5 dicembre 1954
Con notevole lucidità, Pozzo presenta Italia-Argentina (mai affrontatesi prima), insistendo sulle incognite di due tradizioni calcistiche in difficoltà, ma preventivando l'esito del match, pressoché garantito dalla maggiore pragmaticità degli azzurri. Notevole anche lo sforzo per non evocare mai Foni (nuovo CT azzurro), e il catenaccio da lui praticato (con successo) all'Inter (mai direttamente menzionata). Beh, era pur sempre l'inviato de La Stampa, quotidiano torinese ...
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Roma, 4 dicembre.
La squadra nazionale italiana, quella di grado più elevato,
affronta oggi la sua prima impresa della stagione. Avrebbe voluto, anzi dovuto,
entrare in agone già qualche settimana fa, l'unità che rappresenta i nostri
colori, ma ha dovuto rimanere ferma per mancanza di oppositori. Ritorna ora
alla ribalta in circostanze che non possono essere definite se non col termine
generico e comprensibile di speciali.
Viene, la squadra nostra, da un rovescio
riportato nel campionato del mondo dell'estate scorsa in Svizzera, un rovescio
che nell'ambiente calcistico del Paese ha suscitato una mezza rivoluzione, la
quale a sua volta si è risolta, secondo la consuetudine ultima, in parole, in
programmi, in propositi, finora. Le compare davanti, come avversaria, una
squadra che è un'incognita, forse la più grande incognita che il momento può
offrire. Una squadra che viene da lontano come di più non si potrebbe. Una
squadra che aveva una volta caratteristiche tecniche proprie ben definite e
molto apprezzate, ma che si era da qualche tempo ritirata sotto la tenda e che
al campionato del mondo era stata appunto una delle grandi assenti.
La
situazione è quindi quella di una nobile decaduta che vuole rientrare a corte,
e che per farlo deve misurarsi con un'altra nobile che era andata
volontariamente a riposo e che vuole rientrare nei ranghi. Una situazione che è
nebulosa, pericolosa come è e insignificante come può essere per ambo i
contendenti. Ognuno dei quali può dire con approssimazione che non sa quanto
valga l'avversario, ma deve con sincerità riconoscere che non sa quanto di
positivo ci sia in se stesso. Nessuno dei due ci può veder chiaro. Stato di
incertezza massima, quindi.
Delle condizioni in cui si presenta a noi l'undici
rappresentativo dell'Argentina, già si è detto. Internamente, l'ambiente del
Paese è contento di sè, sotto il punto di vista tecnico. Le società non sanno
come sbarcare il lunario, economicamente, ma il campionato offre spettacoli di
prim'ordine ed appaga i desideri del pubblico. Al quale piace, non diciamo la
coreografia, ma certo il lato artistico estetico brillante spumeggiante del
gioco. La ripresa, lo sviluppo tecnico ci sono senza alcun dubbio,
nell'Argentina d'oggi. Ma per giungere dove essa è giunta, ha seguito vie
proprie, vie che possono anche risultare improduttive dal lato pratico una
volta messe a confronto con quelle seguite sul vecchio Continente.
Per
convincersi che si tratta di concezioni diverse, di una mentalità differente,
basta pensare a quella tendenza dell'Argentina a giocare a gambe nude dal
ginocchio in giù, e confrontarla con la corazzatura in uso da noi.
Nell'ambiente nostro tutto è serio, positivo, quasi arcigno; vincere a
qualunque costo e con qualunque mezzo bisogna. Nell'ambiente loro, quello degli
argentini, pur se gli incidenti per nervosismo o irascibilità si verificano, il
gioco, specialmente in chi scende in campo per praticarlo, ha conservato
carattere precipuo di divertimento: tanto che non si segue certamente la via
più breve per giungere al risultato, tanto che si ha l'impressione che spesso
del risultato medesimo ci si dimentichi.
Sono in parecchi coloro che, fuori del
nostro Paese, ritengono che il calcio argentino attuale sia lontano dal grado
di levatura tecnica di quello di una volta. Siamo un po' anche noi di questa
idea. Lo eravamo già prima di andare a Lisbona domenica scorsa. Di tecnici come
Pedernera, come De la Mata, per non citare che due esempi, noi non ne vediamo,
fra gli uomini dell'ultima generazione argentina. E certo modo di giocare, basato non
sull'efficienza ma sul virtuosismo e sull'estetica pura, si trova sempre in
pericolo di svanire da un momento all'altro nell'evanescente.
La situazione
tecnica del calcio italiano è, fino a prova contraria, in campionato e in campo
internazionale, quella che è stata in questi ultimi anni. Incerta, confusa,
irreale quasi in alcuni casi. In campionato la squadra che è riuscita a imporsi chiaramente su tutte, la sola
che possegga levatura e regolarità di contegno, non può essere assunta a indice
del valore del gioco italiano, perchè composta quasi per la metà da elementi di
nazionalità o di scuola straniera. La nostra competizione nazionale non ha dato
di sè finora che dieci delle trentaquattro tappe che il suo programma
comprende: non ci si sbaglia se si considera la sua situazione tecnica generale
come stazionaria rispetto alla stagione scorsa.
In campo internazionale è stato
cambiato il comando sotto cui l'attività si svolge. Un intero ministero è stato
creato per organizzare e dirigere il movimento: molte persone invece di una o
di poche per selezionare e guidare i giocatori che devono scendere in campo. Di
essere pratico e utile il nuovo sistema di comando non ha ancora fornito prove
finora. Non ne ha ancora nemmeno avuto l'occasione. La sola prova tentata,
quella relativa all'undici cosiddetto della primavera, ha avuto un esito
tutt'altro che incoraggiante.
La prima scelta degli uomini da contrapporre agli argentini aveva
rivelato una specie di complesso di inferiorità che dominava l'ambiente. Convinti
di non poter giocare ad armi pari, si ricorreva da parte nostra, a mezzo di uno
dei tranelli soliti alle squadre deboli in campionato, a una rinuncia e al
lancio di un bastone fra le ruote dell'ingranaggio dell'avversario. Ci si
avvide a tempo e si cambiò piano di azione. E col piano si cambiarono anche
alcuni degli uomini. E ora la squadra nostra scenderà in campo - almeno pare -
senza preconcetti piani guastatori o demolitori, giocando aperto, lasciando
cioè che l'avversario dica la parola che crede e tentando essa di dire la sua.
E', riteniamo, la miglior politica tecnica, la più sincera, è quella che
migliori indicazioni può fornirci per l'avvenire.
La formazione nostra in sé, è
nuova. Ad essa si è giunti con l'abbandono di elementi che finora non avevano
mai dato un rendimento notevole in maglia azzurra, con l'inserimento in squadra
di quattro nuovi giocatori, e per le rimanenti posizioni con la preferenza
riservata a uomini di peso, di energia e di volontà. Quale possa essere il
rendimento che l'undici sarà in grado di fornire è ben difficile prevedere,
tanti sono gli aspetti sotto i quali esso pare avulso dal passato recente della
nostra nazionale.
Noi non ci meraviglieremmo affatto se gli azzurri dovessero
uscire vincitori dalla prova di domani. Ne hanno la possibilità, nel caso in
cui l'Argentina non sappia elevarsi al di sopra del livello di tecnica e di
rendimento raggiunto a Lisbona domenica scorsa. In altre parole, la squadra
nazionale argentina va considerata come superiore a quella italiana in pura
linea tecnica. Ma esiste una differenza che può essere anche notevole fra le
possibilità e l'efficienza reale dell'undici sudamericano. Se questo non
fornirà una prova migliore di quella fornita contro il Portogallo, sta nel
limite delle capacità e delle possibilità di una compagine italiana funzionante
in modo normale di chiudere l'incontro con una vittoria.
La partita trae uno
dei suoi motivi principali d'interesse dall'incertezza che regna sul
comportamento che terranno in campo i due contendenti, quello dell'uno potendo
decisamente influire su quello dell'altro.