramente viste, fino alle decisioni arbitrali che in tutti i casi controversi e decisivi ci sono siate avverse, fino alle circostanze banali che hanno contribuito a salvare dalla capitolazione la rete inglese in più di una occasione. Tutto avverso, d'accordo. Non ne è andata bene una. Ma un fatto sovrasta tutto ed ha maggiore significato ed importanza di ogni altro. Gli Azzurri hanno perduto, perché la squadra avversaria ha giuocato, perché, più ben detto, «sa» giuocare meglio di essa.


L'Undici nostro è stato al di sotto del suo valore, ed al di sotto della situazione. Ecco: i fatti ed i fenomeni del giuoco del calcio si ripetono sovente, come per rinfrescare la memoria, a chi la memoria stessa ha labile. Perchè sono fatti e fenomeni umani. Una squadra - è uno degli insegnamenti - giuoca come l'avversario le permette di giuocare, in bene ed in male. Nel caso presente, è difficile stabilire se, ed in quale misura, gli inglesi abbiano giuocato bene perchè gli italiani hanno giuocato male, o se, ed in quale proporzione, il comportamento degli italiani sia dipeso dal superiore contegno degli inglesi. Per noi, è stato prevalentemente, anzi precisamente, il contegno degli avversari a determinare la situazione in cui si sono venuti a trovare gli Azzurri. L'edizione di squadra che gli inglesi ci hanno mandato questa volta, è un successo di per sé. Un undici di valore eccezionale. Lo compongono uomini di grande levatura, in attacco come in difesa. Uomini che hanno fatto del «sistema» un'arte. In questa formazione e nella forma di ieri, questa squadra nazionale è più forte e più redditizia — e ciò notevolmente — di ogni undici di società professionistica inglese. Tutte le finezze del giuoco sono passate ieri, ad opera di Lawton e compagni, sotto gli occhi degli spettatori: dallo stile di corsa liscio ed elastico, alla prontezza dello smarcamento, all'intesa che avviene come cosa naturale ed automatica, alla franca padronanza della palla, alla capacità di bloccare con rapidità la via di accesso alla propria rete. Se si volesse parlare degli uomini migliori di questa compagine, ci si troverebbe in imbarazzo: bisognerebbe menzionarli tutti, da Matthews, che pure non è stato il miglior Matthews che noi conosciamo, a Mortensen che punta diritto come una freccia sulla porta avversaria, ai due mediani laterali, Wright e Cookburn, che pur essendo anelli di una catena difensiva sanno inserirsi a guizzi nel lavoro degli attaccanti. Da circa tre anni questa squadra giuoca e gira il mondo quasi senza varianti di composizione. Ieri essa ha fornito la prova più brillante che un'unità inglese abbia prodotto sul continente europeo da lunghi anni a questa parte. Una prova che non verrà dimenticata tanto presto da coloro che vi hanno assistito, una prova che in fatto di livello tecnico del giuoco dovrebbe dare molto da riflettere a parecchi.

Il comportamento del nostro «undici» ha disilluso. Effettivamente, rispetto alla prova fatta a Parigi poco più di un mese fa, essa sta come uno sta a tre, se non proprio a quattro. Irriconoscibile. Diverso era l'avversario: lo si è già detto. Un uomo solo, degli undici, è stato all'altezza e della sua fama e della situazione: Parola. Tutto il rimanente della compagine ha scricchiolato. Anche coloro che avevano cominciato bene, hanno finito per cedere nel secondo tempo. Hanno cominciato i due mediani laterali a non tenere il controllo sulle mobilissime mezze ali avversarie, e poco per volta tutto il resto ha fatto seguito. Le circostanze attenuanti esistono. Per. noi, per esempio, due dei punti segnati degli Azzurri avevano carattere di validità. Ma bisogna riconoscere che, se anche la sorte invece di esserci avversa ci fosse stata amica, se anche tutto quello che ci è andato male fosse andato bene, anche in buona, in ottima giornata, il giuoco dei rappresentanti dei nostri colori non avrebbe raggiunto il livello tecnico toccato dagli inglesi. Perché non ne è capace. Perché non ne possiede i mezzi. 

Si era creata tutta una euforia speciale su questo incontro, dopo di Parigi. Il successo riportato sui francesi aveva fatto credere ai più che non vi fosse nulla di vero nel fatto che il nostro edificio tecnico non è ancora in ordine: aveva anzi convinto molti che tutti i nostri problemi di ricostruzione fossero risolti. E la massa degli appassionati italiani aveva finito per commettere l'errore che poco più di un mese prima aveva rimproverato alla massa degli appassionati francesi. Questa partita non poteva avere che un risultato: non poteva terminare che in un trionfo dei padroni di casa. Ha lasciato quindi l'impressione di una amara sorpresa, in questi entusiasti, la constatazione chiara, palese, aperta, marcata che c'è qualcuno che giuoca meglio, parecchio meglio di noi. La via da percorrere nel lavoro di ricostruzione italiano, è lunga e. non facile. I successi che si possono ottenere nel corso di esso non devono essere né sopravalutati, né fraintesi; vanno presi come dei fatti confortanti, senza più, senza perdere la chiarezza nella visione delle cose. Precisamente come occorre non scoraggiarsi dopo certo distacco che s'è visto ieri. Dobbiamo migliorare il livello tecnico del nostro giuoco, e la cosa, per essere fattibile, ha bisogno di ambiente ragionevole.

I capitani alla guida delle rispettive truppe:
Valentino Mazzola e Frank Swift
La partita: Cineteca

Troppe occasioni sciupate dal Toro

Le pazze partite della Beneamata

Il 26 gennaio 1958 si giocava la prima del girone di ritorno. Inseguita da Napoli e Padova, la Juve conduceva in scioltezza il torneo. Parecchio indietro, ma nella parte alta della parte destra della classifica, con uguali punti, Inter e Torino. Sfida diretta, al Filadelfia. Vince l'Inter, con un gol in zona Cesarini ...

Dionisio Arce: calcio molto tagliato e ben piazzato
Il Torino, andato due volte in vantaggio contro l'Inter, ha finito per perdere. Nessuna recriminazione, colpa dei granata, esclusivamente loro. Lo strano miscuglio di giovani e anziani messo in campo con la maglia nerazzurra si sarebbe accontentato senz'altro di un pareggio, dopo essere riuscito a risalire faticosamente la corrente, ma al momento di trarre le conclusioni delle alterne vicende della gara, il Torino è mancato in pieno. Peggio della squadra azzurra a Belfast, ha lasciato l'intera zona di metà campo in balia degli avversari. Skoglund ha fatto il resto. Lo svedese si è ridestato dal suo capriccioso assenteismo come per un colpo di bacchetta magica - anche se, più probabilmente, si è trattato di un calcio irritante finito sui suoi preziosissimi stinchi. Skoglund, con l'aiuto di Angelillo, ha demolito la traballante impalcatura difensiva torinese. Quando, a quattro minuti dal termine, il goal di Masiero è piombato addosso ai granata, l'undici era rassegnato. 

Soltanto in tribuna-stampa, il collega Pierre Courtois, venuto espressamente da Parigi insieme al fotografo Legros per un servizio su Bonifaci, ha avuto un'esclamazione di disappunto. Per l'inutile viaggio, forse, non certo per la sorpresa.

I granata erano partiti a tutta velocità nonostante le insidie del terreno e la fantasia della formazione. Il campo consisteva in un fondo gelato, coperto di segatura. Neppure i tacchetti sotto le scarpe servivano: lunghi o corti che fossero non impedivano i più impensati scivoloni. Uno solo, tra i protagonisti, è riuscito a scoprire il segreto dell'equilibrio, un giocatore di scuola argentina, Angelillo. Sintomo di classe. 

In quanto alla squadra granata, il «complesso del centromediano», sorto per la necessità di sostituire lo squalificato Ganzer, aveva portato ad una serie inattesa di spostamenti. Il dilemma «Bearzot o Pellis numero 5?» era stato risolto con un compromesso, affidando a Fogli — per la prima volta nella sua breve e brillante carriera - il compito in cui si distinguono tipi meno classici ma più robusti. La motivazione ufficiale, non del tutto illogica in partenza, era d'opporre classe a classe, Fogli contro Angelillo. Meno convincente è parso lo spostamento di Bertoloni all'ala sinistra con conseguente inserimento di Brancaleoni a terzino e sacrificio di Tacchi. E' vero che Brancaleoni è risultato in netto progresso rispetto alle precedenti esibizioni, ma Bertoloni non ha sfruttato la sua duplice possibilità di difensore e di attaccante, ed è rimasto sacrificato. E poi perché portare due mutamenti - tre, anzi, dato lo schieramento di Pellis al posto di Fogli - nel reparto arretrato, dal quale si doveva pretendere la massima saldezza? 

Nelle battute iniziali queste incongruenze non si sono sentite, anche perché l'Inter non era a posto (aveva tra l'altro un esordiente, Valadè, ed il ragazzo se l'è cavata molte bene). Insistendo all'attacco Arce ha creato un paio di occasioni buone. Al 15' l'arbitro si è «distratto» su un mani forse involontario di Invernizzi in area, ma un minuto dopo non ha potuto non vedere uno schiaffo dato da Fongaro alla palla. Armano, con finta verso sinistra e colpo piazzato sulla destra, realizzava il penalty

Lo stesso Armano calciava poco dopo a lato su un buon passaggio e si vedeva quindi fermare da Tagliavini un pallone «piazzato» ormai a segno, essendo il portiere interista fuori causa. Era il periodo delle «vacche grasse», il Torino non sapeva approfittarne. 

L'Inter riordinava alla belle e meglio [sic] il suo attacco, compiva un madornale errore con Masiero che indugiava, pur trovandosi completamente libero, ma pareggiava al 41' ancora con Masiero. Uno sbaglio di Grava aveva facilitato il compito al mezzo sinistro nerazzurro (sinistro per modo di dire, poiché Masiero si è dimostrato favorevole all'uso esclusivo del piede destro). 

Valentin Angelillo: improvvisazione,
equilibrio, classe
La ripresa portava in campo le squadre sull'uno a uno, e richiamava in cielo un aereo pubblicitario che lasciava cadere manifestini proprio sul terreno da gioco. Un pizzico di questi non s'è neppure aperto ed è piombato con un colpo sordo sulla segatura. 

Invernizzi, capitano dell'Inter, cresceva in rendimento e anche Angelillo si faceva notare sempre più. Il Torino, però, tornava in vantaggio grazie ad Arce. Su un occasionale fallo di mani di Tagliavini, l'arbitro assegnava la punizione. Con un tiro «tagliato» da oltre venti metri Arce superava l'imperfetta barriera nerazzurra e spediva in rete a fil di palo. Fortuna, ma sopratutto abilità nell'esecuzione. 

A questo punto la difesa dei granata, già strana in partenza è diventata incomprensibile. Anziché stringersi tutta intorno a Fogli ha allargato le maglie. Certi scatti di nervosismo di Grava intento a discutere con «qualcuno» della panchina stavano a dimostrare come gli stessi giocatori si rendessero conto del rischio cui andavano incontro. Difatti ...

Skoglund dopo un serrato palleggio in area sfiorava il palo, ancora Skoglund, al 28', con un'azione irresistibile serviva Masiero. Un granata interveniva debolmente e Angelillo «improvvisava» una stangata irresistibile. Goal. Due a due. 

Enea Masiero: il match-winner
Skoglund, al 30', colpiva il palo strappando un gesto di dispetto a Pandolfini e Angelillo, che, liberi e indisturbati, attendevano il passaggio. In una azione di alleggerimento, Arce sfiorava a sua volta la traversa, ma al 41' era Masiero a segnare. Angelillo «creava» la rete, districandosi tra quattro avversari e servendo la sua mezz'ala. Questi poteva battere Rigamonti, oltre a tutto scivolato mentre tentava di parare. 

In un quarto d'ora l'Inter aveva rimediato ai precedenti settantacinque minuti di errori. Il che significa che il Torino aveva avuto oltre un'ora di tempo per vincere. Un rimpianto di più per una bella occasione sfumata. 

Paolo Bertoldi

Le formazioni
TORINO: Ripamonti; Grava, Brancaleoni; Bearzot, Fogli, Pellis; Armano, Bonifaci, Arce, Ricagni, Bertoloni. 
INTER: Matteucci; Fongaro. Valadè; Invernizzi, Tagliavini, Dorigo; Tinazzi, Pandolfini, Angelillo, Masiero. Skoglund.
Arbitro: Moriconi, di Roma.
Marcatori: al 16' Armano al 40' Masiero, al 64' Arce, al 73' Angelillo, all'86' Masiero.
Spettatori: 19.000 circa.


"La Stampa", 27 gennaio 1958, p. 4

I "vecchi" del Milan piegano la Lazio

Il club più (sotto)titolato al mondo

Pierino Prati
A San Siroil 25 gennaio 1970, non ci sono più di trentamila anime per godersi Milan-Lazio. Il Milan insegue, un po' distanziato, le posizioni di testa; la Lazio si arrabatta nei bassifondi della classifica. 

Milano, lunedì mattina [26 gennaio 1970]

Il Milan dei «vecchi» non disarma. La squadra dei trentenni (lanciata da Nereo Rocco a dispetto dì chi voleva costringerlo ad accantonare Fogli, Trapattoni, Sormani e Combin e inserire i giovani Casone, Riva e Marchi) continua a farsi largo nell'intricata giungla del Campionato, con sventagliate di gol. La scorsa settimana il Milan dei «veci» ha violato il campo del Bari con quattro reti di Pierino Prati e una di Combin, questa volta ha affibbiato tre gol alla Lazio e offerto uno spettacolo di gioco davvero rilevante. 

Nereo Rocco, adesso, potrebbe far la voce grossa, gonfiare il petto e sentenziare: «Avevo ragione io!». Rocco, invece, non parla. A cantare le sue lodi lascia che siano i tre gol inflitti alla Lazio da Fogli, Sormani e Prati e i due pali colpiti dallo stesso Prati e da Combin, quando ancora il risultato era fisso sullo 0 a 0. 

La Lazio, in pratica, non è mai riuscita a contenere le sfuriate offensive della formazione milanista, nonostante abbia giocato una partita degna del massimo elogio, sia sotto il profilo tecnico che sotto quello tattico. I suoi punti di forza sono stati il portiere Sulfaro, che ha compiuto parate difficilissime prima ed ha dovuto arrendersi alla fine soltanto a tre palloni imparabili; lo stopper Polentes, che ha controllato molto bene il capriccioso Combin; il libero Marchesi, e Ferruccio Mazzola, che ha messo più volte in difficoltà Lodetti. 

La squadra capitolina è stata travolta dall'intelligenza tattica di Rivera, che ha confermato di attraversare un perìodo di forma strepitosa. Il capitano milanista è stato tenuto sotto controllo dal difensore italo-inglese Wilson, che ha tentato di fermarlo in tutti i modi: di anticipo, in takle, in velocità. Wilson ha dovuto però soccombere quasi sempre dinanzi all'estro dell'alessandrino, che si è esibito in deviazioni al volo, in «tagli » in corsa ed in lanci volanti degni di un autentico «mister Europa». 

Con Rivera, molto peso hanno avuto nell'economia del gioco milanista proprio i «trentenni» che Rocco ha voluto in prima squadra a dispetto di tutti: Fogli, Sormani, Trapattoni, lo stesso Combin, il quale ha sbagliato molte facili occasioni da gol ma si è anche prodigato con tanta continuità da creare innumerevoli varchi per i compagni di linea. 

Angelo Benedicto Sormani
uno dei "vecchi"
Fogli ha, tra l'altro, segnato il primo gol della giornata, catapultandosi con Governato su una corta respinta dì pugno di Sulfaro: il pallone dapprima ha carambolato sul piede di Governato, poi su quello di Fogli, infine è rotolato in rete senza che alcuno riuscisse a raggiungerlo. Sormani ha, dal canto suo, segnato il secondo gol, dopo essere scattato in dribbling da tre quarti di campo, avere scambiato il pallone con Combin ed essere entrato in area di slancio. 

Non meno positiva è stata la prestazione di Trapattoni, che ha festeggiato il suo decimo anno di carriera milanista (egli ha esordito a Ferrara il 26 gennaio del 1960) annullando dapprima Morrone e quindi Fortunato. 

Resta da dire di Prati, che ha collaborato attivamente alla prima rete battendo da fuori area una punizione concessa dall'arbitro per un contestato fallo di Polentes, e segnando poi il terzo gol rossonero, a conclusione di una azione impostata da Rosato e continuata da Lodetti che Sulfaro ha tentato di interrompere abbrancando irregolarmente per una gamba il mediano milanista. Prima che l'arbitro potesse fischiare il plateale rigore la palla è pervenuta a Prati, che l'ha spedita in rete con un forte tiro da distanza ravvicinata.

David Messina

Le formazioni
MILAN: Cudicini; Anquilletti, Schnellinger; Lodetti, Rosato, Trapattoni; Fogli, Sorniani, Combin, Rlvera, Prati. 12° Vecchi; 13° Golin. 
LAZIO: Sulfaro; Papadopulo, Facco; Wilson, Polentes, Marchesi; Morrone (Fortunato al 70'). Mazzola, Chinaglia, Ghio, Governato. 12° DI Vincenzo. 
Arbitro: De Robbio, di Torre Annunziata. 
Marcatori: al 26' Fogli, nel secondo tempo, al 15' Sormani, al 24' Prati. Spettatori: 30 mila, dei quali 14 mila abbonati e 11.595 paganti, per un incasso di 17 milioni 459.600 lire.

Da "La Stampa", 26 gennaio 1970, p. 9
Altra documentazione: Magliarossonera

Il fantasma del 'goal-fantasma' in Italia (1948-1967)


La fase (tuttora in corso e anzi destinata a protrarsi incattivendo di anno in anno) del calcio da vivere come pretesto di polemica tra tifosi e contesto di pseudo-giornalismo d'accatto inizia, in Italia, il 22 gennaio 1967. In quel giorno così lontano fece il suo ingresso trionfale, in tivù e nella vita quotidiana di tifosi e appassionati, il fantasma del goal-fantasma. Si era manifestato a Wembley, l'anno prima, apparendo, come tutti sanno, proprio durante la finale della coppa del mondo. Non poteva scegliere un momento migliore; tutti quelli che (direttamente o indirettamente) lo videro rimasero a bocca aperta; i più sensibili si chiesero quale minaccia rappresentasse per il futuro del gioco. E come si potesse combattere un simile, tremendo pericolo.

Da noi il goal-fantasma arrivò, appunto, con qualche mese di ritardo. Ma non era propriamente una novità. Aveva già fatto capolino, oltre che in campo, nelle cronache (e anche nei titoli) dei giornali, in anni precedenti. Quando la tivù era ancora spenta. Di seguito, i risultati di una prima, sommaria ricerca.

Il putiferio e la neve sul campo di Busto
Così era introdotto su Stampa Sera del 23 febbraio 1948 il pezzo firmato da Vittorio Pozzo, inviato del giornale a Busto Arsizio per un match assai delicato: "Un goal fantasma turba l'equilibrio di Milan-Pro Patria: 3-2". Tuttavia, in quella circostanza, si trattò di un fenomeno d'altro tipo, cui la definizione di goal fantasma non calza perfettamente. Semplicemente, l'ultimo gol del Milan, segnato a pochi minuti dalla fine, nacque da un pallone che Carapellese mise in area, forse, dopo che aveva già varcato la linea di fondocampo. "Nasceva un putiferio. I giuocatori della squadra locale circondavano l'arbitro, invitandolo, implorandolo a controllare il punto da cui Carapellese aveva eseguito il suo centro. Con viva energia i milanisti cercavano di opporsi ad ogni controllo o sopralluogo. Ché pare che la palla avesse varcata la linea al momento dell'ultimo tocco dell'ala sinistra rossoblu [sic]. Dire come siano andate le cose con precisione, è impossibile per chi stava in tribuna, date le condizioni del campo e la quantità di persone che si trovavano sulla linea", dettava Monsù. Convalidato, era un gol importante, perché manteneva il vantaggio dei rossoneri sul Toro, in cima alla classifica, di tre punti. Pozzo, torinese e moderatamente torinista, si lascia andare a un timido giudizio. "Certo la posizione finale dell'imputato puzza di irregolarità". A distanza di qualche giorno, l'episodio era verificabile da tutti gli appassionati (di calcio e di cinema), poiché la Settimana INCOM inserì nel suo rotocalco proprio le immagini di Pro Patria-Milan [vedi]. Il cinegiornale ha la data del 25 febbraio. In sala, si apprezzano le immagini della partita aspettando (per dire) l'inizio di "Per chi suona la campana". Il 'sonoro' è, come sempre, ironico: Centra Carapellese. Antonini: gol! "Questa è inaudita", attacca il concertato della Pro Patria. "Carapellese ha raccolto oltre la linea di fondo, scancellata dalla neve". "Signori", replica l'arbitro Poggipollini, "per me rimane gol": "Ma che gol!", griderà Turconi, "la palla era fuori di trenta centimetri!". Oh! Sul tappeto bianco si prepara il reclamo da deporre sul tappeto verde della Lega.
Puro entertainment

In effetti, sembra davvero che quel pallone possa sfondare la rete
Davvero clamoroso fu quanto accadde a Torino il 20 maggio 1951. Al Comunale, la Juventus (senza obiettivi da raggiungere) ospita il Genoa (che annaspa in piena zona retrocessione). Segna Praest, i rossoblu impattano. Due minuti dopo, "un tiro violento dal limite di K. Hansen che aveva raccolto al volo un passaggio di Praest fendeva l'aria a mezza altezza e la palla, infilata la porta, usciva dall'altra parte passando attraverso un buco della rete. L'arbitro, benché si trovasse piazzato con una visione libera dell'azione, ebbe l'impressione che la palla, leggermente deviata da un tentativo di parata di Bonetti, fosse passata a lato del montante e indicò il corner. Quello che avvenne è facile immaginarlo e tenne occupati in discussioni per tre minuti buoni arbitro e giocatori. L'arbitro, che era Pieri, negò il punto con la sorprendente affermazione di non averlo visto e, benché invitato dal capitano juventino, rifiutò di recarsi a constatare la lacerazione della rete, non sappiamo se preesistente o se provocata dalla violenza del tiro. Avrebbe potuto interrogare il segnalinee: non lo fece. E' grave che egli non abbia visto quello che non era sfuggito a nessuno (se non vedono i gol che cosa vedono gli arbitri in campo?) ma più grave ancora è il fatto che egli si sia rifiutato di constatare lo squarcio prodottosi nella rete e abbia fatto continuare la partita senza che si provvedesse alla riparazione". Così Ettore Berra, nella cronaca dettata a Stampa Sera, e pubblicata con risalto dato nel titolo al discusso episodio: "Per un punto (che mancava nella rete) Pieri perse le staffe. Il goal-fantasma di Juventus-Genoa: 4-1". Beh, poco male: la Juve vinse largamente quella partita, quattro a uno, e non vi furono conseguenze.

Sta per arrivare la primavera, e nel 1952 l'Inter è ancora in corsa per il titolo. Come, del resto, Milan e Juventus, con i bianconeri momentaneamente avanti di qualche lunghezza. Una trasferta al Filadelfia è sempre insidiosa. L'ambiente caldo. I granata, abbastanza tranquilli, vanno subito in vantaggio. Monsù Poss canta l'emozione del gol ("cosa di rara bellezza"). 

In effetti, la foto è scattata troppo presto (o troppo tardi)
Ma, quel lontano 9 di marzo, il giallo era in agguato. "Si era a pochi minuti dal termine. Gli uomini dell'Internazionale erano tutti protesi in avanti. Perfino il terzino Blason era andato a finire fra gli attaccanti. Un calcio d'angolo, uno dei tanti di quel momento dell'incontro. Riprende proprio Blason appostato sulla sinistra, e Lorenzi devia la traiettoria del tiro verso l'angolo della porta sulla sinistra del portiere. Romano tocca col piede,  ma non ferma, e proprio in extremis arriva Grava e respinge. Nyers termina sparando a lato. Allora, scena madre. I neroazzurri sostengono che la palla già aveva varcato la linea all'istante dell'intervento di Grava, e reclamano ad alta voce ed a braccia protese, e circondano l'arbitro, e lo sospingono. L'arbitro stesso, che aveva seguito da vicino l'azione e che si trovava a pochi passi dalla porta, si era immediatamente e con energia rifiutato di convalidare il punto - ed a lui si era associato, scuotendo la bandierina, uno dei guardialinee - ed ora mantiene il suo diniego. Noi ci guarderemo ben bene dal sostenere o l'una o l'altra delle tesi contrastanti. Onestamente, nessuno può da un'ottantina di metri, e con un velo di uomini davanti, decidere d'una questione di centimetri. Fra chi giura per il sì e chi giura per il no, la fotografia sola, presa casualmente all'istante giusto, può decidere. Ed ancora, la fotografia non può, semmai, avere altro effetto che quello di fornire una soddisfazione platonica". Già! Negli spogliatoi non si parla d'altro, e tutto è riportato nelle "Interviste sul goal-fantasma". L'arbitro era Vincenzo Orlandini, un fuoriclasse del fischietto, avviato a una gloriosa carriera. "Ero in ottima posizione per veder quanto accadeva e non ho sentito il bisogno di togliermi dubbi interpellando il segnalinee. Non posso che confermare a voce quanto ho fatto chiaramente capire sul campo: la palla non ha varcato la linea bianca 'interamente' come vuole il regolamento. Quindi niente goal. Di diverso avviso, tuttavia, fu un brigadiere del Battaglione Mobile, "il quale si trovava per motivi di servizio esattamente all'altezza della bandierina gialla, in condizioni quindi di vedere la palla come attraverso un traguardo. Secondo me la sfera ha varcato la linea del goal, ha dichiarato il brigadiere Ajola. Ma lei è di Milano? Nemmeno per idea, sono di Napoli, però... Però che cosa ?  Volevo dire che, calcisticamente parlando, tifo per la Juventus. Poiché la vittoria dei granata ha giovato pure ai juventini, la testimonianza resa ... fuori servizio dal carabiniere rimane quella di un funzionario obbiettivo".

Alcuni giorni dopo, il Consiglio Nazionale della Lega esamina la situazione, e su La Stampa viene data ampia notizia della riunione. "In seguito a una fotografia pubblicata da un quotidiano della sera, in cui si vede l'arbitro Orlandini quasi semi-sepolto nei [sic] giocatori nerazzurri - tutti identificabili - che chiedono arrogantemente e scompostamente la convalida del noto goal-fantasma, alcuni consiglieri vorrebbero l'adozione di severissimi ed esemplari provvedimenti, per ripristinare una volta per sempre l'autorità e la rigidità [sic] dell'arbitro". Veniamo a sapere, il giorno dopo, che Orlandini "non ha dato molto rilievo nel rapporto alle proteste del giocatori dell'Inter per la mancata concessione del noto goal-fantasma. Invece il commissario di campo ha definito 'isteriche' le scenate dei calciatori nerazzurri e specialmente del capitano Lorenzi. Il centravanti, più volto recidivo in materia, è stato squalificato per due giornate, mentre Nyers se l'è cavata con 25 mila lire di multa e gli altri giocatori nerazzurri con 60.000 lire di penalità collettiva". Punizioni esemplari!

Interessanti cronache dalla Quarta Serie su Stampa Sera del 7 dicembre 1953. "Beffati i vercellesi da un goal-fantasma". La Vecchia Pro, a Massa, perde il contatto con le zone alte della classifica. Maledizione. Vediamo perché: la situazione pare abbastanza confusa. "Alla fine del secondo tempo quando la Massese era in vantaggio per 1-0 Bosisio in una mischia sotto la porta apuana si trova il pallone sul piede: tira fortissimo, ma Bruni con una mano devia la palla contro il montante della porta. L'arbitro Pecora di Lecco concede senz'altro il rigore ai piemontesi. Tira Benedetti, ma Masotti riesce a respingere. Il pallone fa uno strano giro: batte sul palo sinistro e Benedetti che si è spostato verso la porta seguendone la traiettoria riesce ad agganciarlo con il piede destro battendo Masotti. L'arbitro fischia indicando il centro del campo. Poi, mentre i giuocatori gli si affollano intorno eccitatissimi, egli si dirige verso il segnalinee. La discussione si fa animata perché il segnalinee dichiara che il pallone era uscito dalla linea di fondo quando Benedetti l'aveva afferrato calciandolo in porta. Pareggio o vittoria della Massese? Intanto il tempo è scaduto e l'arbitro seguito dai giuocatori gesticolanti, dai dirigenti e da diversi agenti di P. S. esce dal campo scomparendo negli spogliatoi. Qui la discussione si riaccende e stavolta partecipa anche il commissario di campo. Dopo mezz'ora viene comunicata la decisione arbitrale: Massese 1, Pro Vercelli 0". Amen.

Il pomeriggio della vigilia di Natale, nel 1955, all'Olimpico si gioca un anticipo, Lazio-Novara. Squadre di bassifondi. La spuntano i laziali, nell'ultimo quarto d'ora (due a zero). Non disponiamo di cronache romane (il Corriere dello Sport non uscì il 25, né riprese l'episodio nei giorni successivi); su La Stampa, tuttavia, il resoconto della partita (dettato da Sergio Zepelloni) è durissimo. "Il Novara ha perduto una partita che avrebbe potuto agevolmente vincere con due o anche tre reti di scarto". Addirittura! Ma la partita "si è conclusa in un clima arroventato, a causa di un direttore di gara che ha compiuto numerosi errori. Il signor Grigi [recte Griggi] di Brescia ha costantemente dato una interpretazione assolutamente personale alle vicende della gara, sbagliando almeno il cinquanta per cento dei suoi giudizi, fino a concedere alla Lazio (sia pure con l'attenuante di aver prima consultato un guardalinee) una rete che ai più è apparsa del tutto inesistente". Cosa è successo, esattamente? "Ecco come si sono svolte le cose. Fuin, avanzante sulla destra del fronte d'attacco, vedeva aprirsi un corridoio dinanzi a sé, e benché distante tirava direttamente in porta; Corghi, forse colto di sorpresa, non riusciva a bloccare il pallone che incontrava le sue mani aperte e schizzava a terra dinanzi al portiere [n.b.: non era il medesimo Corghi a difendere i pali del Novara?] che tuttavia era lesto ad afferrarlo sul rimbalzo. Fu impressione pressoché generale che la sfera non avesse varcato la linea bianca, e di questo avviso dovette essere evidentemente lo stesso direttore di gara il quale lasciò che Corghi effettuasse la rimessa in giuoco; ma subito dopo, stretto dai laziali che reclamavano la concessione del punto, fermò il giuoco e si diresse verso il guardalinee chiedendone il parere. E quello, che fino a quel momento era rimasto inerte ad almeno 40 metri dalla porta, fu dell'avviso che la palla fosse entrata in porta. Il signor Grigi tornò quindi sulla sua precedente decisione, accordando la rete e suscitando una vera esplosione di sdegno daparte di Corghi, che si avviò verso gli spogliatoi deciso ad abbandonare la partita. A gran fatica l'allenatore e un dirigente riuscirono a farlo recedere da tale proposito. Prendeva invece la via degli spogliatoi, al 35', Baira, espulso per aver espresso all'arbitro un giudizio non certamente benevolo sul suo operato". Insomma: cronaca partigiana o forti pressioni ambientali? Le immagini della partita furono offerte dalla Settimana Incom del 30 dicembre [vedi].

Non ci possono essere dubbi: è un goal-fantasma!
Apprezziamo, però e soprattutto, gli spalti affollati dell'Olimpico

Poco meno di un anno dopo, un altro goal-fantasma è avvistato al Filadelfia. Si gioca Torino-Vicenza, e la rete in oggetto è quella decisiva. Nelle tabulae, è attribuita a Juan Carlos Tacchi (a partire da quell'anno, dieci oneste stagioni sui campi della Serie A, fra Torino, Alessandria e Napoli). Ma fu decisiva la collaborazione di Franco Luison, leggendario portiere dei biancorossi. Ce ne parla Paolo Bertoldi, con argute osservazioni futuristiche. "Secondo Luison la palla calciata da Tacchi su punizione non ha addirittura passato la linea bianca. Il goal non sarebbe 'completo'. A quanto si è potuto vedere da cento metri di distanza il punto pare invece valido. Questo goal decisivo ha compiuto una traiettoria 'diabolica': ripetesse Tacchi cento volte questo tiro da fermo difficilmente otterrebbe un bis. La sfera, scagliata con insospettabile violenza dal piccolo attaccante sud-americano, ha infatti sfiorato le dita del portiere, è finita sotto la traversa e, probabilmente per il movimento rotatorio impressole dalla parata di Luison, è rimbalzata di qualche centimetro oltre la linea bianca prima che l'estremo difensore vicentino la riallontanasse con un balzo agile. Questo - è bene ripetere - diciamo in base a quanto si può scorgere dalla tribuna ed è facile capire che i biancorossi non siano affatto di tale parere e reclamino la visione del cine-giornale. (A proposito: sarà mai possibile piazzare due macchine da ripresa di fianco alla porta, in modo che la freddezza dell' obbiettivo faccia da arbitro tra le passioni e le impressioni contrastanti?). A completare la beffa per il Vicenza, la punizione su cui ha segnato Taccni era 'di seconda'. Se Luison fosse stato tranquillo, lasciando entrare la palla in rete, il punto non sarebbe stato convalidato perché il pallone doveva essere toccato da due giocatori, Luison ha involontariamente completato l'opera del granata. Destino ...". Era il 14 ottobre 1956. Non abbiamo, purtroppo, immagini di cine-giornale da proporre. 

La seconda domenica di febbraio, nel 1963, Inter e Juventus aggiungevano altri due punti in classifica, distanziando sempre più le inseguitrici e chiarendo definitivamente quale fosse il duello per il titolo. E' perciò che, al Comunale di Firenze, il Milan scese per onorare lo spettacolo e tenersi 'caldo' in vista delle partite decisive di Coppa dei campioni. Anche la Fiorentina non aveva problemi di classifica. Si prospettava un pomeriggio di godimento pedatorio. Ma? Ma verso la metà del primo tempo, i rossoneri stanno conducendo "per una rete realizzata di testa dal redivivo Altafini. I giocatori della Fiorentina, anziché abbattersi,  hanno preso d'assalto la super affollata area di rigore milanese. Hamrin dalla destra del campo centra all'indietro a Marchesi, mezzala di ripiego, che è pronto a sparare in rete: Ghezzi intuisce e di pugno respinge corto proprio sui piedi dell'accorrente Petris che, colpendo con forza, manda la sfera ad insaccarsi. Il pallone varca la fatidica linea di porta e torna in campo. Per la Fiorentina è il pareggio. Questo è quanto abbiamo visto ed hanno visto la maggioranza dei presenti sugli spalti del Comunale. Uno solo, l'arbitro, il signor De Marchi di Pordenone, e in un secondo tempo anche il segnalinee e tutti i componenti la comitiva rossonera del Milan, negano che il pallone abbia varcato la soglia di Ghezzi. Quello che è successo quando l'arbitro ha fatto cenno di proseguire il gioco ve lo potete immaginare: i calciatori viola hanno accerchiato il direttore di gara. Sarti, capitano dei fiorentini, ha lasciato la porta ed ha affrontato l'arbitro chiedendo di spiegare la decisione presa e di interpellare il segnalinee. De Marchi non solo non ha voluto rispondere, ma non ha neppure chiesto la collaborazione del giudice di linea" (Loris Ciullini, L'Unità, 11 febbraio 1963; titolone: "Solo l'arbitro non ha visto il goal viola!"). A sentire Giordano Gaggioli (Stampa Sera) la questione è addirittura più complessa. "De Marchi ha fatto proseguire il gioco sebbene la palla, calciata a mezza altezza da Petris e intercettata sulla linea da Trebbi, fosse finita in rete (è l'opinione dei più) e quindi ricacciata velocemente in campo. Inutili sono state le proteste dei giocatori viola: l'arbitro non ha voluto ascoltare ragioni. Forse, così come i giocatori rossoneri, ha creduto di vedere la palla battere su una gamba di Trebbi e quindi picchiare contro la traversa. A scuotere la rete secondo il parere dei rossoneri sarebbe stato Hamrin entrato in porta a catapulta. Tuttavia, ammesso che la palla non fosse entrata in rete - sostengono i viola - l'arbitro avrebbe dovuto fischiare il rigore, perché il pallone era battuto non già su una gamba, ma su un braccio di Trebbi". Beffa doppia, insomma.

E una mutazione è alle viste, come appare addirittura e proprio dalla pagina sportiva dell'Unità, dove l'immagine che commenta l'editoriale di Puck (l'eroe della domenica) è  lui, l'arbitro, Bruno De Marchi. "Va bene, il goal annullato alla Fiorentina contro il Milan, che per tutti era regolare meno che per il signor De Marchi, non avrebbe cambiato un bel niente nelle sorti finali della classifica principale. Né quelli annullati a Jonsson e a Orlando (a Napoli e a Genova) per la Roma. E' vero, anche, che in linea di massima tutti questi errori impunibili (e impuniti) si compensano; ma che la gente ci resti male, è un fatto. Ed è un altro, che non sembra facile risolvere il problema. Nel campionato italiano le regole sono stranamente immutabili: sono sempre le stesse dai tempi dilettantistici della Pro Vercelli al super-professionismo odierno. Non chiedetemi un parere. Non ce l'ho. Anzi, sotto sotto, perdonatemi, ma gli arbitri mi divertono proprio per la sproporzione umoristica, che si portano appresso ogni domenica, tra le loro capacità e la loro effimera 'grandezza'. Ma sì, con quei gesti impettiti e quelle arie gloriose, anche essi ci aiutano a passare pomeriggi eccitati e imprevedibili. Chissà, forse è meglio così!".

Ci si avvia verso un punto di non ritorno. Anche perché, la sera domenicale del 10 febbraio 1963, nelle rubriche sportive del Primo programma (le Cronache prima del Telegiornale e, naturalmente, La Domenica Sportiva), l'episodio di Firenze è stato accuratamente analizzato. Come? Ne siamo accuratamente informati da Leo Cattini (La Stampa, 12 febbraio 1963). "Le due trasmissioni televisive di ieri sera sul primo e sul secondo canale avevano determinato, con le loro rapide e non sempre chiare sequenze, impressioni e sensazioni contradittorie, tant'è vero che stamane i pareri erano ancora contrastanti anche negli studi televisivi, dove i fotogrammi erano stati oggetto di osservazione e di studio: da ciò discussioni e polemiche a non finire anche da parte degli sportivi più o meno interessati alla vicenda. Ma dietro alla porta del Milan in quel 'fatale' momento vi era un altro operatore della televisione, che aveva centrato bene lo svolgersi successivo dell'episodio controverso, verificatosi, com'è noto, al 22' del secondo tempo. Per un disguido (una complicazione segue sempre l'altra) quella pellicola, anziché agli studi di Milano, veniva spedita a quelli di Roma, di dove per via aerea la 'pizza' poteva poi giungere a Milano nelle prime ore del pomeriggio, ossia in tempo utile per discuterne e irradiarla alle 20 nella rubrica 'Telesport'. Prima però la Rai-tv consentiva che un gruppetto di giornalisti potesse esaminare i fotogrammi in moviola, con fermate e ritorni a comando, per poter fissare nel modo più esatto possibile la realtà. Non era goal. Ecco la successione meccanica dell'azione: Marchesi, avanzato sulla destra con Radice al fianco, centra basso e sul pallone sta per irrompere Canella; il portiere Ghezzi riesce a respingere corto a cinque o sei metri verso la sua destra, sopraggiunge in corsa Petris inseguito a distanza da Benitez e l'attaccante viola sferra un forte tiro che scaglia il pallone contro il braccio sinistro di Trebbi. Il pallone ha una curiosa e violenta impennata, si alza e picchia sotto la traversa rimbalzando poi fulmineamente a terra, fuori della porta, mentre Hamrin si slancia e finisce dentro la porta scuotendo la rete. Sul rimbalzo Radice allontana. In sede analitica è possibile obiettare che, pur non essendovi il goal, poteva esservi il calcio di rigore, in quanto il pallone calciato quasi a colpo sicuro da Petris sarebbe senz'altro entrato in rete se non fosse stato intercettato dal braccio di Trebbi, ma qui entra in causa la valutazione dell'arbitro, il quale può aver ritenuto non intenzionale il fallo, considerando che il pallone era andato a cercare il braccio del terzino rossonero e non viceversa. Si sa che nessuna documentazione fotografica o televisiva, per quanto chiara e perentoria, può incidere su un risultato a termini di regola mento. Nello scorso campionato di serie B non servì a nulla la prova televisiva che il pallone era entrato in porta durante la partita Lazio-Napoli [n.b.: episodio occorso il 4 marzo 1962] ma riuscendo da una smagliatura della rete, e gli enti giudicanti di tutti i gradi si attennero esclusivamente alle attestazioni del direttore di gara. Però, nel caso attuale che ha appassionato la moltitudine degli sportivi, la prova che il pallone non è entrato in porta sarà servita a mettere a posto la coscienza dell'arbitro De Marchi, a convincere i dirigenti e i sostenitori viola, ed a dissipare le perplessità dei dirigenti milanisti".

La 'moviola', dunque. Non è ancora offerta sistematicamente in pasto ai telespettatori; ma negli studi RAI è adoperata a supporto di un'informazione (si suppone) migliore, ad uso anche dei cronisti delle testate giornalistiche.  

La moviola torna protagonista il 22 gennaio 1967. Ultima giornata del girone di andata di un campionato strano. Comanda l'Inter di Helenio, con un solo punto sulla Juventus di Heriberto. I nerazzurri vengono fermati in casa dal Mantova, la squadra che pareggiava sempre. I bianconeri sono attesi all'Olimpico dalla Lazio, che in casa recita il ruolo dell'ammazzagrandi. Lì, hanno già lasciato le penne Bologna e Inter. L'arbitro è ancora lui: Bruno De Marchi. Cosa succede dunque? Riguardiamo il filmato televisivo.

In prima pagina su La Stampa, la foto dell'episodio clou. Sovrastata da un titoletto che, nonostante le virgolette, non lascia dubbi: 'Rubato' un goal alla Juventus. Il servizio principale (Tira De Paoli, la palla schizza in rete. De Marchi non concede il goal: 0-0). è di Giulio Accatino. "La Lazio ha saputo bloccare la Juventus sullo 0 a 0. L'impresa è riuscita ai bianco azzurri grazie ad una condotta di gara generosa e prudente, ma grazie specialmente all'arbitro De Marchi, che non ha concesso un goal, valido e preciso, segnato da De Paoli al 7' della ripresa. E sull'assurda decisione del signor De Marchi si è cristallizzato il risultato di parità, che può anche essere considerato equamente valido, ma che determina un autentico 'furto' alla classifica dei bianconeri, che avrebbero potuto chiudere il girone d'andata del campionato alla pari con l'Inter, e che invece devono continuare a recitare la parte di inseguitori ai neroazzurri 'campioni d'inverno'. Su questo punto di De Paoli verranno ora versati fiumi di parole, ma la ripresa televisiva ha tolto ogni dubbio. Il goal era valido ... Raccontiamolo subito questo episodio-chiave della gara. Si era al 7' della ripresa, e la pioggia che stava cadendo a dirotto rendeva difficile non solo il gioco ma addirittura l'equilibrio degli atleti. I bianconeri - come avevano già fatto nel primo tempo - attaccavano con sufficiente decisione, e sulla destra avanzava anche Del Sol che dopo un rapido scambio con Zigoni centrava lungo verso sinistra. Sulla palla, che aveva superato lo sbarramento dei laziali, piombava De Paoli che al volo di destro calciava con estrema violenza. Cei tentava di intervenire ma toccava appena il 'bolide'. La palla batteva sulla corda che sostiene la rete ben oltre la linea bianca e ricadeva a terra. Cei con gesto rapido la raccoglieva servendo Carosi. L'arbitro De Marchi era a pochi passi, ma invitava i laziali a continuare il gioco, interrompendo le feste che i bianconeri stavano facendo a De Paoli. Visto lo strano atteggiamento di De Marchi, De Paoli, Menichelli e Del Sol cercavano di convincere il direttore di gara ad interpellare il guardalinee, ma De Marchi irremovibile diceva di no. Fischiava anzi un fallo contro i torinesi 'per proteste'. Poi, dietro le insistenze di Castano, De Marchi finalmente si avvicinava al suo collaboratore, parlottava con lui per parecchio, poi decideva che la palla non era entrata. Sinceramente, il signor De Marchi ha sbagliato. Si dirà che non è la prima volta e che gli errori dell'arbitro determinano un risultato e che gli sbagli che oggi sono negativi potrebbero domani diventare favorevoli. Tutto vero. Però aveva ragione ieri il comm. Giordanetti (vice commissario bianconero) che nelle ultime tre partite — Mantova, Lanerossi e Lazio — ai Juventini erano stati annullati ben quattro goals, con il risultato di aver perso due punti, contro il Mantova e contro la Lazio, punti utilissimi per la classifica. Continuando di questo passo dove va a finire la regolarità del torneo? Lo chiediamo ai dirigenti della Federazione e specialmente ai dirigenti arbitrali. Non parliamo per una squadra o per l'altra; sosteniamo solamente la tesi della regolarità, e sosteniamo specialmente che certi arbitri, o perché giovani ed inesperti o perché anziani e sulla via del tramonto (è questo il caso di De Marchi) non possono più essere impiegati in gare importanti. E che Juventus-Lazio fosse una partita di grosso interesse già si sapeva, perché la Lazio non poteva perdere in quanto si trova impegnata nella lotta per non retrocedere e perché la Juventus nella disperata speranza di raggiungere l'Inter meritava in trasferta ben altra protezione che non quella fornitale dal modesto signor De Marchi".




















Il goal-fantasma irrompeva addirittura sulla prima pagina di L'Unità.


Il caso è clamoroso. Anche perché, per esempio, contro l'Inter - grande e potentissima: è il tempo della 'sudditanza psicologica' - non vengono assegnati calci di rigore da novanta partite, ricorda qualcuno. Ma, a parte questo - si aggiunge -, falsare le partite significa falsare il Totocalcio. Occorre trovare rimedi. Roberto Frosi (L'Unità, 24 gennaio) propone "di introdurre il foto finish (più precisamente il goal finish) anche nel calcio, alla stregua di quanto si fa nel ciclismo e nell'ippica. Se il ricorso al fotofinish non si dimostrasse possibile tecnicamente allora bisognerebbe studiare qualche altra soluzione: come per esempio dei giudici di linea ad imitazione di quanto avviene nel tennis. Certo è che ormai l'esperienza ha dimostrato la necessità di nuove tecniche o di nuove soluzioni per garantire la regolarità dei risultati ai fini della classifica e del Totocalcio: certo è che non si può più andare avanti così. Nell'epoca dei razzi interplanetari, delle grandi conquiste scientifiche in ogni campo, nell'epoca in cui è più forte il senso della giustizia o dell'ingiustizia il calcio è regolato ancora da norme che potevano forse essere valide al tempo delle carrozze a cavalli. Non diciamo con ciò che si potrà arrivare addirittura alla eliminazione degli errori: ma ad una diminuzione delle probabilità di errore si può e si deve arrivare".

Istantanea decisiva: la freccia indica qualcosa che
potrebbe anche essere un pallone di cuoio

Il buon De Marchi si difende come deve e come può. "Ho spedito il mio rapporto alla Lega subito dopo la partita ed ho scritto onestamente ciò che ho visto e ciò che è accaduto sul campo. Ho riferito anche il mio colloquio con il mio guardialinee. Mi dispiace proprio, ma io il goal di De Paoli non l'ho visto. La TV mi ha dato torto? Non posso farci niente ... Io ho riferito ciò che ho visto, di più non potevo fare" (L'Unità, 25 gennaio).

Vittore Catella, deputato e presidente della Juventus, scrive telegrammi a tutti, a difesa del club e della regolarità del campionato. Dall'Inter rispondono per le rime. Parla soprattutto Helenio. "La TV crea le vittime. Questa volta è il turno della Juventus",
Nasce (o meglio, si consolida), tra le due società, un'inimicizia destinata a durare.
Le chiacchiere e le polemiche infestano per giorni le pagine dei quotidiani (sportivi e non). Nessun dirigente del calcio italiano rinuncia a dire la sua. Si inaugura un costume. Da allora, ogni errore arbitrale considerato 'importante' occupa ogni spazio. Viene riproposto da tutte le angolazioni possibili. Se ne discute, spesso in malafede. E sono discussioni infinite. Maleducate. E sterili, perché coloro che invocano soluzioni (anche ragionevoli) saranno sempre i primi a boicottarle.

E' passato quasi mezzo secolo; dunque, poco o nulla è cambiato. Come palesemente attesta il corsivo (non firmato) apparso su La Stampa il 25 gennaio 1967. "La polemica per il goal, segnato domenica da De Paoli e non concesso dall'arbitro, s'è fatta violenta, quasi cattiva. Addirittura s'è spostata nei termini: non si parla quasi più della rete del centroavanti bianconero, sulla quale non possono sussistere dubbi, in proposito è soltanto lecito sottolineare l'assurdo di un regolamento che carica sulle spalle del direttore di gara una responsabilità troppo grande e che, nei rigori di una legge che non ammette replica, nega l'evidenza. Le discussioni, piuttosto, hanno coinvolto le due più celebri società italiane, la Juventus e l'Inter, i cui dirigenti sembrano impegnati in una sfida a botta e risposta, sfida che presenta evidenti conseguenze pericolose, specie perché si è accesa in un momento delicato, quando l'infallibile barometro dell'affluenza del pubblico agli stadi indica un sia pur lieve calo nell'interesse generale. Gli appassionati diminuiscono di numero, e poco importa se danno l'impressione di voler rimediare con l'intensità del loro tifo. Già sono suonati parecchi campanelli d'allarme, quanto è successo di recente a Brescia, nell'occasione della partita con il Torino, oppure a Firenze per la gara con l'Inter, dovrebbe far meditare su incidenti che un giorno o l'altro possono diventare decisamente gravi e che comunque rappresentano la dimostrazione pratica di un'insofferenza al di fuori ed al di sopra della logica, tenendo conto che si tratta di semplici avvenimenti sportivi. Adesso, in questo ambiente già avvelenato dalle discussioni, la sfortunata disavventura del signor De Marchi è venuta ad aggiungere motivo di dissensi gravi ed insidiosi. Oggi la Lega Calcio, a Milano, esaminerà il rapporto del direttore di Lazio-Juventus e, salvo eccezionali sorprese, verrà sanzionato lo 0-0 con cui la gara si è conclusa: ai bianconeri resterà quindi la magra soddisfazione d'aver ragione, nella certezza, convalidata da milioni di telespettatori, di essere stati defraudati di un regolare successo. Regolamenti più moderni, come quelli già adottati da altre discipline sportive, dovrebbero permettere di rimediare agli eventuali sbagli più clamorosi degli arbitri; ma se ne parlerà nel futuro, se mai se ne parlerà. La situazione attuale resta quindi qual è, in un'atmosfera tesa, nella quale i commissari della Juventus e dell'Inter sono impegnati in un'aspra polemica. E' una pagina nuova, nella convulsa vicenda del campionato, una pagina nuova ma non lieta. E l'uomo della strada si chiede: quando e come verrà chiusa?".

Come si suol dire, non c'è nulla di più inedito della carta stampata.

Mans

"Italiani macaroni, nicht capire football"


Dopo la 'fatal Verona', ecco l'umiliazione di Amsterdam, nella gara di ritorno giocata per la seconda edizione della Supercoppa europea. Poi verrà anche la sconfitta per mano del Magdeburgo, nella finale di Coppa delle coppe: a quel punto, il grande e lungo ciclo europeo del Milan intitolabile a Nereo Rocco e Gianni Rivera sarà definitivamente chiuso. E per l'ex 'Golden', con il deludente mondiale tedesco, finirà anche la carriera in azzurro. Un anno terribile. Della partita di Amsterdam riproponiamo le considerazioni di Bruno Perucca, inviato all'Olympisch Stadion per "La Stampa".


I giocatori dell'Ajax sono usciti dallo spogliatoio, ieri sera, reggendo le valigette con gli indumenti di gioco. Ai bagagli del Milan, invece, hanno pensato degli inservienti: Rivera e colleghi erano forse troppo stanchi per portarseli da soli. E' sin troppo facile, e anche ingeneroso, fare dell'ironia dopo un 6 a 0 eloquente come quello che ha permesso ai campioni d'Olanda e d'Europa di «distruggere» la linea Maginot preparata da Rocco e conquistare i 40 chili della «Supercoppa» (valore 15 milioni di lire), ma è indubbio che raramente una squadra italiana ha offerto all'estero una tale disastrosa impressione.

Alla fine - dopo il 2 a 0 del primo tempo e una pallida reazione rossonera in apertura di ripresa (culminata con una palla-gol creata da Chiarugi e parata da campione dal portiere Stuy) - sembrava di assistere a un allenamento, con l'Ajax che in quella bufera di vento e di pioggia si muoveva a suo agio, rispondendo a suon di gol alle richieste del pubblico. 

Avevano già segnato Mulder, Keizer (nel primo tempo) e Neeskens, la gente gridava «quattro» ed ecco la botta di Rep, poi «cinque» ed ecco il rigore di Muhren dopo un fallo di Schnellinger su Krol che pareva una definitiva dichiarazione di resa, poi chiedevano «sei» ed ecco l'irridente rete finale di Haan, segnata dopo un palleggio fitto fra le gambe ormai molli dei difensori avversari. 

Mentre Gloekner chiudeva il match, un tifoso olandese, ubriaco di gol e di birra, ci ha gridato in faccia da mezzo metro: «Italiani macaroni, nicht capire football», e con questo viatico siamo scesi negli spogliatoi, dove il sorriso radioso del presidente Buticchi ci ha davvero scioccati. «Ridere per non piangere», ha detto il presidente del Milan, ma chi conosce le ultime burrascose vicende di casa rossonera assicura che la frattura fra il dirigente e la coppia Maldini-Rocco è sempre più netta. A Buticchi, quindi, può anche far gioco questo tracollo, malgrado investa il buon nome del Milan, per sottolineare la bontà delle sue convinzioni. 

Di certo, il club rossonero sta attraversando un momento difficile. Dopo la sconfitta dell'anno scorso a Verona - nel giorno dello scudetto bianconero -, presidente e tecnici non vanno più d'accordo. Buticchi prima lasciava fare tutto a Rocco, dopo ha preso lui in mano anche le redini tecniche, almeno per quanto riguarda la campagna acquisti che ha condotto in un modo che Rocco non da oggi disapprova. 

La cessione di Prati è il punto chiave dei contrasti fra i due personaggi, ma bisogna dire che il tecnico non ha avuto il coraggio, se veramente tale era il suo pensiero, di presentare le sue dimissioni invece di guidare una squadra fatta non in modo a lui confacente. Il trainer rossonero, prima di cedere la panchina a Maldini, ha messo da parte con troppa facilità giocatori come Dolci e Bergamaschi, che evidentemente hanno bisogno di un lungo periodo di ambientamento, ha cercato di portare avanti dei giovani ma l'ha fatto troppo tardi. 

La squadra è venuta ad Amsterdam priva di convinzione, ma questa è una grave colpa e non una scusante, quando si accettano impegni internazionali di questa portata. L'impostazione tattica superdifensiva è crollata perché gli uomini non erano in condizioni fisiche tali da poter reggere a questo sforzo. Quando si gioca nella propria area, bisogna almeno avere la decisione e la forma atletica per interpretare questo tipo di calcio rinunciatario ma che perlomeno avrebbe potuto limitare i danni. Inoltre, il Milan ha commesso un errore di valutazione nei confronti dell'Ajax, che in casa non concede scampo alle squadre che si rinchiudono. 

Espressioni allegre in aereoporto.
Difficile capire se colte all'arrivo 
o prima della ripartenza ...
La beffa di San Siro non poteva ripetersi di fronte a giocatori determinati e decisi com'erano ieri sera quelli olandesi. Le condizioni disastrose di Rivera hanno messo l'accento sul crollo della compagine italiana. Schierato ancora una volta con la maglia n. 9, con compiti di regìa arretrata, di trattenere i palloni che la difesa respingeva in modo da dare fiato a Schnellinger e colleghi, il capitano ha fallito completamente la prova, sbagliando anche in contropiede una palla gol anche se l'ha ricevuta al momento in cui la partita era già largamente decisa. Così è maturato il crollo rossonero, la squadra è parsa davvero inferiore ad ogni aspettativa.

La supercoppa voluta dai dirigenti non piaceva a Rocco, ma questa considerazione non basta a giustificare la «débàcle» di ieri sera che rilancia l'Ajax i cui giocatori, pur fra polemiche e discussioni, rimangono sempre degli atleti. Ed è pertanto giusto che abbiano trionfato sui molli avversari guidati dall'evanescente capitan Rivera.

"Stampa Sera", 17 gennaio 1974, p. 11 (Milan, che figura!)

Vedi la partita in Cineteca

Le imprese della "fedelissima"

Cortesie.
Osserva, appoggiata alla balaustra, la Regina Elisabetta
[10 gennaio 1974, Torino]

Oramai anche i miniderby diventano motivo di contestazione e spunto per incidenti. Purtroppo, ieri al Filadelfia, durante e al termine del confronto «Under 23» fra Torino e Juventus si sono registrati episodi spiacevoli: alcuni tifosi granata capeggiati da una «fedelissima» hanno tentato di invadere il campo, poi se la sono presa con Piloni bersagliandolo con sassi (uno dei quali colpiva alla fronte una maschera, ferendola), assediando infine l'arbitro negli spogliatoi. Ogni tentativo per riportare la calma è stato inutile: lo stesso dottor Bonetto ha dovuto rinunciare e rientrare, fra gli insulti, negli spogliatoi. L'arbitro, protetto dalla polizia, poteva poi lasciare su un taxi del Torino il campo vanamente inseguito da una cinquantina di persone, prese in contropiede essendo l'auto uscita da una porta secondaria. Bilancio del pomeriggio: la maschera Bovo Sist contusa (ferita lacero contusa allo zigomo destro), danni all'autovettura di un giornalista (presa a calci): prevedibile una multa al Torino.

Una parentesi da dimenticare, dunque, per il club granata, sconfitto oltretutto dalla Juventus (3-2) che, portatasi in vantaggio su rigore con Viola, aveva consolidato il bottino dapprima con Musiello (in sospetto fuorigioco sbandierato da un guardalinee, ma non rilevato dall'arbitro Squizzato di Verona) e successivamente con Gentile. La reazione del Torino aveva alimentato le speranze dei cinquemila tifosi granata presenti sugli spalti del Filadelfia - cui vanno aggiunti almeno mille sostenitori bianconeri - avendo Bortot e Cereser ridotto le distanze, stringendo poi la Juventus, che sino ad allora si era disimpegnata con scioltezza, in un'autentica morsa. Mentre l'assedio alla porta di Piloni si faceva intenso, iniziava lo «show» della fedelissima granata (la stessa che martedì sera ha fatto la pace con Cuccureddu dandogli un bacio nel corso di una serata danzante, indicata come l'autrice dello schiaffo dato allo stesso bianconero dopo il derby), la quale saltava giù dalla tribuna centrale e tentava di scavalcare la rete di protezione.

L'impresa falliva, gli agenti di servizio la invitavano a desistere: seguita da una cinquantina di ragazzotti, la donna si portava sul parterre all'altezza della porta di Piloni iniziando la sassaiola. Il giocatore abbandonava la porta «rifugiandosi» a centrocampo mentre l'arbitro sospendeva momentaneamente la partita giocata dal Torino con Pigino, Binelli, Fossati, Nuti (Pasquali), Cereser, Donadel, Pellegrini, Mascetti, Graziani, Vernacchia (Torresani), Bortot; mentre la Juventus ha presentato: Piloni, Chinellato, Marchetti, Gentile, Zagano, Mastropasqua, Nemo, Viola, Musiello, Maggiora, Balestra.

Tornata momentaneamente la tranquillità sugli spalti, l'arbitro faceva concludere il gioco dopo che Pasquali aveva fallito l'ultima occasione. Fra altre intemperanze, i giocatori si infilavano nel sottopassaggio mentre all'ingresso iniziava l'assedio. Vycpalek, Bizzotto e tutti i giocatori bianconeri passavano indisturbati tra la folla mentre un commissario di polizia (scambiato per un dirigente del Torino e pertanto apostrofato con termini affatto lusinghieri) dirigeva le operazioni per salvaguardare il giovane arbitro. La «fuga» riusciva con il taxi di Giovanni Migneco mentre all'ingresso degli spogliatoi la contestazione veniva rovesciata sui dirigenti del Torino colpevoli secondo il gruppo di tifosi «di non avere salvaguardato nelle ultime gare la squadra, sistematicamente sabotata dagli arbitri». Ancora più pericolose sono apparse le minacce fatte dallo stesso gruppo di tifosi, esasperati dagli ultimi arbitraggi: «Contro il Napoli al Comunale - hanno detto - ci faremo sentire. Saremo noi a portare il Torino in serie B, invaderemo il campo e faremo punire la società: toglieremo agli arbitri la soddisfazione di causare la nostra retrocessione». Parole indubbiamente dettate da un momento di particolare tensione ma che dovrebbero indurre il club ed i tifosi granata alla riflessione: non è certo con la violenza o con le minacce che si aiuterà la squadra a risollevarsi in classifica e a raggiungere quelle posizioni che i dirigenti per primi auspicano.

I «fattacci» di ieri al Filadelfia devono rimanere isolati, in caso contrario il Torino ne ricaverà soltanto un danno morale e materiale. Con tutti i problemi tecnici che l'assillano, Giagnoni e i giocatori non devono sottostare anche a questa spada di Damocle. Anzi, è il momento di sfoderare buon senso e di accettare anche le situazioni più sfortunate: la squadra ha i mezzi per reagire e saprà farlo al di là di ogni contestazione.

Giorgio Gandolfi, "La Stampa", venerdì 11 gennaio 1974, p. 14.

Sette espulsi e una doccia fredda


Biella, lunedì mattina [6 gennaio 1969]

L'Omegna è riuscita ad aggiudicarsi la «partitissima» della serie D e, alla vigilia del confronto casalingo con il Derthona, culla giustificati sogni di promozione. Il rigore realizzato da Avanzo al 5' della ripresa è valso a condannare una Cossatese che fino a quel momento non aveva fatto molto per meritare i due punti. Questo è tutto quanto si può dire in termini squisitamente sportivi sulla partita che opponeva al campo Lamarmora di Biella, dinnanzi a quattromila spettatori, due delle tre squadre fino a ieri a pari punti in testa alla classifica. Perché dal 5' della ripresa e fino al termine, quello che è successo appartiene alle note più malinconiche del gioco del calcio. 

Quaranta minuti nel corso dei quali è successo di tutto, con l'arbitro, il signor Laurenti di Padova, protagonista indiscusso di uno spettacolo assai deprimente. In quattordici minuti, dal 18' al 32', dopo che in tribuna e sul campo si erano già chiaramente ravvisati i sintomi del nervosismo per la discutibilità del rigore concesso, l'arbitro ha battuto ogni record in senso assoluto decretando sette espulsioni e ammonendo due giocatori. Al termine, mentre le squadre rientravano negli spogliatoi un dirigente della Cossatese ha tentato di aggredire l'arbitro e un ragazzino, molto più svelto, ha rovesciato in testa al direttore di gara un secchio d'acqua, poco consigliabile con queste temperature. Per sfuggire ai tifosi inferociti, poi, il signor Laurenti ha dovuto lasciare Biella scortato dalla polizia dopo aver abbandonato lo stadio, un'ora dopo la fine della partita, per una via secondaria. Il discusso episodio del «rigore» si è verificato al 5' della ripresa. L'Omegna insiste in una certa prevalenza offensiva, mentre la Cossatese non riesce a ritrovare il solito filone di gioco. Bossi allunga sulla sinistra una palla per Omini che all'ingresso in area viene atterrato dall'arretrato centravanti cossatese, Granai. L'arbitro senza indugio concede il rigore. Inutili le proteste degli azzurri. Dalla tribuna è parso che il fallo esistesse, ma si può discutere sulla zona in cui è stato commesso: già in piena area, oppure sul limite. Batte Avanzo e Camposeo non ripete il miracolo di Vercelli. Palla in rete a destra del portiere spiazzato a sinistra: 1-0. 

In tribuna iniziano le scazzottature tra i tifosi, il gioco diventa nervoso (nel primo tempo era stato piacevole), gli incidenti aumentano d'intensità. Al 18' Tromellini (già ammonito) si lamenta con l'arbitro perché questo chiama i giocatori dell'Omegna per nome. «Allora li conosce proprio tutti!» dice Tromellini. «Vada fuori» risponde l'arbitro. L'espulsione scatena le proteste della panchina biellese. L'arbitro invoca con ampi gesti l'intervento della forza pubblica. Espelle anche il portiere di riserva Accanto, e i dirigenti Faccio e Paschetto. I tifosi più esagitati cercano di scavalcare la rete di recinzione del campo per buttarsi sull'arbitro, altri più ragionevoli li bloccano. Il gioco riprende. Ormai non è più una partita di calcio, tale e tanto è il nervosismo. Al 25' Rastrello, centravanti dell'Omegna, commette un fallo normalissimo su De Girardi. L'arbitro decide di espellere anche Pastrello. Al 30' Granai (già ammonito per simulazione) commette un doppio fallo su Bossi e viene espulso, giustamente. 

Non è finita. Al 32' l'omegnese Bottini finisce a terra dopo un contrasto con un difensore della Cossatese. Il signor Laurenti ravvisa gli estremi della simulazione e allontana dal campo l'attaccante dell'Omegna. La partita termina tra i fischi, le ingiurie e le minacce del pubblico. Al rientro negli spogliatoi, il dirigente Faccio cerca di aggredire l'arbitro ma viene fermato in tempo; quindi l'attentato del ragazzino che si improvvisa pompiere rovesciando sul capo dell'arbitro un secchio d'acqua. In mezzo a tanta confusione, nel finale spicca la figura del commissario del campo, il quale dicendo «Sono il commissario» dà ordini a tutti, allontana tutti e minaccia i giornalisti di espulsione dallo stadio senza un valido motivo. Viene naturale di prenderlo per un funzionario di polizia e quando si scopre che, invece, è il commissario di campo lo si affianca, sorridendo, all'arbitro nel quadro di una infelice giornata per i responsabili della giustizia calcistica. 

Franco Costa, "Stampa Sera", 6 gennaio 1969, p. 11. Vedi anche, ivi: La panchina del trainer incendiata a Padova