Lo strazio che non ha nome

Le cronache di Monsù
5 maggio 1949


Il Torino non c'è più. Scomparso, bruciato, polverizzato. Una squadra che muore, tutta assieme, al completo, con tutti i titolari, colle sue riserve, col suo massaggiatore, coi suoi tecnici, coi suoi dirigenti, coi suoi commentatori. Come uno di quei plotoni di arditi che, nella guerra, uscivano dalla trincea, coi loro ufficiali, al completo, e non ritornava nessuno, al completo. 
E' morto in azione. Tornava da una delle sue solite spedizioni all'estero, dove si era recato in rappresentanza del nome dello sport italiano. Aveva presa la via del cielo per tornare più presto, per far fronte agli impegni di campionato. Un urto terribile, uno schianto - ai piedi di una chiesa, di una basilica addirittura - una gran fiammata. E poi più nulla. Il silenzio della morte. 
Era la squadra Campione d'Italia. Era, quasi al completo, la squadra che rappresentava i colori del nostro Paese nelle competizioni internazionali. Bacigalupo, Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola - appello in ordine di squadra di dieci azzurri -, Bongiorni, italiano d'origine, nazionale di Francia; Schubert, nazionale della Cecoslovacchia; Martelli, Ossola. Operto, Fadini, Ballarin II, Grava, nazionali di riserva o dell'avvenire. Erano con loro: Cortina, il massaggiatore di quest'anno della Nazionale; Erbstein, l'ungherese; l'allenatore Lievesley, uno dei migliori tecnici che avessimo in Italia al momento attuale; Civalleri ed Agnisetta, dirigenti della vecchia guardia, e Cavallero, Tosatti e Casalbore, tre giornalisti, tre compagni di lavoro. 

Se non fosse che li abbiamo visti noi, morti, aiutando nelle operazioni ufficiali di identificazione dei cadaveri, ci rifiuteremmo di credere a quanto avvenuto. Giuocatori che erano l'orgoglio della nostra città e dell'Italia sportiva tutta, ragazzi sani, pieni di salute, sprizzanti energia da ogni poro, uomini che erano le speranze nostre per le lotte cogli stranieri, ridotti in quelle condizioni! 
A farsi forza per allontanare il pensiero da quella spaventosa visione, si viene presi, afferrati da un senso di vuoto. Amici, famiglie, squadra granata, squadra nazionale: più nulla. Per Torino che amava la squadra che porta il suo nome come sua, per il mondo calcistico tutto, è una tragedia dalle proporzioni terribili! Menti, che venivi a confidarti con me ogni tanto, Ballarin che tanta paura avevi di perdere il posto in Nazionale dopo la partita di Zurigo, Rigamonti che t'ho fatto piangere l'anno scorso a Parigi prima della partita colla Francia, Grezar che mi corresti dietro la settimana scorsa per offrirmi una birra e per chiedermi se in realtà anch'io ti ritenessi diventato «vecio». Maroso, tu il vero purosangue dell'ultima generazione, Valentino Mazzola che facevi i capricci, mi davi dei grattacapi e poi mi scrivevi per chiedermi scusa, Loik che a gare finite amavi un bicchiere di vino buono, Voi tutti che mi foste compagni nelle lotte per il buon nome, e che mi rimproveraste quando Vi lasciai, pochi mesi fa, ora siete Voi a lasciare me, il che può anche essere poco, a lasciare l'ambiente e la vita, ed è tutto. Permettetemi che non scriva più, che Vi saluti, in nome di tutto il grande esercito degli sportivi, ritti sull'attenti, in silenzio. Dicevo sovente con Voi, scherzando, che io ero un po' come il portinaio di San Pietro, per cui cose nuove, belle o brutte, in senso assoluto più non esistono. Me l'avete procurata Voi, colla Vostra scomparsa collettiva e fulminea, la sensazione nuova: sotto forma di uno strazio che non ha nome.