Le cronache di Monsù
1 marzo 1962
A freddo, Monsù commenta la sconfitta patita dalla Juventus, la sera prima a Parigi, nello spareggio dei quarti di finale contro il Real Madrid. La maggiore esperienza (e il gioco duro) dei Blancos costituiscono per Pozzo la causa principale dell'eliminazione. Ma i bianconeri si sono battuti bene, riscattando l'immagine negativa e corrente del calcio italiano. Interessanti, in queste riflessioni, l'apertura 'contro' le partite in notturna e il sempiterno tornare della memoria alle mitiche partite della nazionale italiana, nei sempre più lontani anni '30.
Parigi, 1 marzo.
Gli incontri in notturna - è un'affermazione che abbiamo già fatta e ribadita in altre occasioni - sono una calamità per certo tipo di giornalismo. L'uomo che ama riflettere, che vuole pensare a quello che scrive, che cerca, per lo meno, di dire cose sensate, non ha piacere di dovere buttare giù in fretta e furia, nello spazio di una decina di minuti, al telefono, davanti alla nevrastenia di coloro che devono ad ogni costo andare in macchina, tutta una materia che esige calma e considerazione. Le partite in notturna nel corso della settimana permettono di fare degli incassi che altrimenti andrebbero perduti. Sono i tempi che sono cambiati. Al giorno d'oggi sono i soldi che comandano. Problemi da risolvere per coloro che devono osservare e riferire.
Nella circostanza di mercoledì sera, una cosa ha fatto grande piacere a coloro che il passato non hanno dimenticato. La Juventus, col suo maschio e risoluto comportamento sul campo, ha riacquistato al calcio italiano le simpatie che esso aveva perduto, nella capitale francese, in questi ultimi tempi. Si è vista finalmente una squadra italiana lottare, combattere, attaccare e difendersi coi denti: portarsi insomma in modo degno del nostro nome.
Avrà perduto l'incontro della giornata, questa squadra. Ma ha tenuto alto l'onore della bandiera. Era cosa che da tempo non avveniva. Ed essa ha riempito di soddisfazione e di gioia le migliaia di italiani che erano accorsi al Parc des Princes. Non si tratta di nazionalismo, né di patriottismo. Si tratta puramente del piacere che si prova al vedere difendere con carattere e con orgoglio i colori che si rappresentano. Pur perdendo, ieri sera il calcio italiano ha segnato un punto a suo favore.
E' opportuno ripetere qui che, a gettare la sua spada sulla bilancia, è stato ancora una volta quel coefficiente ben prevedibile e che noi tanto conosciamo, dell'esperienza e del senso del mestiere. L'undici madrileno, soverchiato in slancio, battuto in velocità, ha avuto il grande merito di non perdere la testa nei momento in cui poteva, e forse anche doveva, crollare.
E' ricorso alla durezza del gioco, ed anche alla violenza, quando si è visto in pericolo questo undici. La cosa non deve meravigliare. Fa parte del repertorio di troppi giocatori suoi. Sanno picchiare sodo, e da furbi - da vecchie volpi - questi uomini. A noi che siamo altrettanto esperti quanto loro in materia, per averne viste più di loro di tutti i colori, non ci si possono venire a raccontare storie al proposito. Nel 1934, nel corso del primo Campionato del Mondo da noi vinto, la prima del le due partite - disputate in due giorni consecutivi - a Firenze, fu un combattimento all'ultimo sangue. Loro si lamentavano, ma uno dei nostri ragazzi, il Pizziolo della Fiorentina, andò all'ospedale con una gamba rotta, ed ogni singolo nostro uomo sanguinava letteralmente.
Allora, però, noi avevamo in squadra dei giocatori che conoscevano anche l'arte del difendersi, e che sapevano rendere pane per focaccia, tipo Allemandi, tipo Monzeglio, tipo Monti. Nella vita, la prima regola è quella di essere corretti: la seconda è quella di saper essere corsaro e mezzo verso coloro che nei nostri riguardi sogliono fare il corsaro. E' l'unico modo per ottenere rispetto nella «giungla» degli interessi e delle passioni. Nella partita di ieri sera, Charles fu colpito da un calcio ad una costola mentre era a terra. Cosa brutta e cattiva.
Non è più il Real Madrid di una volta, quello di questa Coppa dei Campioni. Il cervello è forse ancora il medesimo, le gambe non sono più quelle di un tempo. Gento, l'ala nistra, ebbe uno spunto solo di grande velocità ed intraprendenza, nel secondo tempo. Di Stefano fu semplicemente - come da tempo - il regista, non più il combattente. Ed i due mediani laterali, Felo e Pachin, passata la folata iniziale, quella della prima rete, furono presi da una specie di «timor reverenziale» e più non si permisero voli pindarici nelle linee avanzate della loro squadra. La via che percorrerà il Real Club de Madrid nell'ulteriore corso di questa Coppa dei Campioni, è da seguire col più vivo degli interessi. E' questa, una delle svolte storiche nella epopea del grande sodalizio spagnolo.
La Juventus ha chiuso la sua avventura internazionale Essa ha bene meritato della causa del calcio italiano. Merita il plauso degli sportivi nostri.