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Ultimo tango

[19 giugno 1974, Neckarstadion, Stuttgart]

Nonostante le infinite occasioni create, i nostri non riuscirono a sotterrare la matricola haitiana sotto la valanga di reti che avrebbe messo a tacere la critica e i pessimisti di vocazione. Col senno di poi, sarebbero bastati un paio di gol in più. E sarebbe bastato vincere contro l’Argentina, qualche giorno dopo.

L’ambiente è turbato, i laziali fanno fuoco e fiamme, e Chinaglia (inguardabile nella prima partita) resta in panca. La partita è strana, l’Albiceleste, che certamente non è in un momento di particolare fulgore, presenta gente a noi quasi sconosciuta, capelli lunghi e calzettoni abbassati, alla Sivori. I più famosi sono Héctor Yazalde, cannoniere dello Sporting Lisbona, Ruben Ayala, arrivato nel ’73 all’Atletico Madrid, e l’arcigno Heredia, pure lui militante nei Colchoneros e in campo a Bruxelles per la recente finale di Coppa dei campioni, vinta dal Bayern nella ripetizione. In Spagna giocavano da un anno anche il portiere titolare, Daniel Carnevali (a Las Palmas), mentre in Francia si era trasferito il terzino sinistro Bargas (a Nantes). C’è anche un giovane e acerbo Kempes. Il migliore è senz’altro René Houseman, trequartista rapido e astuto, ventunenne. La bilancia anagrafica (poiché si stima la gioventù degli avversari un fattore sensibile, a fronte della nostra maturità) pende dal lato sudamericano. Sono, mediamente, di tre anni più giovani dei nostri. Furbi, parecchio. Ma la temuta rissa non esplode mai.

L’Argentina passa in vantaggio. Fabio Capello non legge in tempo l’inserimento di Houseman (che Valcareggi quasi auspicava fosse in campo: è “uno che indulge troppo alla preziosità e alla finezza del palleggio, danneggiando nel contempo la velocità dell’azione”, così all'inviato del Corriere della Sera, la vigilia), messo davanti a Zoff con un abile filtrante da Babington. Impeccabile la conclusione. Il pareggio arriva subito ed è un autogol, lo procura Benetti che, ottimamente imbeccato da Rivera, controlla male di petto mentre irrompe in area. La traiettoria si allunga, Perfumo aveva calcolato un altro tempo di entrata, Carnevali è beffato [foto, sotto]. Il primo tempo è tutto qui.


La partita è strana. Nella parte centrale del secondo tempo loro esercitano una certa pressione, che costringe i nostri ad arretrare e attestarsi a protezione sul limite dell’area. Un catenaccio involontario, reso fine a se stesso dalla difficoltà di innescare il leggendario contropiede, a causa dei molti disimpegni sbagliati. Nando Martellini è in ansia, occorre uscire da questa trappola. Urgono sostituzioni. “Anche Wilson si sta scaldando, ci saranno due cambiamenti probabilmente nella nostra squadra mentre l’Argentina viene avanti con Babington, colpo di testa di Burgnich ma la palla rimane sempre agli argentini, ad Ayala, Babington, ha respinto ancora Burgnich, è un muro al limite dell’area, va a terra Rivera, va a terra Rivera, molto stanco. Houseman … [fischi] Fallo di Benetti su Houseman e calcio di punizione mentre viene fermato il giuoco. Valcareggi richiama Rivera e Morini e fa entrare Causio e Wilson. Rivera e Morini ritornano in panchina: Rivera stanco e Morini che risente ancora dell’incidente”. L’altoparlante annuncia le sostituizioni. Il pubblico fischia quando viene pronunciato il nome di Morini. Resta in silenzio quando viene annunciata l’uscita di Rivera.

Quel pallone perduto sulla nostra tre quarti – un controllo riuscito male: stava progettandone l’uso a vantaggio dei compagni – è l’ultimo toccato da Gianni in maglia azzurra.

Mancano meno di tre minuti al 90°. Causio, allargatosi sulla sinistra, imbecca bene Riva in area, che uncina di sinistro la sfera in coordinazione difficile, ma se la allunga troppo. Era in fuorigioco. Poco dopo, alla fine di un’azione insistita, con parecchi rimpalli, organizzata sulla destra da Causio e  Benetti, lui si muove su tutto il fronte, a cercare la posizione, ma l’azione finisce con un tiro telefonato di Causio. La telecamera va su di lui, che alza le braccia come a rimproverare i compagni che non l’hanno servito. Sono gli ultimi istanti di Rombo-di-Tuono in nazionale.


I reprobi

Nazionale ‘tradita’ dal cervello Rivera e dal cannoniere Riva.
La sconcertante svagatezza di Rivera.
Rivera nettamente sopraffatto da Telch.
Ora tutto rischia di franare perché lui, Riva, non c’è.
Rivera, fiacco e svagato, tentava improbabili lanci.
Si è visto un Rivera smarrito e umiliato.
Quasi svergognato nelle sue arti di stilista.
Ha sbagliato cose elementari, si è lasciato soffiare palloni come un principiante.
Non ha nelle gambe i novanta minuti di una partita.
Riva: se ne sta laggiù ad aspettare il pallone, come un gigante disarmato.
Per anni la nazionale ha giocato per Riva, per anni è stato l’intoccabile mostro sacro. Ora ha già fallito due volte la prova. Non si può rischiare di farlo fallire una terza volta.
Per la verità Riva ha fallito la prova in modo clamoroso anche perché gli sono venuti a mancare i lanci di Rivera, a sua volta in defaillance.

Rivera e Babington

Rivera: "Forse si pretende sempre che io vinca la partita da solo".

Valcareggi: "Rivera non era in giornata normale, ma non è il caso di drammatizzare. Io non mi preoccupo. Lo conosciamo tutti. Rivera non è in discussione".

Valcareggi: "Riva è in buone condizioni fisiche. Qualcosa non ha funzionato, e si è reso meno pericoloso del solito".

Mazzola, invece, è salvo.

Mans


Il Milan sul tetto d'Europa!

Cesare Maldini solleva la prima coppa internazionale
del calcio italiano del dopoguerra
Londra, 22 maggio 1963

Grazie all'esaltante vittoria del Milan ottenuta questo pomeriggio sul campo del Wembley Stadium di Londra sui bi-campioni d'Europa del Benfica di Lisbona, l'Italia del calcio torna finalmente grande dopo i fasti degli anni trenta, la tragedia di Superga e la battaglia di Santiago della scorsa estate.

I Diavoli avevano sfiorato l'impresa cinque anni fa, perdendo la finale dell'Heysel ai tempi supplementari contro il grande Real Madrid. Oggi si sono rifatti con una gara di sofferenza e contenimento nel primo tempo e una magistrale ripresa: battendo per 2:1 le Aquile, il Milan è il nuovo Campione d'Europa!

Qui - clicca - un'anteprima ricca di immagini a colori e in bianco e nero che celebrano questa straordinaria giornata dello sport italiano e suoi protagonisti: da José Altafini, autore della doppietta della rimonta, a Nereo Rocco, l'artefice di questa squadra, da Cesare Maldini, il capitano indomito, a Gianni Rivera, il talentuoso giovane di belle speranze.

Domani il reosconto completo del nostro inviato all'Empire Stadium.

Quattro chiacchiere con Pozzo a Ten Bells, aspettando la finale

Londra, 21 maggio 1963

All'appuntamento, Vittorio Pozzo è stato puntuale. Anzi, ci ha preceduto. Probabilmente non è per caso che con lui, a Ten Bells, ci fosse anche Walter Winterbottom: stavano discutendo, abbastanza animatamente, di vecchie e inutili partite tra noi e loro, di metodo e sistema. All'inglese, come a tutti gli inglesi, della finale di domani pomeriggio tra Milan e Benfica non importa un fico secco. Anzi: a sfogliare i giornali di qui, è persino difficile accorgersi che ci sia una finale di Coppa dei campioni, domani, a Wembley. Probabilmente perché la rincorsa dell'Ipswich è stata interrotta quasi sul nascere e proprio dal Milan. I più 'caldi' sono i book-makers. Dànno il Milan leggermente favorito: sei a quattro. Mah. Il Benfica è campione in carica - anzi, bi-campione, la logica imporrebbe un pronostico diverso. Vien da pensare che il Milan goda di tutta questa considerazione solo perché ha fatto fuori i loro ronzini. A ogni modo: qui si sono goduti il Tottenham, che la settimana scorsa al De Kuip ha massacrato l'Atletico di Madrid, portando a casa la Coppa delle coppe, e ora snobbano i latini che si contendono il trofeo maggiore. Soprattutto perché lo faranno nello stadio dell'Impero. Un discreto smacco. Ma facciamo due chiacchiere con il nostro vecchio alpino, che a Londra conosce tutti e che naturalmente è il principale inviato de La Stampa per Benfica-Milan.

Monsù Poss, come mai questo disinteresse generale per l'evento? "I giornali inglesi sono di solito molto poveri di notizie per quanto riguarda argomenti che non toccano da vicino l'Inghilterra. Il graffio ad una mano di un bambino interessa di più il gran pubblico londinese che una partita di calcio tra due squadre straniere, anche se questa partita si disputa a Londra e anche se essa è un grande avvenimento internazionale". Ce ne faremo una ragione. Cosa pensa del nuovo tecnico dei portoghesi, il cileno Riera? "Beh, ha già dato la formazione. Viani e Rocco, invece, prendono tempo". Lei pensa giocherà Barison o Pivatelli? "Una delle soluzioni pare debba essere quella di far giocare Mora all'ala sinistra, per impegnare così un difensore portoghese che è solito a portarsi in avanti. In questo caso Pivatelli prenderebbe il posto di ala destra: solo fittiziamente però, dovendo egli assumere effettivamente posizione arretrata". Soliti tattiscismi all'italiana. "Cosa che non stupisce affatto. Nel complesso i portoghesi paiono molto più calmi e sereni degli italiani, forse grazie all'esperienza che in una competizione del genere li sostiene. Riera ha risposto alla richiesta del Milan, di giocare una partita di rivincita a Milano qualunque sia l'esito dell'incontro di Wembley, che preferisce parlare della cosa dopo l'avvenimento di domani sera". Anche la sua è pretattica, in fondo. Chi vincerà, secondo lei? Pozzo alza le spalle e riprende la chiacchierata con Winterbottom. "Walter, do you remember Frank Borghi? Ah ah ah ..."

L'ottimismo che circonda la spedizione rossonera Oltremanica non pare giustificato. Voci - solo voci, per ora - dicono che Nereo Rocco abbia già firmato un contratto con il Torino per la prossima stagione. In campionato le cose sono andate peggio del previsto; la squadra pare in condizione atletica scadente. I portoghesi schierano alcuni assi di statura mondiale - Eusébio su tutti: a chi toccherà il compito di arginare la Pantera Nera? A Trapattoni o a Benitez? Lo sapremo solo quando il pallone inizierà a rotolare sul verde prato di Wembley, domani pomeriggio. Per gli appassionati italiani, diretta radiofonica del secondo tempo e in tivù differita del match dopo Carosello. Sempre che qualcuno, all'ultimo momento, non rimetta mano al palinsesto. Vinca il migliore, è l'augurio che ci resta da fare ("sperémo de no", aggiungerebbe il Paròn).

Mans


Doccia scozzese

Bruxelles, 7 marzo 1963

Il match si è appena concluso,
e i giocatori del Dundee salutano l'Heysel
Chi dovesse passare da Bruxelles nei prossimi giorni, troverà gente incupita e nervosa. Il match di ieri sera tra Anderlecht e Dundee ha sortito questo effetto: il taxista che ci ha portati a Zaventem ha finto di non sapere nulla di quel che è accaduto. E - anzi - di non volerne sapere nulla. Poi è imploso in un silenzio che alludeva alla verità. Chiacchierare di sconfitte della propria squadra è esercizio arduo per i tifosi; figuriamoci quando si tratta di sconfitte inattese e perciò speciali. E' andata così. I pedatori del Dundee hanno raso al suolo l'Heysel, invaso da 64.073 spettatori paganti, dei quali solo alcune decine provenienti dalla terra dei Dark Blues. E, al novantesimo, gli undici demoni si sono raggruppati in mezzo al campo e hanno rispettosamente salutato gli applausi che tutto il pubblico tributava loro.

Già. E' stata una autentica doccia scozzese, e la squadra che sulla stampa continentale veniva ultimamente candidata a entrare nell'albo d'oro della coppa (per il solo fatto di avere eliminato il Madrid) è chiaramente destinata a uscire dalla competizione. Per mano degli uomini di Bob Shankly, capaci di un football manovrato e veloce, nella migliore e più antica tradizione del calcio di Scozia. Si veda la rete del due a zero (timbrato al 18' del primo tempo), un autentico capolavoro: Ian Ure recupera la sfera nella propria metà campo, la appoggia lateralmente a Wishart; questi cerca e trova il movimento sulla fascia sinistra di Robertson, seguito da Heylens. L'estrema sinistra del Dundee finge allora di cercare il fondo, ma poi rientra sul destro e spedisce un preciso pallone verso Gilzean, che flotta insieme a Cousin sul limite dell'area di rigore. Fulmineo e scaltro scambio tra i due che libera Gilzean al tiro dai sedici metri: shot non violento ma preciso, che si infila vicinissimo al palo destro, là dove per Árpád Fazekas è impossibile arrivare [vedi il filmato dell'azione]. Dunque, non si era ancora a metà del primo tempo e i Dark Blues avevano sostanzialmente spento le velleità dei belgi. I quali rientrano tuttavia in partita grazie a un penalty trasformato da Lippens al 36': ma la loro serata è davvero storta, ogni occasione si traduce in uno spreco (e dagli spalti si impreca alla sfortuna), i giovani talenti (su tutti Van Himst) sembrano ancora piuttosto acerbi. Alla ripresa, ancora una volta, il Dundee va in gol alla prima azione, com'era accaduto in avvio di partita con Gilzean. Stavolta tocca a Cousin, e per gli uomini di Sinibaldi è la mazzata finale. Il 4-1 firmato da Penman intorno alla mezz'ora serve a definire il tabellino, e a privare la sfida di ritorno - in calendario tra una settimana a Dens Park - di ogni suspence.

Alan Gilzean, leggenda del Dundee

I cronisti del Daily, dell'Herald, del Sunday Post venuti a Bruxelles non sembravano particolarmente stupiti. "Questo è la migliore squadra costruita in Scozia nel dopoguerra", diceva uno di loro, e i colleghi assentivano. E quindi la domanda che ponevamo alla vigilia, riguardante le prospettive dei Mauves, va ora riproposta per il Dundee. Fin dove può arrivare l'XI di Bob Shankly? Per le compagini britanniche la Coppa dei Campioni d'Europa è stata fin qui una sequela di deludenti avventure, e in questa edizione gli inglesi dell'Ipswich Town sono già usciti agli ottavi, agilmente superati dal Milan. Rimane questa banda di (per ora) semi-sconosciuti scozzesi, tra i quali, oltre ad Alan Gilzean - le cui qualità realizzative sono già note e apprezzate anche sul continente - brillano il mediano Ian Ure, il terzino destro Alex Hamilton, le ali Gordon Smith e Hugh Robertson. Smith, in particolare, è un autentico portafortuna: prima di trasferirsi sul Firth of Tay, aveva già trascinato le squadre di Edimburgo (Hearts e Hibernian) al titolo di Scozia, che come si sa raramente sfugge agli squadroni dell'Old Firm. Diamo dunque per scontata la presenza del Dundee Football Club nel tabellone delle semifinali, dove è già pressoché sicura la presenza del Milan; concediamo perciò pochissime chances di rimonta all'Anderlecht: la legge di Dens Park, finora, è stata durissima per tutti.

6 marzo 1963, Stade du Heysel, Bruxelles
RSC Anderlecht - Dundee United 1:4 (1:2)
Anderlecht: Árpád Fazekas, Georges Heylens, Laurent Verbiest; Martin Lippens, Jean Cornelis, Pierre Hanon; Joseph Jurion, Jean-Pierre Janssens, Jacques Stockman, Paul van Himst, Puis Wilfried. Allenatore: Pierre Sinibaldi
Dundee: Bert Slater, Alex Hamilton, Bobby Cox; Bobby Seith, Ian Ure, Bobby Wishart; Gordon Smith, Andy Penman, Alan Cousin, Alan Gilzean, Hugh Robertson. Allenatore: Bob Shankly.
Arbitro: Daniel Mellet (Svizzera)
Marcatori: Gilzean 1°, 18°, Lippens (R) 36°, Cousin 46°, Penman 71°.
Spettatori: 64.073

'Mauves' e 'Dark Blues' al momento della verità

5 marzo 1963, Bruxelles

Chi negli ultimi giorni è passato da Bruxelles, certamente ha ritenuto che la gente di qui non sia così triste come la si dipinge. Luoghi comuni, è ovvio. Il taxista che ci ha accompagnato all’albergo era su di giri, ma palesemente sobrio. L’aria è frizzante, la primavera incombe e – soprattutto – Les Diables Rouges (la nazionale di calcio del Belgio) sabato scorso hanno espugnato il De Kuip: uno a zero a Rotterdam [tabellino], era solo un’amichevole, ma battere gli olandesi (e a casa loro) produce da queste parti umori gioviali e animi sereni.

Domani sera, allo Stade du Heysel, la principale squadra di Bruxelles, il Royal Sporting Club Anderlecht, ospita per l’andata dei quarti di finale di Coppa dei Campioni gli scozzesi del Dundee Football Club. Poiché il Dundee partecipa per la prima volta al torneo, non vi sono precedenti fra i due club. I Dark Blues, peraltro, sono riusciti nella scorsa stagione a vincere per la prima volta la First Division scozzese, prevalendo a sorpresa sui due squadroni di Glasgow (Rangers e Celtic): riuscita inattesa ed epocale. L’Anderlecht, invece, vanta già tre partecipazioni in questo torneo continentale; mai è riuscito a superare il primo ostacolo, e dunque si capirà quale sia l’entusiasmo che lo circonda in questa edizione, nella quale è avanzato sino ai quarti nonostante il sorteggio gli avesse opposto, per il primo turno, nientemeno che il grande (ma oramai declinante) Real Madrid [tabellini: andata - ritorno].

Robert Shankly,
manager del Dundee FC
E qui sta il punto. Fino a dove può arrivare l’XI guidato da Pierre Sinibaldi? E che differenza di valori c’è tra Anderlecht e Dundee, sulla carta? Il nostro buon taxista non ha dubbi al riguardo: i Mauves dovrebbero vincere con largo margine domani, e mantenere poi il vantaggio in terra di Scozia; la perforabilità esterna dei pedatori guidati da Bob Shankly (fratello di William, manager del Liverpool) è stata palese fin qui; ma tra le mura amiche hanno travolto il Colonia (8-1: tabellino) e lo Sporting Lisbona (4-1: tabellino): imprese non da poco. Potenzialmente significativa è, semmai, la differente esperienza internazionale che connota le due compagini. L’Anderlecht sostanzialmente coincide con la nazionale del Belgio – a Rotterdam, sabato scorso, nella formazione di partenza aveva installato otto titolari (e si tenga conto di come il portiere dei Mauves sia un ‘vecchio’ pirata ungherese, e di come mancasse il capitano, Jeff Jurion, bandiera dell’Anderlecht e in generale del football belga). Nell’ultima apparizione della Tartan Army, viceversa (lo scorso novembre ad Hampden Park, in un match di British Championship vinto facilmente contro l’Irlanda: tabellino) provenivano dal Dundee due soli elementi (Alexander Hamilton e Ian Ure), che insieme hanno raccolto finora solo una decina di caps.

Paul Van Himst, giovane
stella dell'Anderlecht
Quanto al confronto tra le due ‘scuole’, non c’è materiale per ulteriori riflessioni. Le due nazionali non si sono mai affrontate in una competizione ufficiale, ed entrambe non si sono qualificate per la Coppa del Mondo organizzata dal Cile; l’ultimo test-match risale al 1951, si giocò all’Heysel, e la Scozia non trovò praticamente opposizione. Finì cinque a zero per i nordici [tabellino]. Semmai, un dato viene a confortare i supporters della squadra locale. Nella passata edizione della coppa, gli eterni rivali dello Standard Liegi incrociarono i Rangers nei quarti, e li estromisero dal torneo; furono poi, a loro volta, vittima dello strapotere madridista [vedi il quadro della competizione]. Strapotere che tuttavia, quest’anno, proprio l’Anderlecht ha clamorosamente ridimensionato. Se il calcio fosse un gioco di sillogismi, o semplice calcolo delle probabilità, non ci sarebbe partita. Non è così, e dunque – per prudenza – non proviamo nemmeno ad esercitare l’arte della predizione. I Mauves sono una squadra giovane, ricca di talenti (su tutti, quello cristallino di Paul van Himst), ma gli scozzesi hanno l’aria d’essere un gruppo poco arrendevole, arcigno fino alla cattiveria, affamato e reso anzi ancora più famelico dai propri inattesi successi - e hanno in Alan Gilzean un temibilissimo scorer. Sono due XI, in sostanza, sulla cresta dell’onda; comunque vada a finire, sarà stata per entrambi una stagione speciale.

Mans

Se osano le Aquile ...

5 marzo 1963, Lisboa

Il programma della partita con i volti
dei primi due giocatori europei del momento
È previsto il tutto esaurito domani sera all’Estádio da Luz di Lisboa [vedi] per l’andata dei quarti di finale della Coupe des clubs champions européens tra i campioni in carica del Benfica e i campioni di Cecoslovacchia del Dukla Praga. Si avverte in città un clima di forte attesa per il ritorno in campo ad alto livello internazionale della squadra di casa dopo la cocente delusione patita l’11 ottobre scorso nel ritorno della Coppa Intercontinentale contro l’incontenibile Santos di Pelé: un terribile 2:5, con tre reti della “Pérola Negra” [vedi], dopo che già la gara d’andata a Rio de Janeiro era finita 2:3 [vedi]. È la seconda volta consecutiva che le Águias impattano duramente con i detentori della Copa Libertadores de América: nel 1961 era stato il Peñarol di Montevideo a rifilare un sonoro 5:0 nel ritorno, per poi vincere anche la bella [tabellini]. Per i bicampioni consecutivi d’Europa il confronto con le maggiori squadre del Sud America è apparso improbo finora. Ciò non toglie smalto però al loro palmarès europeo: il Benfica è attualmente la squadra più forte del continente, trionfatrice nelle due ultime edizioni della Coppa dei campioni, rispettivamente sul Barcellona [vedi] e, lo scorso 2 maggio, sul Real Madrid, in una delle più belle finali della Coupe finora disputate [vedi]. Anche quest’anno è, senza dubbio alcuno, la favorita per la vittoria finale. Come detentrice è stata esonerata dal turno preliminare, e ha debuttato direttamente agli ottavi il 31 ottobre scorso contro il Norrköping: 1:1 con pareggio del solito Eusebio [tabellino], e poi 5:1 al ritorno, con altre tre reti di questo 21enne di devastante potenza e di ancora inimmaginabile prospettiva [tabellino].

Josef Masopust mostra il "Pallone d'oro" al suo pubblico praghese
L’avversario di domani è però insidioso. Il Dukla Praga ha affrontato avversari abbordabili nei turni precedenti – il Vorwärts Berlin, campione della Germania orientale, e l’Esbjerg, campione di Danimarca – ma non ha mai perso e nemmeno preso un gol. A Berlino ha vinto in scioltezza 3:0 [tabellino], ad Esbjerg ha impattato 0:0 [tabellino]. È dunque squadra coriacea, capace di fare risultato in trasferta grazie a copertura tattica e agonismo atletico. I boemi non sono nuovi alla Coppa dei campioni: eliminati agli ottavi nell'edizione del 1958 dal Manchester United (comunque battuto a Praga per 1:0) e in quella del 1959 dal Wiener Sport-Club, sono invece approdati ai quarti anche lo scorso anno, dove sono stati fermati da un secco 1:4 rifilato dal Tottenham [vedi]. Non difettano di esperienza. D’altra parte il calcio cecoslovacco conosce in questi anni una nuova stagione felice, dopo i fasti della prima metà degli anni trenta, in cui ottenne il terzo posto nella Coppa Internazionale del 1930 e, soprattutto, un secondo posto ai Mondiali vinti dall'Italia in casa nel 1934. L’estate scorsa, in Cile, la nazionale cecoslovacca è approdata nuovamente a una finale mondiale, dove ha avuto la sfortuna di incontrare il Brasile di Garrincha, Didì e Vava (oltre che dell’acciaccato Pelé). Nel 1960 ha vinto la Coppa Internazionale e la finale per il 3° posto della prima edizione della Coupe Henri-Delaunay - preludio del Championnat d'Europe des Nations - disputatasi in Francia. Non è un caso, che nel dicembre scorso il Ballon d'Or di “France Football” sia stato assegnato al capitano del Dukla, Josef Masopust, nonché nazionale e primo calciatore dell'Europa dell’Est a ricevere questo premio, e proprio davanti alla stella nascente del Benfica, Eusebio.

Protagonista in dubbio: José Aguas
qui mentre alza la Coppa dei campioni
la sera del primo trionfo internazionale
del Benfica, il 31 maggio 1961
Il Benfica si appresta dunque ad affrontare dei giocatori di qualità. Il Dukla ha ripreso la preparazione durante la pausa invernale del proprio campionato disputando nello scorso gennaio in Messico il Torneo Pentagonal, dove ha ben figurato [vedi]. La stampa spagnola scrive che "el Dukla dejó magnifica impresión", mostrando "excelente clase, prodigando bellos espectáculos con su fútbol vigoroso y atlético", battendosi come "todo un bloque homogéneo". Lo schema tattico adottato dall'allenatore Jaroslav Vejvoda si ispira a quello attualmente in voga: il 4-2-4 sfoggiato dal Brasile negli ultimi anni. A orchestrare il gioco è Josef Masopust a ridosso della linea degli attaccanti; davanti al portiere Pavel Kouba agiscono quello che noi italiani chiamiamo il libero, Jiři Čadek, e la linea dei terzini composta da František Šafránek, Svatopluk Pluskal e dal capitano Ladislav Novák; i mediani sono Ján Brumovský e, con vocazione più offensiva, Josef Vacenovský (che però, per domani sera, è dato come incerto e potrebbe essere schierato al suo posto Jaroslav Borovička); davanti operano gli attaccanti Rudolf Kučera, Jozef Adamec, e Josef Jelínek.

Si annuncia pertanto una bella partita, con il Benfica che dovrà fare il gioco e attaccare – tra le sue fila è però incerta la presenza del vecchio asso José Aguas – e con il Dukla coperto e pronto a colpire di rimessa. Arbitrerà l’inglese Ken Aston, che noi italiani ricordiamo amaramente per il vergognoso arbitraggio della partita contro il Cile durante i mondiali dello scorso giugno [leggi]. Il Benfica resta in ogni caso nettamente il favorito per la vittoria e per il passaggio del turno.

Azor

Clamoroso al Parco!

7 febbraio 1963, Paris

Hassan Akesbi e Raymond Kopa
Clamorosa sconfitta dello Stade de Reims ieri sera al Parc des Princes per piede del Feijenoord nell'andata del quarto di finale della Coupe des clubs champions européens. Il risultato poteva starci – e qualche segnale di involuzione, a ben vedere, era percepibile nella sconfitta patita, nel turno precedente, fuori casa con l’Austria Wien – ma i pronostici, compreso il nostro [leggi], erano orientati in larga misura in favore di una vittoria dei francesi. “Jamais Paris n’a vu Rémois aussi décevants” si legge sui giornali francesi stamane in edicola. E, in effetti, di fronte all'atteggiamento guardingo e attendista degli olandesi i giocatori di casa sono riusciti a forzare la linea difensiva avversaria solo in rare occasioni, capitate sul piede non baciato del centravanti marocchino Hassan Akesbi [profilo], l’erede, valido ma pur sempre di minor qualità, di Just "Justo" Fontaine [vedi]. Per tutta la partita i Rémois hanno ruminato un calcio sterile senza mai riuscire a farsi veramente pericolosi.

Alla fine, a risolvere per “de club aan de Maas” (il club lungo la Mosa) è stata una ciabattata dal limite dell’area del mediano Reinier Kreijermaat al 27° del primo tempo che ha sorpreso Maurice Barreau, il sostituto tra i pali del titolare Dominique Colonna, infortunato dell’ultima ora. Il vantaggio è stato legittimato nella ripresa da una traversa colpita da un’inzuccata del centravanti Cor van der Gijp in una delle altrettanto rare sortite in avanti del Feijenoord. Non è stata una bella partita per i più di 30.000 spettatori accorsi ancora una volta al Parc des Princes per una serata di coppa internazionale. Come mostrano gli scarni “riflessi filmati” del match [vedi], le occasioni da gol sono state davvero poche. Il gioco caro a Eupalla e ai suoi devoti non è stato onorato in questa fredda serata nell’Île-de-France. A fare festa al fischio finale dell’arbitro sono stati solo gli oltre duemila tifosi olandesi al seguito dei loro beniamini. Pare che festeggiamenti ad adeguato tasso alcolico si siano scatenati al contempo anche in molti bar di Rotterdam dove la gente si era radunata per vedere la partita in televisione.

Una formazione del Feijenoord nel 1963, corrispondente per 10/XI
a quella scesa in campo al Parc de Princes contro lo Stade de Reims.
In piedi da sinistra: Kerkum, Veldhoen, Pieters, Krejjermaat,
Klaassens e Kraay. Accosciati: Van der Gijp, Bennaars,
Kruiver (l’unico non in campo, sostituito da Moulijn),
Bouwmeester e Bergholtz
È la quarta vittoria fuori casa del Feijenoord in questa edizione della Coupe: gli olandesi hanno sconfitto due volte per 3:1 il Servette, dapprima a Ginevra e poi a Düsseldorf, nello spareggio per il passaggio del primo turno; hanno poi battuto, sempre alla bella, i magiari del Vasas Budapest ad Anversa per 1:0. Ieri hanno espugnato anche il Parc des Princes, stringendosi con disciplina intorno al loro capitano, l’arcigno mazzolatore Gerard Kerkum, terzino destro di piede ruvido ma di indubbia sostanza agonistica, e hanno portato a casa una vittoria pesante. Difficile parlare di sorpresa, a questo punto, benché i neerlandesi siano quasi tutti dei semi-professionisti, e pochi di loro militino tra gli Oranje. Ieri sera mancava anche l’attaccante più prolifico, Piet Kruiver, che i tifosi vicentini, che lo hanno visto ronzinare mestamente nelle loro fila lo scorso anno, hanno scherzosamente soprannominato “Pietà”, per la sconfortante broccaggine mostrata sotto porta [leggi]. Nondimeno sono loro adesso a vedere la semifinale a portata di mano.

Lo Stade de Reims è apparso invece l’ombra del grande squadrone capace solo alcuni anni fa di giocarsi ben due finali della Coupe. Nemmeno l’infortunio occorso dopo appena 26 minuti allo stopper Raymond Kaelbel, che ha costretto in dieci la squadra per un’ora, può costituire un’attenuante alla sconcertante prestazione di ieri sera. Con molta lucidità, l’allenatore Albert Batteux ha sottolineato come “cette défaite est, dans le fond, un mal pour un bien. Reims sait maintenant où il en est. Il faut repartir de zéro”. Il 6 marzo prossimo vedremo se i bianco rossi ne saranno ancora una volta capaci.

Il biglietto del match
6 febbraio 1963, Parc des Princes, Paris
Stade de Reims - Feijenoord Rotterdam 0:1
Stade de Reims: Maurice Barreau, Raymond Kaelbel, Claude Robin, Bruno Rodzik, Jean Wendling, Robert Siatka, Roger Piantoni, Paul Sauvage, Hassan Akesbi, Raymond Kopa, Jean Vincent. Allenatore: Albert Batteux
Feijenoord Rotterdam: Eddy Pieters Graafland, Gerard Kerkum, Johannes Kraay, Cor Veldhoen, Rinus Bennaars, Frans Bouwmeester, Jan Klaassens, Reinier Kreijermaat, Gérard Bergholtz, Cor van der Gijp, Coen Moulijn. Allenatore: Franz Fuchs
Arbitro: Kurt Tschenscher (Germania)
Marcatore: Reinier Kreijermaat (27°)
Spettatori: 30.733


Azor

Una vigilia con le bollicine?

5 febbraio 1963, Paris

Domani sera è in programma al Parc des Princes di Parigi il secondo dei matches d’andata dei quarti di finale della Coupe des clubs champions européens tra lo Stade de Reims e Feijenoord. Anche il calendario di questo turno, come quello dei precedenti, è un po’ bizzarro: lo scorso 23 gennaio il Milan ha espugnato Istanbul sotto la neve [leggi], domani tocca alle compagini campioni di Francia e Olanda, e poi dovremo aspettare un altro mese, fino al 6 marzo, per goderci gli altri due incontri, Anderlecht vs Dundee e Benfica vs Dukla Praga. Mah … Chissà se in un prossimo futuro le partite di ogni turno saranno finalmente accorpate.

Plastico ma anche capace di prodigi: Dominique Colonna
Esentata dalla prima fase grazie a un fortunato sorteggio, l’équipe francese si è qualificata ai quarti dopo aver superato negli ottavi la venerabile Austria Wien, la cui casacca viola è stata onorata indelebilmente da Matthias Sindelar [vedi] per centinaia di partite. Gli olandesi hanno invece faticato a domare al primo turno gli svizzeri del Servette e agli ottavi gli ungari del Vasas Budapest: in entrambi i casi è occorsa una terza partita di spareggio; ciò rende il Feijenoord la squadra che ha disputato finora più incontri nell'attuale edizione della Coupe, e – si noti – su sei matches i neerlandesi hanno perso una sola volta, in un clamoroso 1:3 casalingo al De Kuip [vedi] col Servette. Sono dunque compagine tignosa, da prendere con le pinze.

I campioni di Francia faranno bene a tenerlo presente, anche perché hanno debuttato nell'attuale edizione della Coupe in modo incerto, con una sconfitta (2:3) al Prater di Vienna [tabellino]: gli spettatori austriaci hanno impietosamente fischiato i franzosi per tutta la partita, al punto che un cronista galletto ha chiosato che “ils n’ont pas la réputation d’être  des modèles de courtoisie”. Anche sul campo è stata battaglia: l’ala sinistra Jean Vincent [profilo] è stato espulso per aver messo le mani addosso ad Alfred Gager dopo che questi aveva attentato più volte alle sue caviglie; a far miracoli e a contenere la débâcle è stato Dominique Colonna [profilo], portiere di piccola taglia (171 cm) ma di grande destrezza e capace di riconosciuti “prodiges”. Al ritorno a Parigi i viennesi sono stati accolti con “une vibrante Marseillaise” e sono stati trattati “comme des prisionniers s’en allant aux galères”. Certo, l’andazzo è preoccupante, e alcuni commentatori francesi hanno esternato le loro preoccupazioni per le sorti della Coupe che avvertono gelosamente come loro “creatura”: “La Coupe d’Europe risque de mourir de tels excès et, même si le publique viennois s’est conduit d’odieuse façon, il n’était pas nécessaire de lui rendre indirectement la pareille”. Sul campo, in ogni caso, hanno dominato i giocatori del Reims che hanno giocato “avec une espèce de fureur sacrée”, guidati da un assatanato Raymond Kopa che “avec une volonté farouche” ha suonato la carica sin dal primo minuto: 3:0 al riposo e 5:0 finale [tabellino]; senza che gli austriaci, “sifflés, bousculés et battus”, potessero nulla, nemmeno il loro possente centravanti Horst Nemec, al quale l’arcigno stopper Raymond Kaelbel [profilo] ha riservato “un duel homérique”. La reazione di quella sera ha ricordato ai suoi tifosi il Reims delle belle serate di coppa degli anni passati, e li incoraggia a sperare anche per stasera.

Lo sciagurato Piet "Pietà" Kruiver
con la maglia del Lanerossi Vicenza 1961-62
Il Feijenoord, invece, si presenta al Parc des Princes con l’intenzione di andare avanti in coppa. La squadra è alla seconda partecipazione consecutiva alla Coupe: nella scorsa edizione, dopo avere sbaragliato (per 3:0 e 8:2) i volenterosi atleti dell’Idrottsföreningen Kamraterna Göteborg (Compagnia delle Associazioni Sportive Göteborg), incapparono agli ottavi nel Tottenham, che li sconfisse nettamente al De Kuip (1:3) per poi amministrare il ritorno al White Hart Lane (1:1). Ora che sono approdati ai quarti coveranno sicuramente l’ambizione di uccellare les Rémois. L’équipe è priva di campioni, ma si affidata alla corsa e al collettivo: si distinguono solo il portiere, anche della nazionale, Eddy Pieters Graafland [profilo], il mediano Cor Veldhoen [profilo], e l’ala sinistra Coen Moulijn, il veterano della squadra [profilo]. Le notizie dell’ultima ora danno per acciaccato il bomber (eufemismo) Piet Kruiver [profilo], che lo scorso anno apparve come una meteora anche sui campi italiani, ingaggiato speranzosamente dal Lanerossi Vicenza per i tanti gol segnati in patria, ma che si è presto rivelato una delusione, al punto da vedersi appioppato l’impietoso soprannome di “Pietà”, per l’enorme numero di gol mangiati.

L'inequivocabile stemma champenois
dello Stade de Reims
Per l’esperienza e la qualità media dei suoi pedatori, il pronostico non può che essere a favore dello Stade de Reims. Oltre al grande Kopa (che all'epoca giocava nel Real Madrid), sono infatti reduci dalla finale della Coupe del 1959 ben quattro giocatori: il terzino sinistro Bruno Rodzik [profilo], la guizzante mezzala sinistra Roger Piantoni [profilo], e i già citati Dominique Colonna e Jean Vincent. Il pubblico parigino non farà mancare il proprio sostegno: è infatti dal 1956 che l’effervescente (è proprio il caso di dirlo, trattandosi di uno dei maggiori vignerons della Champagne) presidente Henri Germain ha deciso di fare disputare le partite interne di Coppa a Parigi, talora allo Stade de Colombes (casa dei Bleus) e più spesso al Parc des Princes. Questo perché, al debutto assoluto nella Coupe des clubs champions européens contro i danesi dell’AGF Århus nell'ottobre 1955, si recarono allo Stade Auguste-Delaune di Reims meno di 6.000 spettatori: un “forno” davanti al quale Germain “prese cappello”, come si suol dire, e decise di spostarsi a Parigi, dove in effetti l’affluenza media alle partite di coppa del Reims è di 35.000 spettatori. D’altra parte, i parigini non hanno una grande squadra per cui tifare: il Racing Club ha vinto solo un campionato nel lontano 1936, ed è arrivato inaspettatamente secondo lo scorso anno dietro al Reims. Dunque le premesse per una ricca affluenza ci sono anche per domani sera.

Azor

Il Milan riparte da Istanbul: semifinale in frigorifero


Foto di gruppo del Galatasaray al Mithatpaşa.
Vengono esibiti tutti i trofei nazionali detenuti all'inizio della stagione 1962-63
24 gennaio 1963, Istanbul

Sapevamo che a Istanbul non tutti gli inverni sono miti. Capitano settimane in cui soffiano venti rigidi dall'est,  la temperatura scende di molto sotto lo zero, nevica abbondantemente. Ecco, il Milan non ha indovinato l’inverno giusto per scendere da queste parti. Per lo meno, ha imbroccato la partita. Anzi, ne ha azzeccate due in una sola giornata. Le notizie in arrivo dall'Italia hanno infatti sollevato lo spirito della truppa, abbastanza giù di tono dopo la sconfitta di Venezia. La pantomima di David – in ciò, va detto, ben istruito da Gipo Viani – ha commosso il giudice sportivo, che ha concesso ai rossoneri la vittoria a tavolino. Ridotta a cinque punti, dunque, la distanza dal vertice della classifica.

Sul campo poi, nel match pomeridiano, il Milan ha vinto com'era dovere e com'era logico, ma non ha destato particolare impressione. Rasserenati ma ancora appesantiti dalla notte in bianco – l’albergo è stato assediato da un gruppo di chiassosi sostenitori del Gala, armati di trombe, bengala, fischietti e altra oggettistica ‘musicale’: un concerto atteso ma non certo gradevole -  i rossoneri sono riusciti a cavarsela con poche, azzeccate mosse, uscendo da una situazione difficile. Lo stadio, infatti, già piuttosto ‘caldo’, è diventato bollente dopo che il Galatasaray era passato in vantaggio. All'alba della partita, passato attraverso la bufera di vento e di neve, Uğur Köken è sbucato davanti a Ghezzi e l’ha trafitto senza pietà. Il boato assordante del Mithatpaşa ha certamente spaventato Mondino Fabbri e sovrastato per un istante i canti dei muezzin su entrambe le sponde del Bosforo. Il Galatasaray ha continuato a premere forsennatamente: una spinta inesasusta ma velleitaria, vanificata da mediocrità tecnica e confusione di schemi; il reparto difensivo dei campioni d’Italia si è così compattato, senza lasciare più varchi. E anzi, come ci si poteva aspettare, gli spazi nella metà campo dei turchi si sono progressivamente dilatati, offrendo al Milan l’opportunità di estinguere l’incendio già entro la fine del primo tempo. Mora (su penalty trovato da Altafini) e Barison, e poi ancora Altafini alla mezzora della ripresa hanno fissato lo score e surgelato l’ambiente.

José Altafini
23 gennaio 1963, Mithatpaşa Stadium, Istanbul
Galatasaray SK - AC Milan 1:3                 
Galatasaray: Turgay, Candemir, Ahmed; Suat, Ergun, Kadri; Tarik, Mustafà, Metin, Talat, Uğur. Allenatori: Gündüz Kılıç e Coskun Özarı
Milan: Ghezzi, Pelagalli, Trebbi; Trapattoni, Maldini, Radice; Mora, Pivatelli, Altafini, Rivera, Barison. Allenatore: Rocco e Gipo Viani (Direttore tecnico)
Arbitro: Friedrich Seipelt (Austria)
Marcatori: Ugur (4°), Mora (34°, su calcio di rigore), Barison (38°), Altafini (76°)
Spettatori: 20.952





Ex post

Del match non sono reperibili immagini; è possibile non godesse di alcuna copertura televisiva. Anche i commenti sui quotidiani (per quanto è disponibile in rete) sono piuttosto scarni. Il vero fatto di giornata era la decisione riguardante l'episodio di Venezia, e l'assegnazione del 2:0 al Milan (v. l'ampio risalto dato alla vicenda su La Stampa  e su L'Unità del 24 gennaio 1963). Appena possibile, offriremo i resoconti  della partita telefonati ai quotidiani sportivi.

Colorita, viceversa, la rievocazione della partita di Mario Pennacchia, Il calcio in Italia, Torino, UTET, 1999, vol. I, p. 378:
"Per il terzo turno della Coppa dei campioni, il 23 gennaio 1963, il Galatasaray non si propone al Milan come un avversario insuperabile, e il viaggio in Turchia viene affrontato dai rossoneri con sereno ottimismo. Ma le contrarietà che non si temono da parte degli avversari è la furia del tempo a scatenarle ... Il Milan resiste, quanto meno ci prova. Ma quando sta per sentirsi sopraffatto, corre dall'arbitro austriaco Seipelt a protestare, a supplicarlo, una, due, tre volte. Quello, campione di stoicismo, non deflette. Dio permettendo, si guadagna l'intervallo. Tutti i giocatori rattrappiti invocano la sospensione della partita. Maldini, dilaniato dal gelo, vaneggia al punto che Viani gli rovescia in gola mezza bottiglia di cognac. Il fischio dell'arbitro che richiama in campo suona come l'appello nel giorno del giudizio universale. Il più disperato è Ghezzi, costretto a rimanere impalato davanti alla porta ... straziato dal freddo, il portiere si accosta alla faccia posteriore di un palo, si aggrappa alla rete e mentre i suoi compagni cercano nell'agonismo perpetuo un minimo di ristoro al gelo assassino, lui si sforza, si concentra e e finalmente riesce a procurarsi l'unica fonte di calore che gli sia umanamente, anzi, animalescamente concessa per non impazzire: si orina addosso".

Nel maggio del 2003, ForzaMilan dedica ampio spazio alla celebrazione dei 40 anni trascorsi dalla vittoria di Wembley. Maldini, Rivera e Altafini aprono l'album dei ricordi. Solo Maldini ritorna con la memoria a Istanbul, quando ai tre viene domandato quale fosse stata (Benfica escluso) la squadra più difficile da incontrare lungo il torneo: "Direi il Galatasaray, non tanto per la forza della squadra, che battemmo agevelmente a San Siro come in Turchia, quanto per l’ambiente. A Istanbul c’era un tempo incredibile, con ghiaccio e neve, e la notte prima dell’incontro i tifosi non ci fecero dormire per il gran baccano".

Mans

A Istanbul sarà una battaglia

22 gennaio 1963, Istanbul

La comitiva milanista è arrivata a Istanbul; domani sera è in programma la gara di andata dei quarti di Coppa dei Campioni contro il Galatasaray. Testa a testa inedito, e match non propriamente di cartello, anche se la torcìda locale è in attesa spasmodica. Il Milan non attraversa un momento brillante; la sconfitta patita domenica a Venezia (1:2) ne è testimone - sebbene l'esito possa essere ribaltato 'a tavolino' [vedi]. Il gioco appare lento, involuto; la difesa, nell'ultimo mese, tiene bene, ma davanti si fatica a concretizzare. I pareggi senza reti a Ferrara e a San Siro contro il Catania sono messi in conto all'abulìa di Altafini, all'immaturità di Fortunato, alla scarsa vena di Pivatelli. Quella di Venezia - salvo decisioni che si considerano peraltro scontate - sarebbe la quarta sconfitta in campionato: decisamente troppe per una squadra che desidera riconfermarsi. E così, mentre il duello in cima tra Juventus e Inter si arroventa, il Milan concentra energie e pensieri sull'avventura continentale.
Rocco dovrebbe reinserire Altafini e Barison, rimpiazzando Del Vecchio e Fortunato; è rimasto a casa invece Mario David, la cui capoccia evidentemente ancora ronza per l'impatto della bottiglietta di plastica caduta domenica dagli spalti del Penzo; si tratta però di una mossa mirata a ben disporre il giudice sportivo, che dovrà sorbirsi in lettura il referto di Lo Bello e qualche relazione medica abbastanza compiacente. Fuori anche Dino Sani, per i soliti problemi alla caviglia e alla schiena; il rigido inverno lombardo non lo aiuta a recuperare condizione e continuità.

I campioni di Turchia vantano in rosa gran parte dei pedatori che lo scorso dicembre hanno malamente sbracato a Bologna contro gli azzurri, nell'andata del turno di qualificazione per la Coppa d'Europa. Tra i migliori di giornata furono Maldini e, come si ricorderà, Rivera, autore addirittura di una doppietta [tabellino]. Nella circostanza, aveva particolarmente deluso il loro strombazzatissimo bomber, Metin Oktay (nella foto): alcuni rimembreranno la sua triste esperienza nel Palermo (dodici apparizioni, soli tre gol), nella stagione passata. I rossoneri dovranno tuttavia tenerlo d'occhio: tornato a Istanbul ha ripreso a furoreggiare elevandosi ben al di sopra della mediocrità generale che connota il football del Bosforo, e in Coppa ha già fatto piangere i portieri della Dinamo Bucarest e del Polonia Bytom. Oktay, soprannominato "re senza corona", è il beniamino della sterminata tifoseria del Gala. A soli 26 anni, ha già una dimensione leggendaria, e una media gol strepitosa (più di uno a partita), solo leggeremente incrinata dall'infelice avventura italiana. Costituisce il miglior elemento della squadra, insieme ai centrocampisti Mustafa e Kadri, entrambi stabilmente inseriti nel giro della nazionale della mezzaluna. Insomma, non sarà una passeggiata. Non a caso, Edmondo Fabbri accompagna la brigata rossonera: convinto che i turchi siano meno modesti di quel che è parso a Bologna, assaggerà l'impatto ambientale del Mithatpaşa, dove gli azzurri si recheranno il prossimo 27 marzo per archiviare (come si deve e si spera) la pratica.

Cesare Maldini appare leggermente preoccupato. Evochiamo la sua ilare reazione al sorteggio ("sono proprio contento di incontrare il Galatasaray, perché in Turchia non ci sono mai stato"), e lui risponde alzando le spalle ma senza allegria nello sguardo. Naturalmente, il Milan dovrà temere soprattutto il proprio scadimento di condizione, potenzialmente acuito dalle previste inclemenze atmosferiche, destinate  a limitare il gap tecnico esistente fra le due formazioni. Sul suo campo, il Gala ha liquidato con estrema facilità gli XI rumeni e polacchi (che non erano necessariamente sfavoriti alla vigilia del doppio confronto), mentre il Milan, nell'unica trasferta di spessore sin qui affrontata in questa competizione, ha sofferto alla lunga il ritmo dell'Ipswich di Alf Ramsey a Portman Road, cavandosela con discreta fortuna (e l'ausilio ripetuto dei legni) nonostante l'enorme vantaggio accumulato a San Siro. Ecco: dovessero ripetere - per atteggiamento tattico o per inerzia atletica - quella partita (catenaccio a oltranza, baricentro bassissimo) i rossoneri si complicheranno la vita. Confidiamo tuttavia nella saggezza di Viani e di Rocco, e nella classe di Altafini e Rivera. Pronostico: due a uno per i campioni d'Italia, e semifinale in cassaforte.

Mans

La Coupe des clubs champions européens 1962-1963

18 gennaio 1963

Siamo all'inizio del 1963 – esattamente cinquant'anni fa – e sta per cominciare la fase ad eliminazione della ottava edizione della Coupe des clubs champions européens. Come è noto, la competizione è stata avviata solo otto anni fa, nel 1955, per iniziativa del più blasonato giornale sportivo europeo, “L’Équipe”, che volle reagire alla maldestra presunzione della stampa inglese di voler incoronare i Wolverhampton Wanderers “campioni del mondo” solo perché nell'autunno del 1954 avevano battuto – in due amichevoli nel mitico Molineux – sia lo Spartak Mosca [HL] sia la Honved [programma | HL].

Gabriel Hanot, visionario della Coppa dei campioni
Ma c’è da capirli entrambi (albionici e galletti). I primi erano ancora sotto shock per averle buscate di brutto dall’Aranycsapat: 3:6 a Wembley nel novembre 1953 [FM] e 1:7 a Budapest nel maggio 1954 [HL]. Solo qualche giornalista illuminato, come il giovane Brian Glanville, si rese conto subito che sul football inglese, afflitto da “stupidity, short-sightedness, and wanton insularity”, si era manifestata la Nemesi e che i vecchi maestri erano stati ormai surclassati dagli allievi [vedi]; anche Willy Meisl – fratello del grande allenatore del Wunderteam, Hugo Meisl, e autorevole editorialista di “World Sports” – evidenziò come fosse ormai in corso una “soccer revolution” planetaria, con l’emersione di nuove forze e di nuove culture calcistiche [vedi]. Tant'è: alcuni nesci come David Wynne-Morgan, scribacchino del tabloid “Daily Mail”, avevano manifestato la propria frustrazione reagendo con iperboli entusiastiche al paio di vittorie casalinghe dei Wolves. Uno sproposito cui ha subito reagito lo sciovinismo gallico. D’altra parte c’è da capire anche i franzosi: si sono inventati tutte le grandi competizioni – le Olimpiadi con De Coubertin, la coppa Rimet, la coppa Henri Delaunay, il Ballon d’Or … – ma non hanno ancora vinto nulla: grandi organizzatori senza un movimento calcistico adeguato (e chissà quanto tempo dovranno ancora aspettare per alzare una coppa …). Frustratissimi, nonostante “Justo” Fontaine abbia fatto sfracelli fino all'anno scorso nello Stade de Reims, e Raymond Kopa si sia fatto valere nel grande Real Madrid.

Diamo dunque merito all'ennesima iniziativa dei cugini transalpini, e in particolare a Gabriel Hanot de “L’Équipe” che si è inventato la Coppa dei campioni [leggi il suo articolo manifesto del 15 dicembre 1954], presto fatta propria dalla UEFA per evitare una secessione dei maggiori club europei (guidati da quella potenza di Santiago Bernabeu …). In questo modo, negli anni appena trascorsi, ha preso corpo la più bella manifestazione della pedata europea (ergo mondiale). Finora dominata – come Nemesi vuole – dal calcio latino. Tutti abbiamo nella memoria la cinquina del Real (1956-1960) guidato da Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskás, Raymond Kopa, José Santamaría e Miguel Muñoz: chi l’ha vista, ricorda ancora la finale di nemmeno tre anni fa all’Hampden Park, trasmessa in Eurovisione dalla BBC: un terrificante 7:3 (con 3 gol di Di Stefano e 4 di Puskas) all'Eintracht Francoforte davanti a oltre 135.000 persone [FM]. Ad interrompere il filotto c’è voluta una vecchia volpe come Bela Guttmann che ha guidato il Benfica a due coppe consecutive: la prima contro il Barcellona, e quella dell’anno scorso all’Olympisch Stadion di Amsterdam contro il sempiterno Real. La ricorderete in molti, immagino [FM]: terminato il primo tempo in svantaggio 2:3, il Bela se ne è uscito negli spogliatoi con la frase “Abbiamo vinto: loro sono morti”: 5:3 finale ... infatti, grazie anche ad una doppietta del ventenne Eusebio. Poi sappiamo tutti come è andata a finire: il giramondo ungherese (che è stato anche a Padova, Trieste, Vicenza oltre che al Milan) ha chiesto un premio extra alla dirigenza, che glielo ha negato; lui ha preso cappello e se ne è andato lanciando una premonizione (o un'anatema?): “Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d'Europa ed il Benfica senza di me non vincerà mai una Coppa dei Campioni”. Staremo a vedere.

2 maggio 1962, Olympisch Stadion, Amsterdam
I detentori della Coppa: Eusébio da Silva Ferreira, Béla Guttmann
e Mário Esteves Coluna
Intanto, il Benfica si è qualificato ai quarti di finale anche in questa edizione, sotto la guida del più guardingo Ferdinando Riera, e fila dritto anche in campionato. Rimane una squadra tosta – la favorita – con quel gran leader carismatico che è Mário Coluna, e con la “Pantera Negra” Eusebio: quest’anno si è aggiunto anche il lungagnone José Torres per raccogliere di cabeza i cross di António Simões [leggi]. Il Real, invece, si è fatto buttar fuori dall’Anderlecht al primo turno. A sperare sono dunque i franzosi dello Stade de Reims, che hanno già conquistato e perso due finali (nel 1956 e nel 1959), e che hanno eliminato l’Austria Vienna, ma che mi paiono in fase calante. Soprattutto, è il Milan guidato da Nereo Rocco (e Gipo Viani) e da Cesare Maldini ad avere buone chances: polverizzato l’Union Luxembourg, ha liquidato gli inglesi dell’Ipswich Town agli ottavi, e tra qualche giorno si avvia ad affrontare i turchi del Galatasaray. Qualche spicciolo possono forse giocarselo anche gli olandesi del Feyenoord, che però mi paiono ancora un po’ acerbi. Le altre sono solo di complemento, a cominciare dall'allegra brigata alcolica del Dundee che segna molto e altrettanto subisce, e dal Dukla Praga, che emana il fascino ma anche l’inconcludenza del football mitteleuropeo.

L’ultima partita si terrà il 22 maggio all’Empire Stadium di Wembley, che ospita per la prima volta una finale di una competizione non britannica: e questo accresce il fascino della Coppa di cui andiamo a gustarci la fase conclusiva. Questo il programma dei quarti: il prossimo 23 gennaio si comincerà al BJK İnönü Stadyumu di Istambul (si noti: l’arena in cui gioca abitualmente il Beşiktaş) con Galatasaray-Milan. A seguire il 6 febbraio al Parc des Princes di Parigi con Stade de Reims vs Feijenoord; e il 6 marzo al Roi Baudouin di Bruxelles con Anderlecht vs Dundee e all’Estádio da Luz di Lisbona con Benfica vs Dukla Praga. Le partite di ritorno si terranno invece tutte il 13 marzo. Il pronostico sembrerebbe a favore di Milan, Stade de Reims e Benfica: fifty-fifty infine tra belgi e scozzesi. Staremo a vedere: non sbaglia pronostici solo chi non li fa …

Azor

Totalvoetbal vs Catenaccio

El Paròn e le sue coppe
Giusta l'osservazione di Mans che il Milan schierato nel gennaio 1974 da Maldini (el Paròn stava lasciando il Milan per divergenze con la dirigenza) contro l'Ajax avesse ormai poco da spartire con quello che era arrivato ai vertici del calcio mondiale con Nereo Rocco qualche anno prima.

Ma il doppio confronto tra Ajax e Milan tra 1969 e 1974 coglie perfettamente una della grandi congiunture della storia del calcio: il confronto tra due paradigmi culturali, tra due diverse (ed entrambe grandissime ed egemoniche) idee di gioco. Nel 1969 il Milan toccò l'apice della sua parabola, proprio nel momento in cui l'Ajax stava cominciando a fare salire la propria.


Il Generale solleva la coppa nella notte di Wembley
2 giugno 1971
Notiamo un dato: nel giro di 18 mesi, tra il 31 maggio 1972 e il 16 gennaio 1974, l'Ajax sconfisse le tre maggiori squadre italiane in finali di coppe internazionali: dapprima l'Inter, poi la Juve e infine il Milan. Fu la fine della grande egemonia del gioco all'italiana e l'apoteosi del calcio totale. La differenza radicale consisteva nella marcatura a uomo: noi avevamo rinunciato a farla a centrocampo per aprire gli spazi alle spalle delle linee avversarie, loro l'avevano riproposta a centrocampo attraverso il pressing, marcando a zona in difesa.

Nota bene: sulla panca dei Lancieri sedeva ormai l'"ufficiale gentiluomo" rumeno Stefan Kovacs, colui che trasformò l'eclettismo di Rinus Michels nel 4-4-2; e Hendrik Johannes Cruijff, detto Johan Cruyff [jo:'han krœyf], fece in tempo a matare le difese di Oriali e Giubertoni e di Salvadore e Longobucco per poi raggiungere il "generale" Michels a Barcellona. Nei loro memorabili tre tornei di Coppa dei Campioni i Lancieri vinsero 19 partite su 26, più un'Intercontinentale e una Supercoppa europea prodromica a quella targata UEFA.

Azor

Ajax vs Milan (2)

Coppa dei Campioni della stagione 1968-1969. Dai quarti in poi, il Milan del Paròn incrociava - sono i funambolismi di Eupalla quando agita l'urna - la squadra campione di due anni prima (il Celtic che mise fine alla storia di Helenio), la squadra campione in carica (il mitico UTD di Bobby Charlton, che mise fine alla storia di Eusebio), e in finale la squadra del futuro imminente, la banda di eretici che avrebbe incendiato l'erba degli stadi d'Europa gettando nel rogo filosofie e schemi, portando il calcio nella modernità. Non si vedevano, le partite, in tv. Il quarto d'andata col Celtic fu oscurato nella Lombardia gravitante su Milano (era il modo consueto per convincere la gente ad andare allo stadio, anche se spesso si trattava di un bluff: ma quella sera nevicava, e non so dire se San siro davvero si riempì); fu comunque uno 0-0, pare, abbastanza noioso. Nella partita di ritorno l'assedio scozzese (compagine di vigore atletico dirompente, il Celtic) fu incessante; bastò una fulminante ripartenza sull'asse Rivera-Prati a risolvere l'epica sfida. In semifinale di andata (ancora a San Siro) i Red Devils giocarono sporco: fuori l'abatino dopo dieci minuti per un tackle assassino a metacampo, entra il grigio Romano Fogli, ed era l'unica sostituzione consentita. Nel ritorno Cudicini si erse a protezione dell'arce; la metamorfosi a truce gigante fra i pali gli valse la leggenda, ispirata dalla divisa di gioco, nera dal colletto ai calzettoni. La finale fu senza storia; quell'Ajax assomigliava a un branco di puledri accuditi da qualche vecchio ronzino. Pierino ne infilò tre, ispirato dal più grande giocatore mai nato sul suolo italico; anzi, come intitola la sua migliore biografia, "nato a Betlemme".

Cruijff si prese la rivincita nella supercoppa del 1974, che il Milan si guadagnò rubacchiando una coppetta col Leeds (gollettino di Chiarugi al 3', poi 87' giocati nell'area del portiere). Quel 6-0 fu senza storia, come sufficientemente illustra il confronto tra le due formazioni  a 5 anni di distanza, e nonostante Cruijff avesse già preso il volo per Barcellona.

Maggio 1969:
MILAN: Cudicini, Anquiletti, Schnellinger, Rosato, Malatrasi, Trapattoni, Hamrin, Lodetti, Sormani, Rivera, Prati. Allenatore: Rocco
AJAX: Bals, Suurbier (1' st Muller), Van Duivenbode, Groot (1' st Nuninga), Hulshoff, Vasovic, Swart, Pronk, Danielsson, Cruyff, Keizer. Allenatore: Michels

Gennaio 1974:
AJAX: Stuy, Suurbier, Krol, Blankenburg, Hulshoff, Haan, Rep, Neeskens, Mulder, Muhren, Keizer - All.: Knobel
MILAN: Vecchi, Anquilletti, Maldera III, Dolci, Turone, Schnellinger, Sabadini, Benetti II, Rivera, Biasiolo I (71' Tresoldi), Chiarugi - All.: Maldini

Mans

Ajax vs Milan

Scorato davanti al ronziname attuale (fatta salva la fulgida eccezione epocale del Barça, ovviamente) è da qualche tempo che mi sto dedicando alla (re)visione del calcio memorabile degli anni sessanta e settanta. Propongo allora ai devoti di Eupalla di godersi una bella sfida tra due grandi squadre dell'epoca: il Milan di Nereo Rocco e Gianni Rivera, che vinse le sue prime due Coppe dei Campioni tra il 1963 e il 1969, e l'Ajax che dominò la scena nei primi anni settanta grazie alla rottura epistemologica del totaalvoetbal immaginata da Rinus Michels e messa in pratica da una genia di campioni, capitanati dal giocatore - a mio avviso - più completo di sempre, Johan Cruijff. Due culture calcistiche a confronto.

Nel maggio del 1969 i Diavoli, che l'anno prima avevano vinto anche la loro prima Coppa delle Coppe, stracciarono i giovani Lancieri che pagarono probabilmente l'esordio assoluto in una finale internazionale. Nell'ottobre successivo il Milan andò a vincere anche la sua prima Coppa Intercontinentale contro l'Estudiantes, e nel maggio del 1973 la seconda Coppa delle Coppe contro il Leeds. L'Ajax, invece, cominciò a vincere in maniera inarrestabile dal 1971: Coppa dei Campioni contro il Panathinaikos, bissata l'anno successivo contro l'Inter e suggellata dalla triplete contro la Juve nel 1973; nel mezzo, nel settembre 1972, la Coppa Intercontinentale contro l'Independiente.
La prima edizione della Supercoppa europea, che si giocò nel gennaio 1974, vide fronteggiarsi il calcio italiano in una fase di involuzione e il calcio totale olandese al suo apice, come poi avrebbe confermato il Weltmeisterschaft 1974, probabilmente la più bella edizione di sempre del trofeo. Buona visione.

Azor


Coppa dei campioni | Finale
Milan - Ajax 4:1
28 maggio 1969, Estadio Santiago Bernabéu, Madrid
Tabellino | Highlights | Partita intera | Il racconto
Sinossi UEFA: "Il Milan di Nereo Rocco, fatti fuori IFK Malmö FK e Celtic FC, batte di misura i Red Devils e approda alla finale di Madrid, avversaria l'AFC Ajax. Gli olandesi hanno superato l'SL Benfica nello spareggio dei quarti di finale grazie a una doppietta del giovane Johan Cruyff. Battuti in casa all'andata per 3-1, hanno risposto imponendosi con lo stesso risultato a Lisbona, battendo poi nettamente i portoghesi nella terza sfida. In semifinale hanno poi eliminato l'FC Spartak Trnava, una delle poche squadre dell'Est ad aver partecipato nonostante il boicottaggio. In finale l'Ajax paga forse un tributo all'inesperienza. Il Milan vince con un netto 4-1, frutto della tripletta di Pierino Prati, la prima in una finale da quella di Ferenc Puskás nel 1962, e a un gol di Angelo Sormani. Per i rossoneri è la seconda Coppa dei Campioni e il secondo trofeo europeo consecutivo dopo la Coppa delle Coppe vinta l'anno precedente".


28 maggio 1969, Estadio Santiago Bernabéu, Madrid
Gert Bals anticipa in uscita Angelo Sormani, che svetta sul giovane Barry Hulshoff

Supercoppa UEFA | Finale di ritorno
Ajax - Milan 6:0
16 gennaio 1974, Olympisch Stadion, Amsterdam
TabellinoHighlights
Sinossi UEFA: "La sfida vide nuovamente l’Ajax, ancora una volta campione d’Europa, contro l’AC Milan, vincitore della Coppa delle Coppe. Il doppio confronto viene disputato nel gennaio del 1974. Match equilibratissimo a San Siro il 9 gennaio. Il Milan si impone 1-0 grazie alla rete di Luciano Chiarugi al 77’ davanti a 15.000 spettatori. Un vantaggio troppo esiguo, ribaltato già alla fine del primo tempo ad Amsterdam il 16 gennaio davanti a 25.000 spettatori. William Vecchi viene battuto prima da Jan Mulder al 26’ poi da Pieter Keizer al 35’. L’Ajax dilaga nella ripresa con Johann Neeskens al 71’, Johnny Rep all’81’, Gerardus Mühren su rigore all'83' e Arend Haan, per il definitivo 6-0, all’87’. Alla fine i Lancieri si imporranno dunque con un 6-1 complessivo".