Il grande campione dalla tragica morte

Le cronache di Monsù
'Stampa Sera', 26 gennaio 1939
Vittorio Pozzo ricorda Matthias Sindelar


"Sindi", oppure "der Papierene" - traduzione libera italiana: carta velina - lo chiamavano a Vienna. Aveva, sì, struttura atletica, nel senso che era alto, slanciato e che i suoi lineamenti esprimevano energia e decisione. Ma era magro, secco, asciutto in modo impressionante. Di muscoli non ne aveva, di consistenza non ne mostrava. Di profilo pareva piatto, sottile, trasparente, come se - scusate la frase alpina un po’ irriverente che viene in mente – la madre ci si fosse, per errore, seduta su appena nato.
A vederlo giuocare, si trasformava. Era il padrone della palla, l’artista della finta. Quando esordì nella nazionale austriaca non trovò buona stampa: troppo leggero per il combattimento, troppo etereo per l'infuocata atmosfera degli incontri dove l'Austria era la squadra da battere, allora. Durò poco la diffidenza: nello spazio di pochi mesi si trasformò in entusiasmo. "Sindi" aveva capito quello che si voleva da lui. Alla mancanza di fisico sopperì subito con l’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero, distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea. Toccato duramente piativa, assumeva quell’atteggiamento da vittima a cui il viso color cartapecora ed il fisico di tipo fragile così ben si prestavano. E, pur vivendo in una città che i suoi campioni li idolatrava, fu amato come pochi. Uridil, il famoso “tank” del Rapid, ebbe l’onore di una delle più popolari canzoni di Vienna; Siegl ricevette il nomignolo di "Burgmeister", = Podestà, ma Sindelar divenne un idolo.


7 dicembre 1932, Stamford Bridge, London
Una fase di Inghilterra-Austria
Aveva nel suo giuoco davvero di che entusiasmare. Il suo repertorio era il più schiettamente viennese che si possa immaginare. Maestro della finta, si è detto. La sua non era una finta scomposta, plateale, marcata. Era un accenno, una sfumatura, il tocco di un artista. Fingeva di andare a destra e poi convergeva a sinistra con la facilità, la leggerezza, l'eleganza di un passo di danza alla Strauss, mentre l'avversario, ingannato e nemmeno sfiorato, finiva a terra nel suo vano tentativo di carica. Allora, quando questo suo giuoco gli riusciva, "Sindi" si ispirava: come il vero artista. Non v'era più modo di tenerlo a freno. Sgusciava via, prendeva finezze di tocco impensate, ridicolizzava l'avversario, finiva per fare, lui così evanescente, la figura di un gigante. Chi non lo ha visto a Vienna, al tempo in cui noi prendevamo lezioni, o nella primavera del 1931 contro la Scozia, od a Londra, a Stamford Bridge, sul finire dell'incontro con l'Inghilterra, non ha visto niente. 

Luisito Monti
Toccarlo, toccarlo duro, ecco, erano guai. Ne sa qualche cosa il nostro Monti, della Juventus. Non si volevano un ben dell'anima, i due. Una di quelle antipatie, naturali, istintive, irresistibili. Al viennese non piaceva il tono maschio, positivo, deciso di Luisito. L'italiano non gradiva quella danza da ballerina che gli si faceva davanti, come una beffa, non gradiva soprattutto l'atteggiamento da defunto che l'avversario, previa invocazione agli Dei per un "rigore", assumeva quando caricato. Sindelar non era come il corinthiano ed evangelico S. S. Harris. Sindelar credeva nel "rigore" e lo cercava. Lo cercava anche negli sgradevoli contatti con Monti. Sindelar a terra che fa il morente colla mano tesa in un ultimo gesto implorante all'arbitro vendicatore, e Monti che con uno sguardo che definisce di farsa la intera scena, torna indietro, pacifico, ecco l'episodio ricorrente degli incontri Italia-Austria di lunghi anni. Tre quarti della impopolarità di cui fu vittima Monti sui campi oltre confine fu dovuta alla campagna inscenatagli perché aveva osato e continuava a osare toccare tecnicamente ed abbattere materialmente un idolo.

Hugo Meisl, "il defunto commissario
tecnico austriaco"
Come molti che hanno onorato il nome della defunta Austria in campo calcistico - a volersi soffermare a questo solo - Sindelar era di origine boema. Un giorno, non molti anni fa, uno dei dirigenti austriaci più in vista, il dirigente responsabile per eccellenza, a conclusione della presentazione a un'alta autorità straniera della "squadra dei miracoli" - Zischek, Szesta, Adamek, Kaburek, Sindelar, Bican - tutti nomi lontanissimi dalle radici o dalle caratteristiche teutoni, si volse ad un amico, ed aggiunse sottovoce: 'lauter Tachechen': ceki tutti quanti. Era di origine ceka anche lui, il defunto commissario tecnico austriaco. 

Non è morto da eroe questo idolo delle folle danubiane. Pare che strida, che urti col senso morale, il fatto che un uomo ammirato, idolatrato per le sue virtù atletiche ed artistiche, muoia nelle braccia di una donna o, o per le meno, per mano od in compagnia con una donna. Eppure la cosa è così umana, che la folla che lo ha tanto amato gli perdonerà anche questo suo modo di allontanarsi dalla vita. E’ stata l’ultima sua “finta”…
Gli sportivi italiani, che lo hanno a suo tempo ammirato e temuto, i calciatori nostri, che nella conquista del primato mondiale considerarono lo studio per neutralizzare l’opera di “carta velina” come una delle più difficili tappe della loro marcia, si inchinano davanti alla scomparsa dell’uomo in cui non vedono più l’avversario, ma il collega, l’artista, il supremo esponente di una scuola. Lo salutano commossi.