La prima volta degli Azzurri a Solna

A destra nella foto, Francesco Bontadini,
autore del gol decisivo nella partita rievocata.
Giocò nel Milan e nell'Inter.
Le cronache di Monsù
8 novembre 1951

L'11 novembre del 1951 gli Azzurri avrebbero affrontato la Svezia a Firenze, per un match amichevole. Vittorio Pozzo ne approfittò per rievocare la prima sfida tra le due nazionali, che andò in scena al Råsunda Idrottsplats di Solna durante i Giochi Olimpici del 1912, valevole solo per il 'Torneo di consolazione'. Un racconto di grande spessore umano, ironico e toccante.

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La conformazione geografica dell'Europa non favorisce gli incontri fra la Svezia e l'Italia. Se proprio non ci si va a cercare, non ci si trova. Effettivamente, gli Azzurri, mentre hanno incrociato i ferri ventotto volte cògli svizzeri, e ventuno ciascuna cògli austriaci e gli ungheresi, e diciannove coi francesi, e via di questo passo, contro gli svedesi non si sono allineati che in quattro occasioni. Ed ancora due di esse, la prima e l'ultima, fu il caso, sotto la forma del sorteggio o degli accoppiamenti dei grandi tornei mondiali, non la volontà degli interessati, a determinarle. 

Il primo di questi incontri fra le Nazionali della Svezia e dell'Italia deve proprio la sua esistenza ad un cumulo di circostanze casuali e concomitanti. Di esso, il sottoscritto fu, più che testimone, parte in causa. Perché la gara coincide colla sua prima esperienza in veste di comandante della nostra Nazionale. 

Si era nel 1912, e l'Italia aveva iscritto i suoi calciatori al torneo delle Olimpiadi di Stoccolma. La Federazione Italiana Giuoco Calcio aveva sede a Torino allora. Ne era Presidente il marchese Alfonso Ferrero di Ventimiglia: chi scrive queste linee ne era il Segretario. Le crisi erano all'ordine del giorno a quell'epoca. Non le ha inventate né la Fiorentina, né la Roma. Bastava una partita perduta, una squalifica, un caso di professionismo, una tessera concessa o negata, per mandare all'aria Commissioni, Consigli e Direttori. Così, per la partita persa a Torino l'11 marzo di quell'anno, per 8 a 4, contro la Francia, cadde la Commissione della Squadra Nazionale. Se ne formò un'altra in maggio, composta da Armano, Baruffini, Faroppa, Ferraris, Goodley, Meazza e V. Pedroni. Non entrò mai in carica, diede subito le dimissioni. A giugno, scomparve anche la Presidenza Federale. Che fare? A Stoccolma si era iscritti ed il Comitato Olimpionico voleva che si andasse. Il marchese Ferrero mi pregò di rimanere in carica e di fare del mio meglio. E si andò. 

E, come organizzazione si trovò poco o niente di fatto, e la squadra dovette adattarsi a pernottare in una scuola. Ed i pasti li consumavano nell'unico ristorante italiano della città, assieme al povero Lunghi, il mezzofondista, ohe aveva delle idee un po' poco ... puritane sulla preparazione fisica degli atleti. Eravamo stati estratti a giuocare, in eliminatoria, contro la Finlandia. E giuocammo, ed a sorpresa generale perdemmo, per due a tre, per una rete dei tempi supplementari. Era arbitro Hugo Meisl. 

La nostra squadra, era quella che era. Quella che si era potuto mettere assieme nel disordine delle circostanze. Degli uomini che noi avremmo voluto, erano mancati, p. es., Ara e Rampini della Pro Vercelli, e Fossati dell'Inter e Cevenini I del Milan. Altri li avevamo scartati noi invece: p. es. Giuseppe Caimi, dell'Inter, di cui eravamo amicissimi ma che consideravamo un po' una « testa matta», Caimi che ci scrisse una lettera furibonda per la esclusione e con cui ci riconciliammo poi durante la guerra, pochi giorni prima che, tenente degli Alpini al Battaglione Val Cismon del 7°, scomparisse in un'aureola di gloria — medaglia d'oro dalla motivazione leggendaria — alla conquista del Valderoa. Ma questa è storia da raccontare a parte, se mai.
 
L'importante è che perdemmo, quel giorno, il 29 giugno. Rientrando in città, sapemmo che pure la Svezia, padrona di casa, aveva perduto, essa pure nei tempi supplementari, contro la rivale diretta, l'Olanda, mezza squadra della quale constava di coloniali — gli occhi ed il colore della moglie di Wilkes. V'era un Torneo di Consolazione, alle Olimpiadi, allora. Ed ecco che, in esso, estraggono subito la Svezia come nostra avversaria, proprio la Svezia che, furiosa, anelava di lavare l'onta subita dagli olandesi. Ci diedero tutti per spacciati. 

La nostra formazione. Se dicessimo che la squadra allineata contro la Finlandia fu tutta 'nostra', diremmo una bugia. Eravamo alle nostre primissime armi, e ci entrarono un po' tutti. Fu una squadra un po' 'democratica'. Alla seconda prova ci impuntammo, e trovammo appoggio nei vercellesi presenti, cinque. Arbitrava l'olandese Willing. E si giuocò, il 1° luglio, a Rasunda, lo stadio che era già bello allora, ed ingrandito ora ospita i grandi incontri di Stoccolma. E fu la gran sorpresa. Battuti in partenza: vincitori in arrivo. Vincitori per uno a zero. 

Ricordiamo ancora tutto di quell'incontro.  La marcatura magistrale che Milano I fece al centro avanti Erik Borjesson, il padre, combinazione, di quel Reino Borjesson che gli svedesi volevano fino all'altro giorno allineare, nella stessa posizione, domenica a Firenze. La rete di Franco Bontadini al 30° minuto del primo tempo, il buon Bontadini, alpino del Val Cismon anche lui, sciatore emerito, che doveva pochi anni fa, non più giovane, suicidarsi per amore. Ed il rabbioso disappunto del pubblico. E la formazione, naturalmente: Campelli (Inter); Valle (Vercelli), De Vecchi (Milan); Binaschi, Milano I e Leone (tutti Vercelli); Bontadini (Inter), Berardo (Vercelli), Sardi (Doria), Barbesino (Casale) e Mariani (Genova). 

E la visita del capitano Bohoyen, la sera stessa ed il giorno dopo, colla richiesta scritta di una partita di rivincita, e le sue insistenze, e la resistenza nostra, di noi che alle prime armi anche in diplomazia calcistica, eravamo in difficoltà per dirgli di no senza offenderlo. E la nostra gioia, continuata, incontenibile. Era la nostra prima vittoria all'estero. 

E la 'paga' - come un gran richiamo alla modestia - ci diede l'Austria, due altri giorni dopo, allo Stadio Olimpionico, con un cinque a uno, di cui sentimmo a lungo il ronzio nelle orecchie!

[La Stampa, 8 novembre 1951, titolo: Sorto per caso il primo confronto]