Su Paginauno, alcuni anni fa, Paul Dietschy affrontava il sempiterno tema delle relazioni tra sport e potere, tra football e dittature, tra calcio e fascismo [vedi]. Classificava Pozzo come "uomo d'ordine", non casualmente e contemporaneamente commissario unico della nazionale e giornalista su La Stampa. E lo catalogava anche tra le file dei 'trasformisti' (anzi, un fulgido esempio di trasformismo): Vittorio Pozzo, che si vantava di azioni partigiane, intonò a sua volta, al momento della ripresa delle attività calcistiche, la retorica della libertà ritrovata: "Comincia il Campionato" scriveva sulla Stampa del 14 ottobre 1945, “la cosa più desiderata dagli sportivi italiani. Se ne parlava, come di un sogno, al tempo della occupazione tedesca. Poter assistere ancora a un vero campionato italiano”. Certo, il biennio settembre 1943/ottobre 1945 valeva allora quanto un secolo, in termini di cambiamenti e di rovesciamenti della Storia e degli uomini. Ma Pozzo dava anche un’esemplare dimostrazione di una nuova forma di trasformismo applicata al campo sportivo, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il tecnico piemontese non fu neanche tra gli ultimi a ricordare le gloriose ore del passato. Ora che le strutture sportive del fascismo erano state più o meno conservate, a cominciare dal Coni – affidato a un giovane socialista dottore in diritto, Giulio Onesti – Vittorio Pozzo poteva vantare anche lo spirito delle vittorie dell’anteguerra. Il 6 aprile, dopo una vittoria (3-1) ottenuta a Parigi contro la nazionale francese, nel bel mezzo della situazione da guerra civile che circondava le elezioni politiche, sempre sulla Stampa scriveva: “Pareva di essere tornato allo stato d’animo dell’anteguerra, quando la squadra, a incontro terminato, affluiva tutta in una camera stretta, unita, affratellata e commentava l’operato proprio. Miracoli della maglia azzurra”./div>
Dunque, Pozzo "si vantava", sostiene Dietschy. Al quale forse era mancata la lettura dell'articolo pubblicato da Corrado Sannucci su La Repubblica, il 21 maggio 1993, e che qui riproponiamo.
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"Si dichiara che il Comm. Vittorio Pozzo ha collaborato fin dal settembre '43 con questo CLN [di Biella, ndr] con compiti di organizzare gli aiuti ai prigionieri alleati e il loro passaggio in Svizzera". E' uno dei documenti a sorpresa del "fondo" Pozzo che nei giorni scorsi il Ministro dei Beni Culturali, Alberto Ronchey, ha posto sotto tutela. A sorpresa perché il ct della nazionale campione del mondo nel '34 e '38 e olimpionica nel '36, negli anni dunque del fascismo trionfante, dei saluti romani prima della partita, è stato sempre considerato un uomo "compromesso" con il regime. Fu, di fondo, questa considerazione a impedire che il nuovo stadio di Torino non si chiamasse con il suo sportivo forse più rappresentativo. E fu questa sua fama, abbinata a un carattere chiuso e rigoroso, a isolarlo sempre di più negli ultimi anni della sua vita.
L'Italia in ultimo lo trascurò grandemente: Pozzo, in fondo, anche se aveva avuto modo di allenare già nel '12, e di veder giocare atleti della preistoria del calcio, come De Vecchi e Caligaris, è morto "tardi", il 21 dicembre '68. Eppure, non è mai andato alla Domenica Sportiva. Strano che Tortora non ci abbia mai pensato: oppure ci ha pensato ma glielo hanno impedito. Pozzo, da parte sua, racconta il figlio Alberto che ha dedicato la vita alla difesa delle memorie del padre, non aveva mai posseduto un televisore.
Sono diversi i documenti che testimoniano dell'attività dell'allora ancora ct della nazionale, nella zona del biellese, già nel settembre del '43. C'erano delle zone sicure dove i partigiani e i semplici fuggiaschi si nascondevano in quelle prime fasi della Resistenza. "Salivamo io e lui in montagna, alla Bessa, portando da mangiare" racconta ora Franco Chiorino, allora tipografo di una fabbrica "protetta" il che lo esentava dal militare. "In una circostanza dovetti nascondere Franco Bianco, un compagno che poi sarebbe morto a Mauthausen: Pozzo mi offrì di nasconderlo da suoi amici nel cuneese. Ma era un po' lontano. Non se ne fece nulla".
Chiorino tentò nell' 80 di fargli dedicare una strada di Ponderano (dove ora Pozzo è sepolto): tentativo fallito per l'ostracismo che ha sempre circondato l'illustre concittadino. Sono numerose, invece, le lettere nel fondo, di partigiani e dirigenti del Cln che ringraziano Pozzo: come la testimonianza del giugno '45 di Aldo Blotto Baldo, dirigente del Cln di Biella, "per il suo disinteressato attivismo" (ma Pozzo fece anche il ct per 19 anni senza essere pagato).
Aiuti e gesti significativi in un uomo così popolare, che poi sarebbe stato arrestato dai tedeschi per una risata. "Arrivarono in paese qui a Ponderano. Per spregio al re Umberto I ordinarono di staccare la targa di smalto della piazza: ma sotto, scritto a vernice c' era il nome di Vittorio Emanuele II. E mio padre rise: il tedesco no".
Uno di quei ragazzi nascosti tra i sassi era Franco Ferrarotti, preside della facoltà di Sociologia a Roma, allora gappista sedicenne con eterno bisogno di nascondersi tra una missione e l' altra. "Dal mondo dello sport sono sempre venuti aiuti esemplari, in quei giorni. Secondi solo ai sacerdoti e ai contadini", ricorda ora Ferrarotti, che incontrò più volte Pozzo nel dopoguerra. "E ora sarei felice se la sua figura venisse riconsiderata come merita".
Il figlio di Pozzo, Alberto ricorda gli episodi, sportivi, di frizione con il regime. Quando fu rimproverato dai gerarchi perchè aveva raccontato all' Eiar le aggressioni subite in un Jugoslavia-Italia del '39; del tentativo di far rigiocare De Prà, portiere genoano, che era stato messo all'indice dal regime (un veto che aveva ereditato quando arrivò a guidare la nazionale nel '29); l' indipendenza di fondo nelle scelte dei giocatori. "Ma il fatto che fosse fascista" dice ora Alberto "è uno dei tanti travisamenti che ha circondato la vita di mio padre. Come la favola che facesse cantare 'Il Piave mormorò' ai giocatori prima delle partite. Una balla".
Certo, non era un rivoluzionario. Il figlio lo definisce un churchilliano, un monarchico-liberale. L'uomo che identificò uno per uno i cadaveri dei giocatori sulla collina di Superga, però, avrebbe meritato, negli anni seguenti, diversa comprensione. La strada gliel'aveva aperta il lasciapassare rilasciatogli dal Comitato regionale Piemontese di Liberazione Nazionale, in data 2 maggio 1945. "Il signor Vittorio Pozzo può circolare liberamente": l' impressione è che questo (le sue idee) dopo non sia stato più tanto possibile.
"La Repubblica", 21 maggio 1993