Uruguay olimpico

Le cronache di Monsù
9 giugno 1924

Il gran mondo del football ha la sua prima vera grande fiera internazionale ai giochi olimpici parigini del 1924. Mancano però (con la sola eccezione dell'Irlanda) tutte le rappresentative britanniche. L'Italia c'è, ma viene eliminata nei quarti dalla Svizzera. A Colombes, l'epifania del calcio sudamericano produce esaltazione, meraviglia, stupore. Sentimenti da cui non è immune Vittorio Pozzo, che considera i giocatori della Celeste sostanzialmente 'italiani'. Riproduciamo il suo resoconto della finale, disputata tra Uruguay e Svizzera, preceduta da polemiche di sapore 'moderno' sulla designazione arbitrale ...


Parigi, 9, notte.
Il torneo olimpionico di Parigi, la più grandiosa manifestazione calcistica che sia mai stata organizzata, ha avuto oggi termine con una gara che è un'apoteosi del foot-ball. 

Il significato di un torneo 

Il torneo aveva avuto, con i suoi numerosi scontri, il merito di richiamare a Parigi migliaia e migliaia di entusiasti di ogni parte del mondo, di richiamare sul giuoco nelle sue differenti fasi l'attenzione ed il conseguente inevitabile entusiasmo di migliaia diseguaci di altri sports. Aveva costituito un mezzo di propaganda efficacissima per gli esercizi fisici e la finale fu un trionfo del pallone rotondo. Basti dire che giornalisti austeri ed anche anti-sportivi si degnarono di riconoscerne l'importanza ed il significato morale; che più di 40.000 persone si trovavano ammassate a Columbes che, fra parentesi, si trova ad una ventina di chilometri dal centro di Parigi; che mezz'ora prima dell'inizio della gara le porte dovettero essere chiuse con il «tutto esaurito» ; e che l'incasso superò di gran lunga il mezzo milione di franchi. 
Avevo visto le finali di altre tre Olimpiadi, ma nessuna avvicinò in importanza e in interesse quella di Parigi. Tutto quanto l'Europa conta di competenza e di autorevole in fatto di foot-ball era ivi radunato. Giocatori di squadre eliminate, membri della Federazione internazionale, giornalisti di tutti i paesi, entusiasti di tutte le tendenze, footballers di trenta nazioni, in una parola il più imponente ed il più bello dei convegni calcistici del mondo intero. 
L'organizzazione funzionò a meraviglia. Il resto delle Olimpiadi può prestarsi a critiche, ma dentro lo stadio di Colombes bisogna mettersi sull'attenti. Il massimo stadio parigino, collaudato nella sua piena capacità, funzionò a meraviglia. Lo spettacolo presentato dal pubblico, la organizzazione delle vie di accesso e l'eccellente disposizione per lo sfollamento, fanno di questa finale una piccola gloria dell'organizzazione francese. 

Torna in scena Mutters ... 

Circa l'arbitro, una diatriba singolare è scoppiata nel Comitato olimpionico, nella Federazione internazionale e nelle rappresentanze calcistiche delle diverse nazioni, circa l'arbitro che dovrebbe dirigere l'incontro. Il fatto è di notevole interesse anche per gli italiani, perché illumina di una luce particolare i sistemi e la scelta degli arbitri, grazie a cui l'Italia fu eliminata dal Torneo. I.a Commissione per la designazione degli arbitri è composta di cinque persone; tre di esse sono francesi, il rimanente del mondo calcistico è rappresentato da Gassmann, segretario della Federazione svizzera, e da un olandese. Questo olandese era stato in un primo tempo scelto nella persona dell'arbitro Mutters, e sostituito poi con un suo collega. Dopo il bell'exploit dell'arbitraggio contro l'Italia, Mutters aveva taciuto. Improvvisamente egli tornò ieri alla ribalta con la proposta olandese, sostenuta e caldeggiata dalla Svizzera (?), di affidargli la direzione della finalissima. Le circostanze in cui la proposta e la designazione vennero fatte suscitarono il più vivo malcontento e le più vive rimostranze in tutti gli ambienti calcistici. Personalità come Ugo Meisl, dell'Austria, Johansson della Svezia, ed altri, si esprimevano ieri indignati al riguardo. 
I giornali francesi tornarono sul match italo-svizzero e significarono la loro viva meraviglia per il fatto che un uomo resosi responsabile di uno scandalo come quello del secondo goal svizzero, accordato contro ogni regola elementare, venisse anche soltanto proposto per la finale. Risultato della faccenda fu che Mutter ricevette telegrafica revoca della sua designazione, anche perché l'Uruguay rifiutava energicamente di scendere in campo con simile arbitro, e che Slawick parve il solo uomo che potesse assumere la direzione dell'incentro. La Svizzera, fatto sintomatico, insisteva su Mutters. Il retroscena dell'arbitraggio di questo Torneo rappresenta una pagina tragicomica delle Olimpiadi di Parigi. 
Superata con lunghe discussioni durante la notte la questione dell'arbitro, la direzione della partita era stata definitivamente affidata al francese Slawick. Ai suoi ordini si presentarono con una buona mezz'ora di ritardo sull'orario previsto i seguenti undici ... 

Il primo successo uruguayano 

Gli americani vinsero l'estrazione del campo. I primi cinque minuti videro un predominio abbastanza netto della Svizzera. Gli uruguayani non dovevano però tardare a mettersi in moto e dopo appena sette minuti circa il primo successo arrideva loro in modo piuttosto inaspettato. Partita dalla sinistra una offensiva americana, si videro uomini americani e due svizzeri lanciati in corsa verso il goal della Svizzera. Pareva uno sprint di cinquanta metri, tanto i quattro uomini procedevano a tutta velocità sulla stessa linea senza che uno potesse superare l'altro. Giunti a dieci metri, Petrone sparava una puntata bassa nell'angolo sinistro. Pulver non ebbe altro movimento da fare che quello di piegare la schiena per raccogliere la palla nella rete. Come una macchina cui il successo ha dato la giusta carburazione e permesso di ben lanciarsi, la compagine americana cominciò da questo momento a lavorare in modo cosi convincente che l'esito della partita non ebbe per i competenti più alcun dubbio. 
Gli americani davano prova di grande precisione sul pallone, di stile nella corsa, di intesa collettiva e di doti singolari eccezionali. Di fronte ad essi tutti i difetti degli svizzeri, difetti che i successi precedenti avevano servito a coprire, venivano a galla e si mettevano in evidenza in modo straordinario: l'irruenza del terzino Ramseyer gli faceva mancare uomo e pallone, la poca sicurezza di Pulver ai palloni bassi ispirava inquietudini ad ogni istante, e la poca conoscenza di un attacco, imperniato quasi esclusivamente su Abegglen e Dietrich, impedivano all'avanguardia di imporsi. 

La porta svizzera assediata 

Gli svizzeri arrivavano, a folate individuali, di tanto in tanto, a riprendersi, ma non riuscivano a togliere al gioco la sua caratteristica netta e chiara: quella di un assedio alla porla di Pulver. Di fronte ai numerosi tiri di Scarone, Petrone e Romano, che mancarono il goal di pochissimo, gli elvetici non dovevano registrare che una cannonata molto poco precisa di Pache e un pericoloso tentativo individuale di Abegglen. La ripresa doveva rappresentare lo stesso aspetto : alcune incursioni di Ehrenbolger, ala destra svizzera, e un lungo predominio uruguayano. II lavoro degli americani davanti al goal era però poco preciso: tiri numerosi e forti, ma alti, o a lato. Al 21° minuto Scarone giungeva con una azione individuale fino all'area della porta svizzera; Pulver liberava col piede; la palla gli ritornava nelle gambe e veniva risospinta da Cea nella rete, alla distanza di un paio o poco più di metri. 
Gli svizzeri lavorarono, più nell'energia di cui aveva già dato tante prove, che non nelle doti tecniche, i mezzi di reazione e un tiro di Dietrich, forte e preciso, avrebbe forse meritato migliore compenso in questo periodo. Ma al 37° minuto su un calcio d'angolo a favore degli uruguayani Romano segnava di testa il terzo goal per gli americani. La Svizzera non lottò più. Anche Abegglen, che era stato fino a quel momento il moto perpetuo e la molla di ogni azione offensiva elvetica, calò, come colpito da una doccia fredda. Era finita! La classe tecnica di quello storico incontro, la classe di una squadra fino a ieri sconosciuta in Europa, la classe di undici nomini di cui sette sono italiani di nome, di lingua e di razza, aveva vinto! 

Il gioco dei vincitori 

Il foot-ball uruguayano è quanto di più fresco, di più genuino, di più tecnico si possa al giorno d'oggi desiderare. Alla difesa spiccò il capitano Nasazzi, un terzino che colpisce la palla a mezzo volo come i migliori difensori professionisti inglesi. Emerge in seconda linea un negro, Andrade, che pare una boite a surprise di trucchi e di risorse. Rifulgono all'attacco le doti tecniche, il palleggio, la velocità di tutti e cinque gli uomini, 'l'utti hanno comune la capacità di illudere l'avversario, dando a vedere una intenzione e facendo poi l'opposto di quanto hanno lasciato credere; tutti battono gli oppositori con deviazioni del pallone effettuate quando l'avversario è già compromesso dal suo slancio e dalla sua corsa; tutti cercano di provocare situazioni favorevoli con passaggi dietro ai terzini, non dove il compagno sta, ma dove il compagno può giungere. 
Vi furono dei lunghi momenti della gara di oggi in cui il giuoco svolto da questi americani, che sono quasi tutti italiani, rappresentava un godimento anche per il più difficile e il più esigente dei competenti. Quello era foot-ball, quello era giuoco bello come condotta, efficace come scopo, convincente come sistema, entusiasmante come varietà.

Trionfo latino 

L'Uruguay, squadra latina per eccellenza, ha vinto il torneo calcistico di Parigi. Esso aveva presentato senza dubbio alcuno la squadra migliore di tutte le 23 nazioni iscritte. Se anche un colpo di sfortuna li avesse eliminati, poi sarebbero rimasti nella mente e nella convinzione dei critici spassionati e degli spettatori equanimi, presenti a Parigi, come l'immagine dell'unità più tecnica e più meritevole. E l'ovazione formidabile e frenetica con cui 70 mila persone di tutte le nazionalità salutarono il giro di onore, in verità un po' teatrale, e l'inchino, in realtà commovente, dei vincitori alla bandiera che saliva al pennone dello stadio, rappresentano il premio della giustizia al concorrente più meritevole. Le quattro nazioni semi-finaliste - di cui, sia detto a solo titolo di curiosità, nessuna fece la guerra - restano dunque cosi classificate: L'Uuruguay, Svizzera, Svezia e Olanda. Seguono l'Italia e la Francia eliminate dalle due finaliste.


"La Stampa", 10 giugno 1924
Vedi anche in Cineteca e nel Calndario