Quelle omeriche risate

Il grande Kalusha Bwalya
Ai Giochi Olimpici di Seul, l'Italia si presenta con una squadra ritenuta competitiva dalla critica. Esordisce sotterrando di reti il Guatemala, ma alla seconda partita incappa in una batosta storica, reputata paragonabile a quella subita dalla Corea. Ne scrisse, su La Repubblica, Gianni Brera. Riportiamo il commento, spassoso anzichenò.



I gagliardi Bantù non vengono tutti dallo Zambia, di cui vestono i colori. Lo Zambia ha una superficie che è superiore del doppio a quella dell'Italia e una popolazione che è inferiore a un decimo della nostra. Povero come tutte le ex colonie cinicamente sfruttate per secoli, esso è perfino costretto a esportare pedatori.

Dal canto suo, ricca come nessuno avrebbe mai pensato che potesse diventare un giorno, la spensierata e disinvolta Italia è indotta a importare gente che finalmente la diverta dopo aver sofferto i mercenari impostile dai Signori che ne usurpavano i governi. Nonostante i continui ricorsi all'estero, la presunzione è andata egualmente crescendo qui da noi fra i cultori di uno sport esercitato soprattutto sedendo super gluteos. Qualche buona impresa propiziata in passato dalla ambizione e dalla fortuna induce ancor oggi gli italiani a ritenersi da molto più che in realtà non siano. 

E' però fiero il cronista di aver precisato, nella sua prima nota tele-olimpica, che i pedatori italiani erano come sempre i favoriti di sé medesimi. In verità era sembrato un miracolo che Zoff non avesse mai perduto affrontando piccole e non molto convinte aspiranti al viaggio verso Seul. La fortuna di Zoff non era bastata a convincere tutti sul valore dei suoi grognards. Nello zaino aveva un bastone di maresciallo e per sé lo ha tenuto, passando ad altro esercito. La sua greca ufficiale è stata però conferita al giovane e impetuoso Checco Rocca, soprannominato Kawasaki. Costui ha sacrificato qualche apparente relitto e qualche altro ne ha confermato. Il solo fatto di vestire la maglia azzurra ha piacevolmente convinto i nesci (e non solo quelli) che la squadra ambiguamente varata da Kawasaki dovesse considerarsi fortissima. Da qui, il rilievo scherzoso del cronista nel chiudere la sua prima nota tele-olimpica. Le reni del Guatemala, naturalmente sderenato per nascita, sono state spezzate in senso unicamente figurativo. Tuttavia, i guatemaltechi hanno mortificato due volte la possa truculenta di Tacconi, a suo tempo giustiziere parolibero di Zenga.

Poi, sono arrivati i Bantù. Dannato io sia se un giornale che è uno in tutta Italia ha ritenuto di dover andare oltre l'ovvia considerazione che bisognava battere lo Zambia per qualificarsi! Nessuno ha tenuto conto delle differenti posizioni etiche e morali di due Paesi e dei loro popoli di fronte allo sport. Oggi basterebbe rilevare che i Bantù, poveri in canna, esportano pedatori scelti in Europa e che gli italiani, peraltro illuminati di immenso, importano per miliardi pedatori da tutto il mondo, e di tifare per loro si beano ed esaltano secondo senso della misura. Chi ha seguito la partita fra italioti e Bantù si è dapprima fregato gli occhi, convinto di stravedere, ma ben presto si è dovuto rassegnare ad ammettere le leggi imprescindibili del campo. I nevrili longilinei dello Zambia correvano decisi; gli italianuzzi esitavano, trovandosi costantemente in ritardo di mosse. Chi ha creduto di vedere un certo distacco nei nostri prodi si è banalmente sbagliato: era smaccato ritardo fisico, non distacco morale!

I Bantù dello Zambia hanno segnato allo scadere del primo tempo su assolo di Kalusha Bwalya e sinistro diagonale basso sul quale Tacconi ha steccato in misura inversa alla violenza del tiro. Poi, Tacconi ha clamorosamente rinnovato le dicerie degli antichi romani, secondo i quali tardi erant umbri: non ha neppure capito se una punizione dal limite fosse diretta o su due calci. Si è mal piazzato alle spalle di due sparuti compagni in barriera e il solito Kalusha lo ha uccellato bellissimamente sul primo palo. 

Non basta! L' ineffabile Tacconi, soffocando fra i pali, forse troppo vicini, si è avventurato in avanti e un Bantù che non era Kalusha ha scelto il tempo esatto per sorvolarlo, perpetrando l'inaudito 3-0. Nei recuperi, il magnificente Kalusha si è vendicato di un pestone facendo elegante tripletta personale. L'arbitro inglese Hackett ha avuto modo di convincersi che i pedatori italiani sono maleducati, riottosi e, in fin dei conti, ingenui oltre misura. Sicuramente irritato, non gli ha mai perdonato nulla.

In Italia, i giornali hanno espresso scandalizzato stupore: non già sopra sé medesimi, bensì per il bieco tradimento dei loro favoriti (?). E hanno concluso con salomonica grullaggine che per qualificarsi bisognerà battere l'Iraq.

Il pianto dei dirigenti e dei critici italiani sull'andamento dei Giochi rasenta l'intensità di quello espresso dai greci nelle loro tragedie. Pochissimi si degnano di ammettere che le medaglie di Mosca erano state molte e addirittura troppe le medaglie di Los Angeles per il semplice fatto che nello stadio Lenin e al Coliseum mancava mezzo mondo. A Seul, i Paesi scesi in campo sono ben 160 ed è bastato il fiero ma piccolo popolo Bantù per mettere sotto i nostri calciatori.

Le mie notti avventurate hanno trovato utile sollievo nel volto simpatico e sgherro di un possibile congiunto del più grande romanziere e politico italiano, quel Tommaso Campanella che, pur languendo 28 anni in prigione, trovò modo di scrivere la Civitas Solis. In quel famoso romanzo politico, il frate calabrese deplorava che gli uomini, pur tanto solleciti nel migliorare le razze dei loro animali, non pensassero affatto di correggere le proprie sbolinate linee di sangue.

La Civitas Solis era così geniale ed ottimista da rasentare il candore. Frate Campanella era anche indovino ma forse non ha appreso dagli astri che un suo omonimo diciottenne avrebbe finalmente potuto nutrirsi da agiato europeo e imparar il pugilato come neanche Pindaro a pagamento si sarebbe potuto sognare. Il ragazzino Campanella crotonese come Milone! consola il cronista di ogni sconsiderata nequizia commessa in pedata e lo esime per una volta dal parafrasare ser Francesco Guicciardini. Al quale ha fatto dire ormai da molti anni: 'Che se tu fiderai nelli italiani, sempre avrai delusione'. Ora aspettiamo che i componenti la Lega Calcio mandino a Lusaka, capitale dello Zambia, i loro osservatori particolari. Di certo negli oratori cattolici e protestanti di Lusaka pedatano ragazzi che con due cocomeri ed un peperone si possono tranquillamente assicurare alla pedata italica. Ho già avuto occasione di scrivere, nella mia lunga vita, che la massima invenzione degli italiani deve considerarsi la loro acuta intelligenza. In attesa di una conferma così importante, celebriamo come si merita la ventiquattresima Olimpiade, istituzione quanto altra mai sacra nella storia dell' uomo antico e moderno.

La Repubblica, 20 settembre 1988
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