Oggi, Italia-Germania

18 dicembre 1955


Monsù introduce per i suoi lettori il match amichevole con la Germania campione del mondo, riprendendo i temi legati alla precedente, criticatissima prestazione degli azzurri a Budapest. Sa che le cose andranno diversamente, nonostante la superiorità tecnica dei tedeschi, cui i nostri potranno rispondere con improvvisazione e fantasia ...


Roma, 17 dicembre. 
Il caso, non certamente la volontà degli uomini ha voluto che la squadra nazionale italiana incontrasse, in inizio di stagione ed a breve distanza l'uno dall'altro, i due avversari suoi che vanno ufficialmente per la maggiore: intendiamo dire, quelli che l'ultimo torneo mondiale disputato sotto l'egida della Federazione Internazionale, ha classificato come primo e come secondo nella scala dei valori assoluti. In Svizzera, nel campionato a cui parteciparono le squadre rappresentative di ogni Paese del globo terracqueo, le due compagini finaliste furono quelle della Germania e dell'Ungheria: vinse la prima. Importa solo fino ad un certo punto che il vincitore non abbia giustificato poi nel modo dovuto l'onore allora conferitogli dai risultati. 

Fino alla prossima competizione, le due squadre di cui parliamo occupano nel mondo i due posti di maggior preminenza. I rappresentanti dei nostri colori ne hanno affrontata una il 27 novembre a Budapest: affrontano domani, 18 dioembre, l'altra a Roma. E' stato il caso, ripetiamo, a così volere, ma esso ha coinciso colla teoria di coloro che, per ridare consistenza morale e tecnica all'undici nostro, desideravano incontri difficili ed avversari di grande levatura. 

Il secondo di questi incontri, avvenendo in casa nostra, è dominato da quanto successo nel primo. Dominato, diciamo, non dal risultato bruto — che era previsto e che in sè ha finito per essere tutt'altro che disastroso — ma piuttosto dal comportamento tenuto dai nostri nell'occasione. Un comportamento che ha suscitato, come reazione, un putiferio in Italia e fuori. La linea di condotta alla quale gli azzurri si sono attenuti, è stata quella dell'ostruzionismo, della demolizione, della difesa ermetica, della difesa esclusiva, a totale sacrificio dell'attacco. E, come conseguenza, chi si era recato sul campo per assistere ad uno spettacolo, ha trovato una squadra che non ha voluto e l'altra che non ha potuto giuocare. 

Non tutti i giudizi che sono stati espressi sulla partita di Budapest, sono stati riportati in Italia. In Ungheria fu scritto che si trattava di un attentato alla vita del giuoco, come tecnica e come spettacolo: in Austria si disse apertamente ch'era meglio che il pubblico disertasse i campi di giuoco, piuttosto che pagare per presenziare ad uno scempio simile. Parole dure non furono risparmiate nemmeno da noi. Ma ciò che maggiore impressione ha suscitato, è stato quanto avvenuto in seguito: dichiarazioni che, ammettendo come peccaminosa la tattica adottata a Budapest, possono essere definite come difensive, anch'esse mirando allo scarico di responsabilità specifiche. Dichiarazioni, e vie di fatto, e minacce di dimissioni. 

Risonanze morali a parte, è indubitabile che gli incaricati della formazione e della guida della squadra nostra dovrebbero battere una strada nuova. In parte, nella prima fase, quella della formazione, l'hanno già battuta. Per fare fronte alla situazione sono ricorsi ad un blocco di forze già esistente: quello fornito dalla squadra migliore del momento. Sono stati mobilitati sette elementi della Fiorentina: i due terzini, i tre mediani, il centro avanti, ed in qualità di riserva — blocco morale — anche il portiere. Variazioni ha pure subito il rimanente della compagine, per cui a Roma scenderanno in campo quattro uomini — Chiappella, Rosetta, Boniperti e Frignani — che non erano a Budapest, mentre cinque saranno le modifiche nei ruoli. 

La scelta degli uomini stessi vuol dire in questo caso principalmente la tattica che essi devono adottare sul campo. Questa tattica, come detto, non può essere quella di Budapest. Sarebbe cosa madornale se lo fosse. Per mille ed una ragione. V'è da ritenere che lo schieramento preso sarà improntato ad un qualche cosa di mezzo fra il giuoco aperto e quello puramente difensivo: o a mezzo di uno sbarramento a metà campo, lontano dall'area pericolosa cioè, o per via dell'arretramento, saltuario e temporaneo di qualche elemento dell'attacco. Si tenga o non si tenga per base il classico 'WM' all'inglese, la prudenza in un modo o nell'altro non verrà dimenticata: v'è da esserne certi. Il giuoco avrà comunque tutto da guadagnarci dall'abbandono della teoria di chi entra in lotta puramente coll'intenzione di ingarbugliare le carte all'avversario. 

L'argomento della tattica italiana è strettamente collegato a quello delle capacità e della mentalità dei loro avversari della giornata. Le capacità dei germanici sono più tecniche che tattiche, già lo si è detto recentemente parlando della loro formazione. Individualmente sono tutti di una classe che può essere definita come ottima. Posseggono tutti, quello che, sotto molti aspetti, manca a noi: il senso dell'ordine, della precisione, della disciplina. Ma di questo senso hanno anche il lato negativo: quello che i francesi chiamano, con frase tipica, "les défauts des bonnes qualités ". Sanno a memoria la lezione che devono recitare: ma, di lezioni, non ne conoscono che una. Portati fuori dalla strada che hanno studiata e ristudiata, non sono più i medesimi, perdono linea collettivamente e individualmente, non trovano modo nè mezzi per adattarsi alla nuova situazione. Non amano l'imprevisto, nè vi ricorrono. E non saranno mai essi che, nel vivo del combattimento, salteranno fuori a fare quello che non t'aspetti. Il loro dogma è quello del 'sistema' classico, e metodicamente, radicalmente, al medesimo essi si attengono. 

Per queste caratteristiche speciali degli ospiti — nonché per la migliorata formazione nostra —, noi crediamo più, nel caso specifico, ad un successo degli italiani che ad una vittoria dei tedeschi. Noi saremo in crisi, non avremo linea, saremo difettosi sotto questo o quell'altro aspetto del giuoco, ma geniali, spericolati, improvvisatori, sbarazzini, se ci lasciano fare, lo siamo sempre. Contro un avversario tutto ligio agli ordini, tutto impostazione ed esecuzione severa, il nostro disordine stesso può diventare, se non un'arma vera e propria, un espediente favorevole, un modo di creare situazioni che possono condurre al risultato voluto 

Non andiamo più in là di quanto sia il caso di fare, visto il garbuglio delle condizioni in cui versiamo, ma un successo degli azzurri farebbe un gran bene allo sport nostro. Non per l'euforia di aver battuto i campioni del mondo, che diversi altri prima di noi hanno già battuto. Semplicemente perchè ci darebbe animo e ci invoglierebbe a lavorar sul serio. Riteniamo che questo successo stia nei limiti delle possibilità nostre, e, circostanze aiutando, possa venire raggiunto. 

Immagini della partita a partire dalla Cineteca

L'ultimo pezzo del Gioânn

A commento della dodicesima di andata del campionato di Serie A (stagione 1992-93; qui il riassunto della giornata), Gianni Brera dettò quello che rimase il suo ultimo articolo. Uscì su "La Repubblica" l'8 dicembre 1992

Visto Milan che ti confondi?
di Gianni Brera

Da ricordarsi come scandalosa la XII di campionato. Il Milan perde un altro punto in casa (il terzo consecutivo) con una provinciale che mai ne aveva colto uno fuori dal Friuli; lungi dall'approfittarne, le inseguitrici di Sua Prepotenza perdono tutte: l'Inter ad Ancona, la Juventus a Firenze - per il terz'anno consecutivo -, la Sampdoria addirittura a Marassi. Fra le inseguitrici (ma è un'espressione di comodo, impropria assai), la sola a non perdere è il Torino, che pure lascia un punto al Foggia, suo ospite passivo. 
La situazione in classifica sfiora il grottesco. Il Milan vanta il 46° risultato positivo di fila e 19 punti, nonostante debba recuperare il prossimo 23 dicembre la partita di Marassi con la Sampdoria. Al 2° posto, con 15 punti, viene l'ineffabile Inter, la cui brutta figura, ad Ancona, è stata sesquipedale. Il terreno del nuovo stadio al Conero era letteralmente allagato ma di fondo compatto. Il flebile centrocampo dell'Inter vi ha fatto lamentevole naufragio. Il solo capace di conquistarvi una misera palla in anticipo o in tackle, l'esile Bianchi, è dovuto uscire per lasciar posto ad Abate, mandato in campo a sostituire l'espulso Zenga. L'Ancona ha imperversato agli ordini di un sensazionale Lajos Détari, autore dei primi due gol e pratico inventore del terzo. Bagnoli mortificato al punto da sentir necessario un intervento dialettico per difendere i suoi, eccessivamente maltrattati dal punteggio. Davvero patetico Bagnoli, ma l'Inter è stata a dir poco penosa. Per gusto del paradosso, direi che i suoi benamanti debbano farsi coraggio: è tanto a terra che non può non migliorare. 
L'alma Juventus divide il terzo posto con Fiorentina, Torino e Cagliari. E' scesa a Firenze priva di ben 5 titolari, 2 dei quali autentici fuori classe. Riferiscono le cronache sia stata sconfitta due volte: in campo e sugli spalti, dove i suoi irriconoscibili tifosi hanno trasmodato in nefandezze imperdonabili. Sul campo l'è andata subito male per una prodigiosa smorzata di Effenberg che ha trovato libero Laudrup in area: il danesino ha sferrato il sinistro e Peruzzi ha colpevolmente mancato la deviazione possibile (dal momento che era arrivato col palmo sulla palla). Poi l'arbitro ha espulso Kohler per doppia ammonizione (la seconda del tutto cervellotica). Ridotta a 10, la diva Juve è apparsa squadra di quasi tutti gregari poveri di classe. La splendida e furente Fiorentina avrebbe potuto segnare il doppio. Invece ha segnato il 2° gol per un altro errore della difesa (questa volta del diciottenne esordiente Sartor). Esaurendo il suo sforzo nel solo attacco, la Fiorentina ha potuto brillare in grazia d'una schiacciante superiorità a centrocampo. La Juve ha effettuato due conclusioni scipite, esaurendo Vialli in recuperi disperati, unicamente fatti per rimanere in pace con la coscienza. In centrocampo è apparso grandioso il tedesco Effenberg, capace di conquistare palla, impostare e concludere. La Fiorentina ha il merito di aver secondato con i fatti l'acre inimistà del suo pubblico per la Juve (atteggiamento un tantino eccessivo e presuntuoso). Giustamente soddisfatto l'olimpico Cecchi Gori del fatto che i peggio educati sugli spalti non siano stati i suoi fiorentini. 
Induco da certe critiche che Mondonico del Torino abbia espresso il proprio disagio dirigendo a capocchia una squadra già di per sé mal composta. Moggi ha avuto parole amare sui tifosi, inguaribilmente avversi al presidente Borsano. Così il Foggia ha conquistato il suo primo punto esterno inducendo qualche critico a proclamare la propria ammirazione per Zeman, taumaturgo della zona e del podismo. 
Grato stupore desta il terzo posto del Cagliari, fortunato eversore d'un Napoli pieno di rogne sinistre. Mazzone ha incantato per l'autoironia con cui ha dato conto della propria incredulità felice. Ferlaino ha ordinato ai suoi di non parlare ed ha fatto bene. Qualche tifoso napoletano ha già dato prova di insofferenza: dopo Cagliari potrebbe chieder ragione delle subite espulsioni a Fonseca e Careca: non per colpa d'altri - e tanto meno di Bianchi - ha avuto via libera la squadra di Mazzone. 
Noi stiamo a parlare di tecnica, di tattica, di moduli, ma sentiamo fondate anche le parole di un dirigente sensato come Arrigo Gattai. E' da temere, onestamente, che non tutte le vicende di questo campionato miliardario (?) si possano raccontare ai candidi nipotini. Rispettoso dei suoi impegni, nazionali e no, il Gran Bisiaco Fabio Capello pratica frequenti "turn over" nella squadra considerata (per ora) battibile soltanto da se medesima. Mi è testimone il soave Fidel Confalonieri che lo vado affermando dall'avvio: anche la panchina troppo lunga presenta i suoi bravi inconvenienti: la gente si spreme quando non dovrebbe: e perviene esausta alla conquista del posto. Non basta: giocando sempre con compagni nuovi, non è che uno si trovi sempre al meglio. Così può deludere a dispetto della classe, oppure aspettarsi che siano gli altri a correre anche per lui. L'Udinese ha fatto a S. Siro come Torino e Inter: non si è illusa di giocare alla pari e si è salvata. E' da temere che altri la imiteranno: e le fatiche si assommeranno nei garretti dei campioni. In bocca al lupo. 
Sulla magnifica ultima Samp avevo fatto una riserva: l'eccessivo costo del modulo fondato su una sola punta e sul continuo correre avanti-indrée dei centrocampisti. I ripetuti erroracci di Lombardo sottomisura mi hanno dato plausibile conferma che i miei timori erano fondati. Alle difficoltà del modulo fin troppo dispendioso si è aggiunta la bravura di Ganz nel goleare e di Perrone nell'inventare gioco: per questo è gloriosamente passata l' Atalanta a Marassi. 
Non mi resta spazio per osannare degnamente alle romane, entrambe vincenti, e al Genoa reinventato da Eulenspiegel Maifredi. Visto Gaza concludere in gol uno slalom maradoniano che ritenevo possibile solo contro squadre britanniche; sentito Nevio Scala dirsi correttamente colpevole d'una conduzione che doveva portare il Parma alla sconfitta (dopo tre pali tre della Roma). 
Zenga ha riconosciuto che la sua espulsione era giusta perché effettivamente era giunto in ritardo sulla palla; non so se Zinetti abbia riconosciuto, masochistico fino all'idiozia, il suo comportamento con l'arbitro che l'ha espulso. Ha avuto mille ragioni Boskov di denunciarne apertamente la mancanza di buon senso. 

Avrei molto altro da dire su questo campionato di folli. Meglio chiudere e ingraziarsi Eupalla con sacrifici degni della sua natura divina. A terra siamo noi con le nostre vergogne.

Fonte

Le risate di sant'Ambrogio

Probabilmente il suo ardore polemico troverebbe oggi nel football motivo di accendersi. Il culto più 'pagano' della modernità è infatti connotato anche da corruzione e violenza; gli stessi temi che convinsero Aurelius Ambrosius a premere sull'imperatore Teodosio per ottenere la sospensione sine die dei Giochi Olimpici e la fine di una millenaria tradizione.

Arcivescovo di Milano per quasi vent'anni, Ambrogio non amava lo sport. Essendo tudesc, è possibile non avesse particolare simpatia per i club della metropoli di cui fu pastore. E' pur vero tuttavia che, quando all'Inter fu dato il suo nome (accadde come si sa nel 1928, e questa parentesi si protrasse fino al 1945), i baùscia conquistarono significativi trofei, vantando peraltro tra le proprie fila il più grande giocatore mai nato a Milano, e uno dei più grandi e in assoluto di sempre. In quegli anni i nerazzurri vinsero due scudetti e sfiorarono un paio di volte la conquista della Coppa dell'Europa Centrale; il Milan, invece, vivacchiava mediocremente, decaduta compagine ormai di seconda fila.

Ma com'è andata al Milan, e come all'Inter, quando il 7 dicembre - data in cui si ricorda e onora l'ordinazione episcopale di Ambrogio - è caduto di domenica o in una giornata consacrata anche al football? Non bene. Non meglio all'una che all'altra. 

Fu chiaro sin dalla prima volta. E cioè il 7 dicembre 1913. Era in programma l'ottava giornata del girone lombardo del campionato di prima categoria; l'Inter ospitava il Novara sul campo di Ripa Ticinese, e il Milan era impegnato in un 'derby' con l'Unione Sportiva Milanese (la società che, qualche anno più tardi, verrà annessa all'Inter nell'atto di fondazione dell'Ambrosiana). I nerazzurri furono duramente sconfitti (tre a uno), i rossoneri strapparono un pareggio solo a dieci minuti dalla fine, grazie alla stoccata di Pietro Lana, il "Fantaccino".

Si tornò a giocare in campionato il giorno del santo nel 1919: l'affollata sezione lombarda destinò le squadre a due giorni diversi, e il calendario favorì l'unica, storica vittoria simultanea dei due club a sant'Ambrogio. L'Inter vinse a Cremona, e il Milan ebbe facilmente ragione del Pavia sul campo di via Ravizza. Partite davvero facili.

La stagione 1924-25 fu assai modesta per baùscia e casciavit, inseriti in due gironi diversi della Lega Nord - il campionato era detto di 'prima divisione' -; il 7 dicembre vide i rossoneri onorevolmente sconfitti a Vercelli (tre a due), mentre l'Inter ospitò e inflisse la prima sconfitta del torneo al fortissimo Modena, sfruttando una giornata di grande vena di Cevenini III.

E si arriva poi e finalmente ai tempi del 'girone unico'. Stagione 1930-31. La città è calcisticamente depressa, Milan e Ambrosiana navigano nei bassifondi della classifica. I nerazzurri - campioni d'Italia in carica - ospitano il Napoli e omaggiano come merita il divo Sallustro. Apre il Peppino, ma i partenopei pareggiano subito; zuffe e botte nel secondo tempo, espulsioni, poi l'Ambrosiana trova lo spunto decisivo. Dal canto suo, il Milan gioca bene sul campo del Genova 1893 (il Genoa, va da sé) ma soccombe per la sterilità dei suoi attaccanti e per l'atteggiamento in generale difensivo, dovuto alla paura che incuteva la presenza tra le fila avversarie del Filtrador, Guillermo Stabile.

Il paese è in guerra, ma il 7 dicembre 1941 si gioca ugualmente a pallone. Le milanesi sono impegnate in una doppia sfida con le squadre toscane: l'Ambrosiana è fermata all'Arena dal Livorno; il Milano (il Milan, va da sé) cede a Firenze in zona Cesarini, per via di un gol (il gol del quattro a tre ...) messo a segno da Ferruccio Valcareggi ...

Sfida con le torinesi, invece, il giorno di sant'Ambrogio del 1947. Roboante cinquina dei rossoneri alla Juve, mai così umiliata dal Milan in mezzo secolo di football; peccato le cronache dicano poco sulla partita: "squadre e gioco hanno fluttuato dall'inizio alla fine in un'ombra di nebbia grigia e bagnata che trasformava gli atleti in evanescenti fantasmi" (Bruno Roghi). Dal canto suo, l'Inter aveva poche speranze di cavarsela al Filadelfia, e venne infatti spazzata via da un simmetrico e indiscutibile cinque a zero firmato dagli assi del Grande Torino.

Cinque anni dopo il Milan consegue un'altra sonante vittoria sulla Juve, ma questa volta a Torino, trascinato da Gren, Annovazzi e dal 'Pompiere'. L'Inter (che vincerà il campionato) è invece inchiodata tra le mura interne dall'Udinese. Sei stagioni più tardi il titolo sarà appannaggio del Milan, ma il 7 dicembre 1958 José Altafini scongiura una sconfitta a Ferrara; l'Inter gioca contro la Juve a San Siro, sta vincendo due a zero ma cala la nebbia; partita sospesa; viene recuperata il 18, e la Juve passa (tre a due).

Disastroso il pomeriggio di sant'Ambrogio nel 1969: rispettivamente sconfitti con identico punteggio (due a zero) a Firenze e dalla Juve a San Siro, nerazzurri e rossoneri sono già lontani dal Cagliari e costretti ad abbandonare la corsa di vertice. Grande delusione soprattutto per il Milan, campione d'Europa in carica.

Unico derby di campionato giocato in questo giorno, quello del 1975, tra due XI ben distanti dall'ancora recente splendore: comica vittoria rossonera, propiziata da un gol dello sciagurato Egidio. E' arrivata poi l'epoca della pay-tv e delle partite spalmate su più giorni. Solo due volte le milanesi sono scese in campo insieme il 7 dicembre. E' accaduto nel 2002 (doppio confronto con le romane, vittoria del Milan e pareggio dell'Inter) e il giorno di sant'Ambrogio del 2014. 
E dunque: il Milan ha perso a Genova, e l'Inter al Meazza. L'arcivescovo si è fatto quattro risate, anche perché i fideles ambrosiani, di questo passo, si divertiranno più in una visita guidata alla basilica che non sugli spalti dello stadio ubicato in una zona il cui nome è quello del patrono di un'antica città rivale.

Mans 
(8 dicembre 2014)