Il 22 novembre 1969, nel catino ribollente del San Paolo, gli Azzurri schiantano i tedeschi dell'est e ottengono la qualificazione ai mondiali messicani. Di quella partita tutti ricordano il volo d'angelo di Gigi Riva, su cross perfetto di Domingo. Ma fu solo il sigillo del tre a zero e di una partita perfetta, turbata alla vigilia da ansie scaramantiche (Riva, in assenza di Anastasi, non voleva la maglia numero nove, quella con cui si era fratturato all'Olimpico nel marzo del 1967, in un'amichevole contro il Portogallo). Era comunque uno spareggio (un pari avrebbe portato a un ulteriore spareggio). E l'Italia lo affrontò con due esordienti (Cera e Chiarugi). Riproponiamo il commento a quella partita firmato da Giovanni Arpino.
Napoli, lunedì mattina [23 novembre]
II più grande Mazzola degli ultimi anni ha diretto, orchestrato, organizzato gli azzurri nella loro gara contro i tedeschi dell'Est. Tre gol esaltanti, di quelli che entrano nella memoria non solo dei tifosi ma dei più severi critici di calcio, una prestazione atletica notevole, una volontà agonistica che non è mai venuta meno. E, su tutti, Sandrino Mazzola: ha segnato nei primi minuti una rete straordinaria, con un «taglio» secco e imprevedibile su pallone pervenutogli da Riva gettatosi in area; ha impresso un tale ritmo alla gara da far soffrire non solo i tedeschi, ma lo stesso centrocampo azzurro, abituato a manovre più molli, a passaggi magari precisi ma parabolici, non secchi e decisi e sventagliati come quelli di «Baffo». Ha difeso la nostra area con la tenacia dì uno Schiaffino arretrato. Ha tenuto novanta minuti su novanta, mai desistendo dall'affrontare, inseguire, controllare, ribattere, impostare.
Questa nazionale non è perfetta come molti la sognano, non è ancora un meccanismo d'eccezione. Ha sfasature e ristagni, qua e là, ha alcuni uomini di difesa un po' in ombra, o per difetto di forma o per mancanza di .senso di posizione (tranne Pula e Facchetti sempre registratissimi). Però la si vede, la si capisce, la si intuisce in progresso. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una trasformazione del complesso azzurro. Fortissimo in difesa, dove sapeva costruire quadrilateri pressoché insormontabili, era sempre stato difettoso, troppo leggero, troppo gracile e prevedibile all'attacco, con uomini che esitavano, che non sapevano reggere a un ritmo accelerato, che non sapevano buttarsi con accanimento e potenza sui palloni elaborati dal centrocampo. Oggi il discorso è diverso: abbiamo attaccanti migliori dei difensori, in grado di far pendere la bilancia a nostro favore anche dopo un inizio faticoso e sfortunato.
Oggi c'è Riva, c'è Chiarugi. Riva è una potenza d'eccezione, lo sappiamo, che si batte con un orgoglio incredibile, tanto da non dar peso a menomazioni fisiche che fermerebbero chiunque altro, più timido e preoccupato di sé. Ha strappato a portiere e terzino avversasario il pallone del primo gol per Sandrino, ha costruito il secondo per Domenghini con una progressione da metà campo che faceva gridare alla bellezza del gesto atletico pieno, ha messo in rete il terzo con un volo planato che iniziò nel momento stesso in cui partiva il cross di Domenghini da destra. Un volo migliore di quelli di Tarzan. E c'è Chiarugi. All'esordio, dovendo duettare con Riva, si sono subito ritrovati per identica velocità, decisione, inventiva, con reciproci traversoni volanti bellissimi.
La nazionale esiste, sta uscendo dal guscio e con fattezze ormai chiare. Basta avere il coraggio di portar avanti l'operazione, creare un gruppo di sedici, diciotto, venti giocatori che esprimano, secondo la forma e lo smalto del momento, l'«undici» migliore. Allora non solo non si sfigurerà in Messico, ma, fortuna e intelligenza assistendo, si potranno ottenere anche risultati superiori al nostro eterno scetticismo.
E i tedeschi? Lo si era detto più volte: tra i nostri azzurri e la squadra di Seeger ci sono tre reti di differenza. Potevano essere almeno cinque, ma forse è meglio così. Il gol di Mazzola ha schiodato l'incontro subito, agli avversari non è bastato più il gioco a ragnatela di centrocampo. Hanno dovuto premere, scoprirsi, quindi essere puniti in contropiede.
Non illudiamoci eccessivamente, però riconosciamo che il materiale azzurro a disposizione di Valcareggi e Mandelli è notevole: può solo migliorare e organizzarsi di più, se lo si elabora con fiducia e senza isterie, senza inutili timori. I guerrieri ci sono. E allora: coraggio, ammiragli e generali. Al Messico c'è un ruolo che dobbiamo saper interpretare come merita il nostro campionato, tra i più difficili e duri del mondo, e come meritano i nostri singoli giocatori, maturi per dimostrarsi all'altezza di tante eredità e di tanti serissimi collaudi. Non vendiamo la pelle dell'orso prima di avergli sparato. Però la cartuccia in canna c'è: ora aggiustiamo la mira. E per concludere: tre grandi gol azzurri, il gancio sinistro di Benvenuti, «Canzonissima », tutto in un solo giorno. Fratelli (ovvero ragazzi) d'Italia: è il caso di dire, troppa grazia Sant'Antonio?
[La Stampa, 24 novembre 1969]