Azzurri kaputt


L'esperienza vissuta in prima persona del mondiale tedesco ispirerà a Giovanni Arpino pagine straordinarie e cupe (Azzurro tenebra). Feroce il suo commento (apparso in prima pagina su "Stampa Sera" del 24 giugno 1974) all'inattesa eliminazione dell'Italia, sancita dalla sconfitta di Stoccarda contro la Polonia (già qualificata), in una sfida che era sufficiente pareggiare.


Stoccarda, 23 giugno.
Azzurri kaputt. Il 2-1 di Stoccarda ad opera dei polacchi li estromette dal Campionato mondiale. Il Club Italia può solo rimproverare se stesso per gli errori di una conduzione sbagliata, arcaica, carica di illusioni, ma senza veri convincimenti critici. 
Dobbiamo salutare i giocatori italiani che nel Neckarstadion hanno almeno combattuto fino al limite delle forze e del mestiere. Se il nostro gioco è mediocre, spezzettato, talora scadente per l'insufficienza di alcuni elementi, la squadra ha fatto il possibile per reagire di fronte ai tremendi polacchi. 
Ma non si poteva in questa partita (e lo si è visto sul campo) risolvere gli errori precedenti, cioè il pareggio con l'Argentina maturato attraverso l'opaca prova con Haiti, che illuse certi responsabili sulle condizioni dei giocatori, ma non certo i critici più attenti. Si doveva cambiare, si è cambiato, ma senza tener conto dei singoli in miglior salute: da Re Cecconi allo stesso Juliano. 
Solo la paura ha costretto lo «staff» a rivoluzionare la squadra, e questa ha spremuto da se stessa le poche gocce di liquore che teneva in corpo: non sono bastate contro il battaglione polacco, d'una possanza atletica spaventosa, che si è candidato senz'altro come uno dei maggiori pretendenti per questo decimo mondiale. 
Scriviamo sotto una tempesta di insulti scaraventatici addosso dagli spettatori italiani delusi, inferociti, anche se consci che gli azzurri hanno dato tutto, dalla rabbia agonistica d'un Mazzola (mai visto osare tanto) alla dedizione di un Facchetti, di un Anastasi. 
La «débàcle» è grandissima, ma non ci coglie di sorpresa, purtroppo. Avevamo scritto e riscritto che, prima con la resistenza passiva e tetragona dei vecchi nomi, poi con il coraggio del terrore, non si sarebbe andati avanti. Abbiamo sprecato un «mondiale» che non ha ancora trovato il suo dominatore, e dove anche noi avremmo potuto giocare le nostre carte. 
Da stasera è «bagarre», dolore, rabbia, nel clan azzurro. Da stasera iniziano i conti per il futuro. Si deve ricominciare, ma è indispensabile una notevole «purga», un solenne repulisti. 
La spedizione è fallita su tutti i piani: partita con la maestosità organizzativa di una flotta che non teme alcuna corazzata nemica, la tribù azzurra s'è sgretolata per strada come una montagna di ricotta. Proprio contro i polacchi, magnifici, nuovi maestri del «collettivo», vecchi e giovani azzurri hanno fatto il possibile. 
Avrebbero potuto persino ottenere di più, con una partenza veemente (che ha visto l'arbitro tedesco Weyland sbagliare valutazioni colossali), con un palo colpito da Anastasi e con un «serrate» finale da sangue agli occhi. Il pareggio ci stava, in qualche modo, ma solo perché Zoff aveva in precedenza parato tre palloni-gol, solo perché, sul risultato «all'inglese», i polacchi, paghi, avevano limitato i loro sforzi a una poderosa accademia in centro campo con rare puntate in area. 
Ma il passaggio al secondo turno avrebbe premiato troppo una Nazionale nata tra i vizi, le crisi di rigetto, le polemiche, i dissidi interni ed esterni. La punizione che ora fa piangere i tifosi, perché si ripercuote su di loro, deve invece essere assunta dai responsabili veri, i reggitori d'un football labirintico ed in agonia, che vive di cifre assurde, parole al vento, promesse da marinaio, e dell'eterna «schedina» domenicale. 
E' una autentica «Caporetto pallonara», se vogliamo scomodare un sostantivo grave. Per un attimo ci siamo persi nell'illusione di poterci amministrare meglio, malgrado la zavorra tecnica, tattica, politica che trascina e appesantisce il clan azzurro. Abbiamo sbagliato per un doveroso ottimismo e perché credevamo che, alla lunga, certi elementari interessi collettivi venissero tenuti da conto. 
Ma i «federali» vivono fuori della realtà, e si nutrono di sogni. Da oggi questi sogni diventano incubi: uscire dai «mondiali» per un solo gol di scarto rispetto all'Argentina è una lezione brutale, che mette in evidenza davanti allo specchio le magagne del nostro mondo calcistico e la fatuità di troppi atteggiamenti critici. 
Il declino era da prevedere e controllare. I «vecchi» messicani, pur battendosi, non potevano ritrovare i muscoli di tanti anni fa. Cosa si è fatto per sostituirli, per rendere amalgamata una «diversa» Nazionale? Sapevamo tutti che questa Coppa del mondo avrebbe preteso velocità, concentrazione agonistica, quadratura di squadra, freschezza di doti atletiche. Vi abbiamo portato gli «omini» più consunti o della gente che non aveva mai disputato una partita insieme agli altri. Abbiamo lasciato a casa giovani quali Graziani (tanto per fare un nome), che sarebbe giocatore da Polonia, se è lecito. Siamo in tocchi, ed è perfettamente inutile, oggi, che ci si venga a dire: «Abbiamo perso la partita, non la guerra». 
Quando vincevano, proprio i vecchi zii e padrini della Nazionale ci sogguardavano dall'alto in basso come tanti Napoleoni. E' veramente ora che si levino di torno, ed in perfetto silenzio. Per perdere così, non c'è bisogno che volino milioni, ci basta partecipare ad un mondiale con una squadretta di bar. Stoccarda è l'ultimo dei traguardi bui inseguiti con una cecità unica. Domani sia un altro giorno.

La partita