Il terzino "a sorpresa" ha sbalordito gli inglesi

Le cronache di Monsù
28 novembre 1951

Presentando l'incontro amichevole di Wembley tra Inghilterra e Austria, il giorno della partita, Pozzo aveva battuto più sul tema dell'invincibilità interna degli inglesi che sul significato tecnico della partita. Doveva essere, per gli uomini di calcio del continente, una sorta di ossessione, ("un'ambizione, una meta agognata, un traguardo storico"). E su questo refrain prende l'avvio anche il pezzo dettato 'a caldo', la sera del 28, dopo la partita. Neanche stavolta l'Inghilterra ha perso in casa, e la sconfitta è stata solo sfiorata. Ma alcune considerazioni tattiche di Monsù sono davvero gustose ...

Post scriptum: erano in campo quel pomeriggio, nei due XI, Alf Ramsey (che segnò dal dischetto il primo gol degli inglesi) ed Ernst Happel.


Londra, giovedì sera [28 novembre 1951]
Il giorno in cui l'Inghilterra piegherà finalmente le ginocchia in casa sua davanti all'«invasore», bisognerà proprio far sorgere una lapide a Wembley, a Highbury o dove sarà il caso, per celebrare ed eternare la riuscita di uno sforzo durato parecchi e svariati lustri, e nel corso del quale si ruppero le ossa le migliori rappresentanze del rimanente del mondo. 
L'Austria è giunta questa volta tanto vicino al successo quanto in altre occasioni erano giunte l'Italia, la Jugoslavia e la Francia. Più avanti non ha potuto andare, né in realtà, tutto considerato, meritava di andare, visto il comportamento degl'inglesi. Ma il suo è stato un assalto portato a regola d'arte in tutti i sensi. Un assalto che si è svolto sotto il segno della disciplina tattica più stretta e più severa.  
La squadra austriaca ha condotto la gara secondo il suo sistema più moderno. 
Ha schierato quattro attaccanti, due centro-mediani, di cui il più arretrato era quasi costantemente quello che proveniva dalla prima linea, il Gernhardt, uno sbarramento difensivo composto stabilmente di due mediani laterali e del terzino destro, e dietro a tutto, con compiti vari, il terzino sinistro. Ora, questo schieramento, con tanto parlare che s'era fatto del modo in cui neutralizzarlo, ha funzionato in pieno, per tutta la durata dell'incontro. Non solo, ma ha finito per disturbare il funzionamento del meccanismo inglese, proprio com'era nelle sue intenzioni. 
Gl'inglesi vengono a trovarsi palesemente a disagio, quando si imbattono in qualcuno che non parla lo stesso loro linguaggio tecnico, precisamente come quando devono discutere, nella vita di tutti i giorni, con qualcuno che non parla inglese. Quel terzino che salta fuori all'ultimo momento, allorché hanno superato lo sbarramento difensivo, è per essi una cosa inusitata, e li conturba, e non sanno come fare a tagliarlo fuori. E quel centro mediano che gioca come si giocava una volta, e si piazza nella «zona di nessuno» e prende una quantità di palloni e li ridistribuisce, rappresenta una costruzione della fase d'attacco che li costringe a pensare e a giungere ogni volta in ritardo nel capire. Riescono a colmare anche questi svantaggi, per via della loro superiore capacità tecnica, ma l'imbarazzo sussiste ed è evidente. 
Gl'inglesi hanno, giocato, a detta di tutti, come mai finora in questo dopoguerra. Avrebbero anche vinto se avessero saputo cogliere le occasioni che si sono presentate loro nel corso del primo tempo: ma il caso ha voluto che queste occasioni le abbiano avute proprio i due loro esordienti in nazionale, l'ala e la mezz'ala destra Milton e Broadis. Ma allora si può dire anche che il gioco austriaco sarebbe stato più produttivo se fosse stato meno viennese - cioè praticato più in profondità e meno in linea - e che l'arbitraggio ha avvantaggiato gli inglesi - vedasi la grande differenza nella motivazione dei due rigori - e che il solo punto della giornata su azione manovrata, sono stati gli austriaci ad ottenerlo. L'una cosa compensa e neutralizza l'altra, e il risultato finisce per essere giusto. Ma l'incontro non passa certo alla storia sotto il segno di un insuccesso tattico del gioco austriaco, per il semplice fatto che esso ha detto sul campo quello che aveva in programma di dire.

Che gl'inglesi siano stati presi a un certo momento dalla paura che questo successo giungesse a concretarsi anche nel risultato, lo ha dimostrato il loro tripudio all'istante in cui realizzarono la seconda rete. La manifestazione di gioia a cui i giocatori si abbandonarono sul campo fu cosi esuberante da apparire smodata per dei non latini. Mai visto degl'inglesi perdere compostezza a tal modo. 
Sulle risultanze tecniche di questo incontro e sulla situazione inglese al momento attuale, ci sarà il tempo per ritornare con comodo, ora che il periodo autunnale della stagione internazionale è terminato. Intanto, una cosa si può dire. Ed è che questo incontro londinese è stato denso di contenuto tecnico - lontano le cento miglia da quelle partite in cui, chi vuole scrivere del calcio, e non trova nessun diletto a dir male del prossimo, deve lambiccarsi il cervello e arrampicarsi per pareti lisce, al fine di trovare spunti critici e rilievi meritevoli. Sarò il sollievo di trovarsi infine di fronte a qualche cosa di degno, ma si ha l'impressione che non si finirebbe più di scrivere, dopo un incontro del calibro di quello a cui si è assistito. Questo perché, come già detto, l'Austria ha fatto quello che ha fatto. Ma, essenzialmente, perché l'Inghilterra calcistica ha dimostrato chiaramente, attraverso la prova, che è tutt'altro che finita.

 Billy Wright, l'arbitro scozzese John Mowatt 
e Leopold Gernhardt
La partita: tabellino | video: British Pathé - Luce