Un duello "rusticano"

di Giovanni Arpino

In palio la Coppa intercontinentale, di cui gli argentini dell'Estudiantes sono detentori. Si gioca a San Siro, ed è subito la corrida descritta da Arpino; in attesa del ritorno a Baires, dove "non solo farà caldo, ma sarà necessaria una benedizione prima di scendere in campo"

Milano, 8 ottobre.

Milan in agguato come Otello, ma l'opera lirica da citare quale esempio è la «Cavalleria Rusticana». Duelli accaniti, stinchi in pericolo perenne, un agonismo che ha sconfinato sovente in cattiveria brutale. 
Gli argentini sono solamente i nipoti dei palleggiatori di una scuola ormai tramontata: la squadra degli Estudiantes gioca con grinta, velocità, peso fisico e proprio a Nereo Rocco deve aver ricordato il suo vecchio Padova. 
Agli aeroplanini di carta che piovevano gioiosamente in campo prima dell'inizio (siano benvenuti, dopo tanti stupidi mortaretti di altre occasioni) ha corrisposto uno spettacolo rozzo e furente, un foot-ball all'arma bianca. Gli argentini, in maglia a strisce bianche e rosse come un famoso dentifricio, non hanno certo subito il Milan: l'hanno anzi costretto a tirar fuori le unghie, l'anima, il coltello.

Poletti in uscita, su Prati
Debole in centrocampo, con un Rivera spesso saltato via e fuori ritmo per una partita gladiatoria come questa, la squadra rossonera ha messo in vetrina Anquilletti, Sormani, Schnellinger, un Lodetti svirgolante su troppi palloni ma generoso come sempre. Ai bulloni argentini hanno risposto per le rime Prati e Rosato, e anche Rivera talvolta, un bambino d'oro che ormai ha del ferro maligno nelle punte dei piedi.
Combin è ancora discutibile, secondo molti, ma appena ha un pallone tira e segna: l'organizzazione d'attacco rossonera deve ancora imparare a tenerne conto e non costringere un centravanti abile a recuperare palloni come un portatore d'acqua qualsiasi. Gli «estudiantes» si sono presentati come medici, laureati o quasi e quindi teoricamente degni del nome: in effetti si sono comportati come sergenti maggiori d'altri tempi. O la palla o la caviglia, o la palla o il ginocchio. Così il gioco è vissuto per sprazzi rarissimi, anche se talora avvincenti per lo slancio, giustificato dalla posta in palio. 
Sormani: doppietta
Sormani su tutti: il «vecchio» rossonero si è battuto come un rinoceronte, mai temendo l'avversario (lo si è visto crollare due volte in mischie paurose, lui solo fra tre, quattro biancorossi), ha segnato un gol fulmineo nel primo tempo e una rete splendida per esecuzione e tempismo nel secondo.

Verso l'ultima mezz'ora la partita non si è certo afflosciata, ma per molti il pallone pesava forse qualche chilogrammo. Poteva anche scapparci il ferito grave, o qualche incidente fatale ad ossa tanto preziose: evidentemente c'è un qualche santo anche per i calciatori. E' il santo che oggi Rocco ringrazia per questi tre gol, indispensabile bottino in vista del ritorno in Argentina, dove non solo farà caldo, ma sarà necessaria una benedizione prima di scendere in campo. 
Tra i tanti personaggi in tribuna c'era Vincenzo Torriani, organizzatore del Giro d'Italia. Con voce rauca urlava invocando espulsioni. I giornalisti argentini, con regolamentari sigari grossi mezzo metro e garofano all'occhiello, registravano impassibili: evidentemente conoscono questi Estudiantes e non si stupiscono più. Anche noi non dovremmo stupirci troppo: in Messico, ai Mondiali, volerà più di uno stinco. Tanto vale essere preparati. Il football ha anche questi aspetti durissimi: bisogna saperli affrontare con occhi gelidi e tibie di granito. 

"La Stampa", 9 ottobre 1969, p. 18.