Il Milan come Dorando Petri (20 maggio 1973)

Sembrava si stesse riaprendo un ciclo, dopo cinque anni. La vittoria della Coppa Italia, e la stagione successiva scudetto e Coppa delle coppe. Poi, chissà. Ma la sequenza si interrompe bruscamente a Verona, il 20 maggio 1973. Niente scudetto per il Milan, e niente stella. Una delle più infauste domeniche della storia rossonera: raccontata da Gianni de Felice, prima firma sportiva al Corriere della Sera.


Verona, 20 maggio
Senza discussione, senza attenuanti. Il Milan ha regalato in una penosa, drammatica, umiliante partita un campionato che lo aveva visto quasi ininterrottamente nelle prime posizioni della classifica, e uno scudetto che per due volte, lungo l'arco di questa tormentata ma affascinante stagione, era parso ben saldo nelle sue mani. Nel volgere di pochi minuti, un Milan vuoto, molle, sbandato, annichilito dalla sua stessa pochezza ha incredibilmente bruciato mesi di ammirevoli prestazioni, valanghe di gol e di applausi, vittorie entusiasmanti; e ha reso irrimediabilmente vana la rabbiosa reazione con cui aveva risposto alla sfortunata trasferta romana con la Lazio. Nel volgere di pochi minuti si sono dissolte nell'illanguidente tepore di questo pomeriggio veronese le speranze, se non addirittura le certezze, dei rossoneri e dei loro tifosi; si sono dissolte, ormai inutili, le belle partite che avevano condotto il Milan al comando della classifica e le generose battaglie che ce lo avevano in questi ultimi tempi mantenuto.
Lo sport è fatto di gioie indicibili, di trionfi esaltanti, ma anche di amarezze tristissime come questa. Al fondista o al ciclista che ha tirato sempre in testa una lunga e massacrante corsa, può accadere di crollare sfinito e inebetito dallo sforzo un metro prima dello striscione di arrivo. Ed esattamente questo è accaduto al Milan oggi. Il suo doloroso destino ricorda la lontana e patetica vicenda del maratoneta Dorando Petri, ormai entrata nell'antologia, nella leggenda, diciamo pure nella retorica dello sport. E ricorda anche tante volate drammaticamente perse sul filo di lana, tante medaglie olimpiche mancate per un'unghia. Ma le leggi dell'agonismo, per quanto spesso beffarde e talvolta addirittura crudeli, vanno lealmente accettate. Questo asperrimo campionato, chiacchieratissimo e invelenito da mille polemiche, ha in fondo avuto una conclusione "sportiva". Una conclusione che resterà nella storia del calcio: così come rimase quella del 1967, quando, alla stessa maniera del Milan, fu l'Inter a perdere lo scudetto e, alla stessa maniera di adesso, fu la Juventus a vincerlo.
Forse queste sono le meste riflessioni dei venticinquemila tifosi milanisti che sin dalle prime ore del mattino avevano invaso Verona e che avevano gremito i due anelli dello stadio scaligero, trasformandolo in due brulicanti corone di vessilli rossoneri. Corone traboccanti di gente e di entusiasmo, che dovevano cingere idealmente la testa del Milan campione, che dovevano celebrare la festa dello scudetto più ambito: il decimo della storia milanista, quello della stella. E invece, ora che Monti ha fischiato la fine dopo il gol di Bigon, il terzo ed ultimo messo inutilmente a segno dal Milan, lo stadio è muto. Col passare dei minuti, con il lento ed inesorabile consumarsi di questo dramma sportivo, lo sgomento ha rubato sempre più spazio al tracotante entusiasmo dell'inizio nel cuore dei tifosi milanisti. In una curva sventola un grappolo di bandiere giallo-blu, i colori veronesi. Altrove, è soltanto silenzio. E l'unica corona, ormai serto di alloro rinsecchito, è quella che tutt'intorno al bordo del fossato fanno le bandiere milaniste lanciate dal pubblico con amaro e deluso dispetto.
Migliaia di vessilli rossoneri con la stella giacciono come stracci ai bordi delle gradinate. Mentre i giocatori escono dal campo stravolti. Mentre i dirigenti abbandonano avviliti la tribuna d'onore. Mentre Rocco, seduto alle nostre spalle, impietrito e con gli occhi persi nel vuoto, passa e ripassa una lingua che sa di fiele sulle labbra inaridite dalla tensione e dal dolore. Da due minuti è giunta la notizia del gol vincente di Cuccureddu. E' la fine.

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Come è potuto accadere? In che modo il Milan ha letteralmente buttato un campionato che da tempo era virtualmente 'suo'? Come si può spiegare questa catastrofica sconfitta? Il compito del cronista è tristemente facile.
Primo: Schnellinger non ha potuto giocare, essendo stato negativo il provino sostenuto mezz'ora prima dell'incontro, e il suo posto lo ha preso Turone che ha confermato in pieno la mediocrità tecnica già denunciata mercoledì a Salonicco; Turone ha rappresentato la più grossa falla di una difesa male organizzata, dando un'ulteriore dimostrazione del peso che l'esperienza di Schnellinger ha sempre avuto in questo reparto del Milan. Secondo: la squadra ha evidentemente accusato la fatica e i postumi della durissima battaglia con il Leeds, rivelandosi quasi completamente priva di forza e di nerbo: neanche dopo essersi trovato in svantaggio il Milan ha reagito con il vigore che, in una circostanza come questa, era lecito aspettarsi; il caldo ha, da parte sua, aggravato questa lacuna e il verona, fresco, agile, volitivo, ne ha crudelmente ma molto onestamente profittato, facendo fino in fondo il suo dovere. terzo: a risentire maggiormente del generale calo di tono fisico sono stati i milanisti meno atleticamente dotati, come Rivera e Chiarugi, cioè il regista e il più efficace risolutore della squadra; ad essi bisogna aggiungere Bigon, che da alcune settimane soffre di bronchite. Quarto; le fatali disattenzioni di Benetti e di Sogliano nel marcare Bergamaschi e Sirena hanno avuto conseguenze determinanti: è tuttavia necessario sottolineare anche la inutilità della posizione di Rosato e Zignoli, rimasti a fare i mediani a centrocampo senza che però si prendessero minimamente cura degli interni veronesi Mascetti e Mazzanti.
A questo punto è doverosa una spiegazione. Benetti e Rosato sono stati fra i milanisti quelli che più hanno corso e sgobbato per tenere in piedi una squadra, visibilmente spaccata in due dalle velleità offensive degli attaccanti e dalla necessità di proteggere in qualche modo una difesa sgangherata, costantemente in affanno contro Bergamaschi, Luppi e Zigoni. Ma nonostante la loro buona volontà, né Benetti né Rosato hanno mai validamente arginato nella loro zona le puntigliose offensive veronesi. Il Milan è partito con Sabadini stopper su Luppi (una sciocchezza: perché rinunciare ad un risolutore come lui?) e Anquilletti su Zigoni. Rosato e Zignoli stavano in linea come mediani, senza marcare nessuno: perciò, il Verona poteva tranquillamente superarli in velocità. Ci sono voluti tre gol perché i collegamenti tra Rocco in tribuna e Trapattoni in panchina funzionassero e perché il Milan correggesse il suo assetto, mandando Sabadini a fare l'ala destra, arretrando Sogliano a metà campo e incaricando Zignoli di prendersi ruvidamente cura di Luppi.
Ma al di là di tutte queste osservazioni tecniche e tattiche, una piccola sfumatura psicologica ha avuto, a nostro parere, un'importanza straordinaria. Questa: il Milan è sceso in campo sicuro della vittoria, convinto di poter ripetere l'impresa di Salonicco facendo valere la sua superiorità tecnica. Difatti, ha cominciato l'incontro al piccolo trotto, come se si trattasse di una innocua amichevole. E non si è disperato neppure molto quando, dopo nove minuti, Rivera ha frettolosamente sprecato un lancio di Benetti, tirando da pochi passi un parabilissimo rasoterra centrale.

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Questo è l'avvio del Milan. Si continua così, allo stesso fiacco ritmo fino al 18°. Chiarugi è fischiato per un lancio vistosamente fuori misura. Turone si esibisce in inutili incursioni. Una di queste procura una punizione, che la barriera respinge. L'azione di rilancio veronese si dipana sulla destra. Zigoni avanza; dribbla Anquilletti, poi schiva il goffo intervento di Turone: il suo cross sorvola Vecchi, raggiunge Sirena che, liberissimo, lo devia di testa nella porta vuota. Sorpreso da tanto ardire del Verona, il Milan si smarrisce. La difesa ne combina di tutti i colori. Rivera viene fischiato per un grosso errore di lancio. La speranza del pareggio è viva, ma dura poco. Al 26° Bergamaschi lancia a Busatta, che supera Sabadini e tira di sinistro su Turone, scivolato a terra: la palla viene respinta verso Luppi, il quale dal limite chiude gli occhi e spara: Sabadini devia appena di destro e manda il pallone sotto la traversa. Due a zero. Non passano tre minuti e il Verona segna ancora. Tunnel di Bergamaschi (dove sei Benetti?) a Turone, quindi breve cross da sinistra per Luppi che in corsa batte imparabilmente Vecchi.
Il Milan è finito. La sua resa è evidente. Rosato al 34° insacca a parabola, raccogliendo una respinta di Mascalaito. Il gol riaccende un barlume di speranza. Monti risparmia ai rossoneri un rigore per sgambetto di Zignoli a Luppi. All'inizio della ripresa l'annuncio che la Juve perde e che la Lazio pareggia dà ancora una scossa alla partita.
Ma il Milan non è in grado di sfruttarla, il Milan non c'è. Chiarugi manca una palla-gol al 17°. poi sono soltanto cannonate di Benetti quasi tutte fuori. E' invece il Verona ad insistere, con incredibile autorevolezza. Luppi dribbla Zignoli davanti alla porta al 25°, lo aggira sulla destra e da pochi passi in diagonale batte il povero Vecchi. Siamo a quattro. Il conto salirà a cinque tre minuti dopo: un lungo tiro di Busatta è deviato da una gamba di Turone. Vecchi, schiacciato, incassa, portandosi con disperazione le mani al volto. Si ha notizia del pareggio della Juve. Ora le tre squadre in lotta epr lo scudetto sono a pari punti. Il Milan può ancora sperare negli spareggi. Sabadini segna di testa al 37°. Poi arriva la notizia del gol di Cuccureddu. Nessuno applaude la rete du Bigon, che chiude al 91° lo sfortunato campionato del Milan. Ora è davvero finita.

[Gianni De Felice, Corriere della Sera, 21 maggio 1973, p. 11]

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