Su "La Stampa" del 13 aprile 1970, Gianni E. Reif commentava la straordinaria impresa cagliaritana. Intessendola di profezie che riflettevano il comune sentire degli italiani dediti al calcio

Una grande squadra, senza dubbio, magistralmente costruita e diretta dal tecnico più anticonformista, più contro corrente, più psicologo, più umano ed intelligente made in Italy. Una squadra quasi perfetta, imperniata sulla strapotenza del miglior uomogol d'Europa e forse (Pelé permettendo) del mondo. E' uno scudetto questo che si chiama Gigi, anche se nel Cagliari tutti hanno contribuito, senza eccezione, al meritatissimo trionfo, da Albertosi in grandissima annata all'onnipresente Nené, dal regista Cera al maratoneta Domenghini, dallo sfortunato Tomasini all'implacabile Niccolai, dal vecchio Martiradonna al giovane Bobo Gori che ha segnato l'ultimo gol del Cagliari, quasi in trance, perdendo poi i sensi per l'immensa gioia.
Quando l'estate scorsa, dopo aver concluso apparentemente a malincuore l'affare Boninsegna, Scopigno dichiarò che l'ex centravanti «di scarto» dall'Inter sarebbe diventato la spalla ideale di Riva, qualcuno la prese per una battuta classica dei filosofo, che invece non era mai stato più serio in vita sua. Oggi Bobo Gori, al servizio di Riva, ha senza dubbio maggiori probabilità azzurra di Boninsegna; in Messico ci andrà di sicuro e se qualcuno dovesse giocare al posto di Anastasi, sarà lui, l'umile fedele ma astuto gregario del gran capo Gigi che, calcisticamente parlando, equivale a Coppi o a Merckx. Nessuno si può sognare di discutere ormai un desiderio di Riva.
Se lo scudetto si chiama Riva, sarà giocoforza impostare la nazionale come Scopigno ha impostato il Cagliari: cioè tutti per Riva o Riva per tutti. Sarà un rischio ma un rischio calcolato, perché l'ala del Cagliari, anche con le tonsille infiammate, ci assicura in primo luogo contro una seconda Corea. In secondo luogo, nel Messico, dove certo lo conoscono meno ... che in Italia, Gigi Riva può segnare due gol per partita. Ed a rigor di logica, se ne segna dieci, l'Italia arriva dritta In finale. In fondo potrebbe essere anche più facile portare a casa per la terza volta la Coppa del Mondo che aver portato per la prima volta lo scudetto in Sardegna, dove ai tempi di Meazza e Piola, non esisteva nemmeno il vecchio, stretto, demolendo Amsicora, troppo mini ormai per questo maxi Cagliari autodidatta che, dalla serie C, è giunto in pochi anni alla Coppa dei Campioni: magari per vincerla l'anno prossimo secondo i piani già prestabiliti dall'impassibile filosofo.