Alla conclusione del campionato di Serie A 1984-1985, Brera celebra con piacere lo scudetto del Verona guidato dal suo Schopenhauer, "grande filosofo pessimista", della Bovisa: e pertanto grande interprete, ai suoi occhi, della tradizione italiana
Viva dunque il Verona campione d’Italia! Ha chiuso a quota 43 come la Juventus l’anno scorso e la Roma due anni or sono. Ha segnato 42 reti, che non sono molte, ma ne ha subite 19, che sono poche e fanno onore al suo impianto. Quota 43 prevede un -2 (meno due) in media inglese come dimostrano anche la Roma ‘83 e la Juve ‘84. Il Verona, ad ogni modo, ha vinto 15 volte, pareggiato 13 e perso 2: cifre altamente onorevoli sotto l’aspetto storico-statistico.
Sul tono del gioco bagnoliano abbiamo già disquisito da tempo. È ispirato agli schemi del modulo italiano. Contempla una saggia contaminatio fra zona e marcatura a uomo. Aggiunge al centrocampo, che è il nerbo della squadra, due difensori quali Marangon, terzino sinistro d’ala, e Tricella, libero; inoltre, vi richiama Fanna, ala sinistra capace di generosi recuperi difensivi, di impostazioni e rientri fulminei in azione. Giocano di punta Galderisi e Larsen. A turno entrano negli schemi delle punte i centrocampisti Briegel e Volpati, più raramente Di Gennaro, che costituisce il perno stabile di centrocampo. Bearzot riconosce nel Verona l’emulo più avveduto della nazionale (per quanto si rifà al modulo) e riconosce se stesso in Bagnoli, tecnico di piglio schietto e talora burbero, mai insensato o cattivo.
Bagnoli è un pragmatico di caratteristica indole lombarda. È cresciuto in periferia sacrificando a Eupalla dopo aver lasciato le zoccole ai margini del campo che la Ceretti e Tànfani aveva tracciato alla Bovisa. Ha fatto l’operaio e studiato la sera per diventare disegnatore meccanico. Dall’Ausonia, squadretta di liberi molto popolare nella zona del Macello a Milano, Bagnoli è passato al Milan per 75.000 lire e forse qualche pallone. È poi stato prescelto fra i quattro o cinque che Busini riteneva di dover fortificare mandandoli ai bagni sull’Adriatico. Dopo questa vacanza allo jodio e al fosforo (quello dei pesci fritti o alla graticola), Bagnoli è rientrato per tornare in fabbrica ma Busini gli ha quasi raddoppiato la paga mandandolo ad allenarsi con quelli di prima a San Pellegrino. Ha militato nel Milan giocando anche partite in Serie A: poi è stato ceduto al Verona. Sull’Adige ha preso la pleurite e, una volta guarito, anche moglie. Poi ha incominciato le peregrinazioni dei pedatori di ventura. Quando è approdato al Pallanza aveva un solo scopo: imparare il mestiere del legatore per aver posto a Verona presso la Mondadori. Dal Pallanza è passato alla Solbiatese e poi al Como. Faceva il pendolare dalla Bovisa al capoluogo del Lario. Infine è sceso sull’Adriatico ed ha vinto un campionato con il Fano. È risalito a Cesena e anche qui ha vinto il campionato di B ma non è rimasto a guidarvi la squadra promossa alla A: forse ancor prima di conquistare la promozione si era accordato per allenare il Verona in Serie B. A Verona poteva trasferire la famiglia, rimasta alla Bovisa, e questo era importante per lui più dei quattrini e della fama. Al Verona ha trovato Mascetti, lombardo come lui. Insieme hanno impostato la squadra per la promozione che hanno puntualmente ottenuto (terzo scudetto di Bagnoli).
Dopo due anni nelle posizioni di eccellenza, il Verona ha clamorosamente vinto anche il campionato di A. Il miracolo (perché non si tratta di altro) è dovuto all’impostazione d’una squadra equilibrata come nessuna e all’acquisto finalmente azzeccato di due stranieri, Briegel e Larsen. Gli artefici principali del quarto scudetto bagnoliano sono stati Garella, Fanna, Briegel e Volpati; un’unghia sotto, Di Gennaro, Tricella e Galderisi, infine Larsen e gli altri. Lo status di eccellenza tecnica raggiunta dai veronesi è garantito dal fatto che ben quattro di loro sono stati convocati in nazionale: sono Tricella, Di Gennaro, Fanna e Galderisi. Come tutti sanno, il Verona è passato in testa al primo turno e vi è rimasto fino all’ultimo. E poiché Bagnoli non ha mai potuto disporre di più di tredici elementi, era inevitabile che i neo-campioni arrivassero strematelli alla XXX giornata. Essi hanno finito sull’inerzia, come un ciclista in calando dopo una lunghissima fuga. Però il vantaggio del Verona sul secondo, che è il Torino, ammonta a 4 punti: tale margine da toglier fiato a chiunque volesse eccepire sulla sua prestigiosa vittoria. Naturalmente i neo-campioni hanno destato gli appetiti delle società più ricche e famose: Garella, il portiere taumaturgo, sarebbe già del Napoli; Marangon e Fanna dell’Inter. La perdita dei primi due non impressiona più che tanto Bagnoli: è da pensare invece che paventi moltissimo la perdita di Fanna, il quale normalmente sostiene la parte di tre giocatori tre e non potrebbe venir sostituito in Italia se non da Conti, che costa più di Fanna.
Ha compiuto grandi prodezze in rapporto alle sue modiche speranze il Torino, ragionevolmente lieto del secondo posto. Luis Radice viene considerato con Bagnoli il tecnico più bravo dell’anno. Mario Gerbi, vice-presidente del Torino, ha vinto nei miei confronti una elegante pipa di Enea Buzzi da Brebbia. Come Bagnoli ha inventato Briegel centrocampista, così Radice ha fatto del laterale d’ala Junior un regista di grandissimo piglio. Un po' sotto l’attesa si sono mossi Dossena e le due punte, l’alto elegante Serena e il fichettone Schachner, tognino con molto spirito di conservazione (la virtù cardinale degli italiani secondo Hemingway, che faceva l’autista in retrovia). Poiché non si proponeva sfracelli, il Torino e i torinisti sono soddisfatti e ovviamente sperano che le cose abbiano a migliorare l’anno prossimo. Intanto disputerà l’UEFA, che può apportare miliardi. Come il Torino saranno europee l’Inter e la Sampdoria, rispettivamente terza e quarta classificate. Per l’UEFA era favorita la Juve rispetto alla Samp: ma tutti sanno com’è andata all’Olimpico: la Lazio era sotto di 1-3 ed è riuscita nella prodezza di raggiungere i campioni in patente disarmo. Il Trap si è molto arrabbiato e quasi per convincere se stesso ha proclamato che a Bruxelles sarà un’altra cosa: ci mancherebbe che non lo fosse! Regalata dalla Juventus, la Samp ha trionfato dell’Atalanta, ormai sazia di agonismo (e di bravure), conquistando un onore da due decenni desueto a Genova. È un sintomo interessante, che di certo incoraggia un presidente pieno di svanziche e di generosi impulsi. L’ottimo Bersellini ha vinto da par suo un’altra battaglia sul clima capriccioso e ambiguo della Riviera.
L’Inter voleva molto - pur non dichiarandolo apertamente - e quindi ha avuto modo di deludere i suoi tifosi, da oltre mezzo secolo chiamati bauscioni dai milanisti, che non avevano Meazza bensì Ginìn Perversi, e perciò dagli interisti erano chiamati i casciavid (cacciaviti). L’Ernest Pellegrini, sorpreso in pizzeria da Michele, mi ha promesso anticipi superlativi, che forse non avrò per colpa dei troppi barriti denunciati nell’Inter benamata. Se l’Ernest somiglia a tutti i despoti di questa terra, pazienza; se invece è un bassaiolo d’onore, come credo, viva! Mio fondato timore è che vengano considerati punti forti dell’Inter alcuni che in realtà sono deboli. Questi equivoci portano a sgradevolissime delusioni. L’Inter del commiato ha maramaldeggiato ai danni di un Ascoli così generoso e folle da giocare alla pari per oltre un’ora. Quando ho visto affondare gli ospiti mi sono salvato affidandomi ai servizi radio-televisivi. Ho dunque appreso del Como, la cui imbattibilità casalinga non è stata interrotta dal Milan. Era quasi ovvio pensarlo salvo: ma la riprova non poteva non esaltare i cuori bennati. Si dà per certo al Milan il figliale ritorno di Paolo Rossi nel giro di affetti (e interessi) fariniani. Fratelli cacciaviti m’incalzano perché abbia a dir loro che Rossi non è finito. Certo che no! Rossi è un campione: nelle squadre avvezze per amore o per forza al contropiede, egli ha sempre fatto faville (Lanerossi Vicenza e nazionale bearzottiana); nelle squadre che gremiscono le aree avversarie, Paolino può anche non trovarsi a suo agio (vedi Juventus, quasi sempre portata a imporre il proprio gioco). Si tratta di sapere a quale modulo tattico vorrà attenersi il Milan. Roma e Fiorentina hanno beccato. Il Napoli ha vinto con quel suo prodigioso mercenario di passo a nome Diego Maradona. Il Napoli è l’ultimo dell’ottetto privilegiato e anche Allodi, dopo Marchesi, gli ha predetto il titolo nel giro di due anni. L’etimo di Allodi si rifà ai beni allodiali di Matilde: è un emiliano nato nel Veneto e cresciuto in Lombardia. Non vide me' di lui chi vide ‘l vero. Però, che lenza.
Sul tono del gioco bagnoliano abbiamo già disquisito da tempo. È ispirato agli schemi del modulo italiano. Contempla una saggia contaminatio fra zona e marcatura a uomo. Aggiunge al centrocampo, che è il nerbo della squadra, due difensori quali Marangon, terzino sinistro d’ala, e Tricella, libero; inoltre, vi richiama Fanna, ala sinistra capace di generosi recuperi difensivi, di impostazioni e rientri fulminei in azione. Giocano di punta Galderisi e Larsen. A turno entrano negli schemi delle punte i centrocampisti Briegel e Volpati, più raramente Di Gennaro, che costituisce il perno stabile di centrocampo. Bearzot riconosce nel Verona l’emulo più avveduto della nazionale (per quanto si rifà al modulo) e riconosce se stesso in Bagnoli, tecnico di piglio schietto e talora burbero, mai insensato o cattivo.
Bagnoli è un pragmatico di caratteristica indole lombarda. È cresciuto in periferia sacrificando a Eupalla dopo aver lasciato le zoccole ai margini del campo che la Ceretti e Tànfani aveva tracciato alla Bovisa. Ha fatto l’operaio e studiato la sera per diventare disegnatore meccanico. Dall’Ausonia, squadretta di liberi molto popolare nella zona del Macello a Milano, Bagnoli è passato al Milan per 75.000 lire e forse qualche pallone. È poi stato prescelto fra i quattro o cinque che Busini riteneva di dover fortificare mandandoli ai bagni sull’Adriatico. Dopo questa vacanza allo jodio e al fosforo (quello dei pesci fritti o alla graticola), Bagnoli è rientrato per tornare in fabbrica ma Busini gli ha quasi raddoppiato la paga mandandolo ad allenarsi con quelli di prima a San Pellegrino. Ha militato nel Milan giocando anche partite in Serie A: poi è stato ceduto al Verona. Sull’Adige ha preso la pleurite e, una volta guarito, anche moglie. Poi ha incominciato le peregrinazioni dei pedatori di ventura. Quando è approdato al Pallanza aveva un solo scopo: imparare il mestiere del legatore per aver posto a Verona presso la Mondadori. Dal Pallanza è passato alla Solbiatese e poi al Como. Faceva il pendolare dalla Bovisa al capoluogo del Lario. Infine è sceso sull’Adriatico ed ha vinto un campionato con il Fano. È risalito a Cesena e anche qui ha vinto il campionato di B ma non è rimasto a guidarvi la squadra promossa alla A: forse ancor prima di conquistare la promozione si era accordato per allenare il Verona in Serie B. A Verona poteva trasferire la famiglia, rimasta alla Bovisa, e questo era importante per lui più dei quattrini e della fama. Al Verona ha trovato Mascetti, lombardo come lui. Insieme hanno impostato la squadra per la promozione che hanno puntualmente ottenuto (terzo scudetto di Bagnoli).
Dopo due anni nelle posizioni di eccellenza, il Verona ha clamorosamente vinto anche il campionato di A. Il miracolo (perché non si tratta di altro) è dovuto all’impostazione d’una squadra equilibrata come nessuna e all’acquisto finalmente azzeccato di due stranieri, Briegel e Larsen. Gli artefici principali del quarto scudetto bagnoliano sono stati Garella, Fanna, Briegel e Volpati; un’unghia sotto, Di Gennaro, Tricella e Galderisi, infine Larsen e gli altri. Lo status di eccellenza tecnica raggiunta dai veronesi è garantito dal fatto che ben quattro di loro sono stati convocati in nazionale: sono Tricella, Di Gennaro, Fanna e Galderisi. Come tutti sanno, il Verona è passato in testa al primo turno e vi è rimasto fino all’ultimo. E poiché Bagnoli non ha mai potuto disporre di più di tredici elementi, era inevitabile che i neo-campioni arrivassero strematelli alla XXX giornata. Essi hanno finito sull’inerzia, come un ciclista in calando dopo una lunghissima fuga. Però il vantaggio del Verona sul secondo, che è il Torino, ammonta a 4 punti: tale margine da toglier fiato a chiunque volesse eccepire sulla sua prestigiosa vittoria. Naturalmente i neo-campioni hanno destato gli appetiti delle società più ricche e famose: Garella, il portiere taumaturgo, sarebbe già del Napoli; Marangon e Fanna dell’Inter. La perdita dei primi due non impressiona più che tanto Bagnoli: è da pensare invece che paventi moltissimo la perdita di Fanna, il quale normalmente sostiene la parte di tre giocatori tre e non potrebbe venir sostituito in Italia se non da Conti, che costa più di Fanna.
Ha compiuto grandi prodezze in rapporto alle sue modiche speranze il Torino, ragionevolmente lieto del secondo posto. Luis Radice viene considerato con Bagnoli il tecnico più bravo dell’anno. Mario Gerbi, vice-presidente del Torino, ha vinto nei miei confronti una elegante pipa di Enea Buzzi da Brebbia. Come Bagnoli ha inventato Briegel centrocampista, così Radice ha fatto del laterale d’ala Junior un regista di grandissimo piglio. Un po' sotto l’attesa si sono mossi Dossena e le due punte, l’alto elegante Serena e il fichettone Schachner, tognino con molto spirito di conservazione (la virtù cardinale degli italiani secondo Hemingway, che faceva l’autista in retrovia). Poiché non si proponeva sfracelli, il Torino e i torinisti sono soddisfatti e ovviamente sperano che le cose abbiano a migliorare l’anno prossimo. Intanto disputerà l’UEFA, che può apportare miliardi. Come il Torino saranno europee l’Inter e la Sampdoria, rispettivamente terza e quarta classificate. Per l’UEFA era favorita la Juve rispetto alla Samp: ma tutti sanno com’è andata all’Olimpico: la Lazio era sotto di 1-3 ed è riuscita nella prodezza di raggiungere i campioni in patente disarmo. Il Trap si è molto arrabbiato e quasi per convincere se stesso ha proclamato che a Bruxelles sarà un’altra cosa: ci mancherebbe che non lo fosse! Regalata dalla Juventus, la Samp ha trionfato dell’Atalanta, ormai sazia di agonismo (e di bravure), conquistando un onore da due decenni desueto a Genova. È un sintomo interessante, che di certo incoraggia un presidente pieno di svanziche e di generosi impulsi. L’ottimo Bersellini ha vinto da par suo un’altra battaglia sul clima capriccioso e ambiguo della Riviera.
L’Inter voleva molto - pur non dichiarandolo apertamente - e quindi ha avuto modo di deludere i suoi tifosi, da oltre mezzo secolo chiamati bauscioni dai milanisti, che non avevano Meazza bensì Ginìn Perversi, e perciò dagli interisti erano chiamati i casciavid (cacciaviti). L’Ernest Pellegrini, sorpreso in pizzeria da Michele, mi ha promesso anticipi superlativi, che forse non avrò per colpa dei troppi barriti denunciati nell’Inter benamata. Se l’Ernest somiglia a tutti i despoti di questa terra, pazienza; se invece è un bassaiolo d’onore, come credo, viva! Mio fondato timore è che vengano considerati punti forti dell’Inter alcuni che in realtà sono deboli. Questi equivoci portano a sgradevolissime delusioni. L’Inter del commiato ha maramaldeggiato ai danni di un Ascoli così generoso e folle da giocare alla pari per oltre un’ora. Quando ho visto affondare gli ospiti mi sono salvato affidandomi ai servizi radio-televisivi. Ho dunque appreso del Como, la cui imbattibilità casalinga non è stata interrotta dal Milan. Era quasi ovvio pensarlo salvo: ma la riprova non poteva non esaltare i cuori bennati. Si dà per certo al Milan il figliale ritorno di Paolo Rossi nel giro di affetti (e interessi) fariniani. Fratelli cacciaviti m’incalzano perché abbia a dir loro che Rossi non è finito. Certo che no! Rossi è un campione: nelle squadre avvezze per amore o per forza al contropiede, egli ha sempre fatto faville (Lanerossi Vicenza e nazionale bearzottiana); nelle squadre che gremiscono le aree avversarie, Paolino può anche non trovarsi a suo agio (vedi Juventus, quasi sempre portata a imporre il proprio gioco). Si tratta di sapere a quale modulo tattico vorrà attenersi il Milan. Roma e Fiorentina hanno beccato. Il Napoli ha vinto con quel suo prodigioso mercenario di passo a nome Diego Maradona. Il Napoli è l’ultimo dell’ottetto privilegiato e anche Allodi, dopo Marchesi, gli ha predetto il titolo nel giro di due anni. L’etimo di Allodi si rifà ai beni allodiali di Matilde: è un emiliano nato nel Veneto e cresciuto in Lombardia. Non vide me' di lui chi vide ‘l vero. Però, che lenza.
"La Repubblica", 21 maggio 1985