Scusate il ritardo

Napoli, 10 maggio 1987

Il miracolo di San Gennaro si ripete solitamente (e fortunatamente) tre volte l'anno: ogni sabato antecedente la prima domenica di maggio, ogni 19 settembre e ogni 16 dicembre. Il 10 maggio 1987 a Napoli si verificò però un ulteriore miracolo, dovuto sicuramente alla benevolenza del martire beneventano, ma principalmente ad un giocatore divino che lì aveva deciso di dispensare goal e assist, dribbling e palleggi: la Società Sportiva Calcio Napoli vinceva il suo primo titolo nazionale, a quasi sessantuno anni dalla fondazione, avvenuta il primo agosto del 1926.

Il Napoli, nei decenni precedenti, era andato qualche volta in prossimità del primo titolo, sempre sfumando il risultato finale nelle ultime giornate. Tra discutibili presidenze spendaccione, qualche core 'ngrato e qualche campione, nonostante la fortuna di essere unica squadra della città, a differenza di Milano, Roma, Torino e anche Genova, erano arrivate giusto due Coppe Italia, una persino vinta militando in Serie B, e qualche scomparso trofeo internazionale di secondo piano.

Il Napoli di quell'anno aveva un buon potenziale in attacco, con Andrea Carnevale e Bruno Giordano; il primo non vivrà un bel rapporto coi tifosi e con la società, tra alti e bassi. Il secondo è agli sgoccioli di una carriera che, macchiata dal calcio scommesse, sarebbe potuta essere più carica di trionfi. A centrocampo si affidava a Salvatore Bagni, oramai definitivamente un mediano di spinta rispetto agli esordi di ala, a Francesco Romano come regista e a Nando “Rambo” De Napoli, proveniente dall'Avellino (ma cresciuto da Sacchi a Rimini). La difesa era guidata da Giuseppe “pal'e fierro” Bruscolotti, bandiera della squadra a quasi 37 anni, cui si affiancava un altro veterano, Moreno Ferrario. Un giovane Ciro Ferrara e Alessandro Renica, nel ruolo di libero, chiudevano il quartetto. In porta restava Garella, il più enigmatico dei portieri italiani. A completare l'XI al servizio di mister Ottavio Bianchi c'era Diego Armando Maradona, reduce da un Mondiale vinto praticamente da solo.

Si capisce che la squadra era formata da giocatori di grande esperienza e da giovani dal futuro promettente, qualcuno di essi sarà un buon giocatore per qualche tempo, ma il campione era uno, era al massimo della forma, era nella giusta età per ammazzare metaforicamente gli altri grandi della Serie A, palloni d'oro oramai invecchiati e in procinto di ritirarsi.

Il campionato iniziò con 4 vittorie e altrettanti pareggi, proprio come la Juventus. E il 9 novembre 1986 si giocò a Torino [vedi], dove il Napoli andò a scucire il tricolore dal petto dei bianconeri, vincendo per 1 a 3 [vedi] dopo un digiuno di 29 anni, e prendendosi il primo posto senza più lasciarlo.

La vittoria matematica del titolo avvenne con una giornata di anticipo, il 10 maggio 1987; si giocava proprio a Napoli, contro la Fiorentina del giovane Baggio, che da cinico campione pareggiò la rete di Carnevale, togliendo la gioia di una vittoria nel giorno più importante della storia del club. E della carriera di Maradona, più del Mondiale, a quanto lui stesso dichiara a caldo al microfono RAI di un impertinente Galeazzi [vedi], in una dichiarazione così diversa dalle glaciali risposte di Bianchi date allo stesso giornalista pochi istanti prima. In quella dichiarazione d'amore, irrazionale e spontanea, di cuore e non di testa, in cui si mescolano una vittoria sensazionale e un senso di appartenenza territoriale, risiede la vera magia del rapporto tra Maradona e Napoli.

La più grande festa della storia millenaria della città era pronta da tempo, con fuochi e petardi d'ordinanza per ogni gioia partenopea [vedi] e la città cambiò completamente volto con il titolo. Napoli era veramente tutta azzurra, ma proprio tutta: saracinesche, portoni, vecchie auto, scooter, qualche palazzo intero, persino alcuni marciapiedi e tratti di strada: tutto era dipinto d'azzurro. Neanche alcune statue riuscirono a salvarsi. E poi molti scudetti dipinti sulle pareti decadenti dei vicoli (alcuni ancora visibili a quasi trent'anni di distanza) a mescolarsi con le edicole votive di ben più antica memoria.

“Scusate il ritardo” è il titolo di un film (forse il migliore) di Massimo Troisi, ma è anche una frase ricorrente su striscioni e pareti in quei giorni, così come molti versi della tradizione canora napoletana, da tu mme diciste sì 'na sera 'e maggio a tu sì 'na cosa grande, da tenimmece accussì, anema e core a oje vita oje vita mia, quest'ultima cantata ancora oggi dopo ogni vittoria degli azzurri (e ben prima che la Società ne facesse una orribile versione “moderna”, giustamente fischiata non solo dagli ultrà). Ma la mano più irriverente eppure pietosa al tempo stesso scrisse su una parete del cimitero di Poggioreale: e che ve site perso!; si narra che, di tutta risposta, un altro poeta rimasto ignoto appuntasse: e a vuje chi ve l'ha ditto?.

La stagione si concluse con la vittoria della Coppa Italia, la terza del club. Era iniziato il ciclo vincente, ad oggi l'unico, della SSC Napoli, con due Scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa UEFA: il palmarès del Napoli è racchiuso in soli quattro anni. E, miracolo nel miracolo, il 10 maggio 1987, quell'oggetto misterioso di Garella, dopo Verona, vinse il suo secondo e ultimo Scudetto, entrambi mitici.

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