Perché hanno vinto

Le cronache di Monsù
17 maggio 1948

Italia e Inghilterra erano al loro quarto rendez-vous, il primo del dopoguerra. I risultati degli azzurri, ormai quasi interamente reclutati dalle fila del Toro, erano di buon auspicio. Ci si attendeva un match, quanto meno, equilibrato. Come da tradizione. Ma il passaggio - di cui Pozzo non è mai stato convinto sino in fondo - al 'sistema', mise di fronte chi quel gioco praticava da anni a chi lo stava imparando. E fu una batosta storica. A Torino, gli inglesi passarono con un roboante quattro a zero. Disincantate, e meno 'grintose' del solito, le osservazioni di Monsù Poss.
Brera individuerà in questa partita il segno inequivocabile del "mortificante tramonto" di Pozzo e dei suoi; la fine di un'epoca grande e di nuove illusioni. "L'incontrissimo con l'Inghilterra conferma che Pozzo non capisce più il calcio e che lo stesso Torino non ha ancora idea di come ci si difenda ... Matthews bulleggia sgradevolmente accomodandosi i capelli mentre aspetta Eliani al tackle: e quando si decide Eliani a entrare, lui lancia profondo a Mortensen, già scattato a dettare il passaggio ... Pozzo ha vinto due mondiali e un'olimpiade sfruttando il contropiede ma non se ne ricorda. Il contropiede è sempre degli inglesi ... La classe media degli azzurri accozzati da don Vittorio è forse superiore a quella inglese: è invece disastrosamente nulla la conduzione tattica" (Storia critica del calcio italiano)


Proprio come si diceva. Nella discussione tecnica ci si è trovati di fronte a chi la sa più lunga di noi. E chi la sa più lunga, ha finito per avere ragione in misura forse anche superiore a quanto si meritano. 

Ché, su questo incontro si possono dire tante e tante cose. Si potrebbe dissertare a lungo, per esempio, sulla disdetta che ha perseguitato i nostri giuocatori. Questa disdetta c'è stata, reale e positiva, e va dalla preparazione che è stata impedita da un'offensiva del maltempo di una durata ed intensità raramente viste, fino alle decisioni arbitrali che in tutti i casi controversi e decisivi ci sono siate avverse, fino alle circostanze banali che hanno contribuito a salvare dalla capitolazione la rete inglese in più di una occasione. Tutto avverso, d'accordo. Non ne è andata bene una. Ma un fatto sovrasta tutto ed ha maggiore significato ed importanza di ogni altro. Gli Azzurri hanno perduto, perché la squadra avversaria ha giuocato, perché, più ben detto, «sa» giuocare meglio di essa.


L'Undici nostro è stato al di sotto del suo valore, ed al di sotto della situazione. Ecco: i fatti ed i fenomeni del giuoco del calcio si ripetono sovente, come per rinfrescare la memoria, a chi la memoria stessa ha labile. Perchè sono fatti e fenomeni umani. Una squadra - è uno degli insegnamenti - giuoca come l'avversario le permette di giuocare, in bene ed in male. Nel caso presente, è difficile stabilire se, ed in quale misura, gli inglesi abbiano giuocato bene perchè gli italiani hanno giuocato male, o se, ed in quale proporzione, il comportamento degli italiani sia dipeso dal superiore contegno degli inglesi. Per noi, è stato prevalentemente, anzi precisamente, il contegno degli avversari a determinare la situazione in cui si sono venuti a trovare gli Azzurri. L'edizione di squadra che gli inglesi ci hanno mandato questa volta, è un successo di per sé. Un undici di valore eccezionale. Lo compongono uomini di grande levatura, in attacco come in difesa. Uomini che hanno fatto del «sistema» un'arte. In questa formazione e nella forma di ieri, questa squadra nazionale è più forte e più redditizia — e ciò notevolmente — di ogni undici di società professionistica inglese. Tutte le finezze del giuoco sono passate ieri, ad opera di Lawton e compagni, sotto gli occhi degli spettatori: dallo stile di corsa liscio ed elastico, alla prontezza dello smarcamento, all'intesa che avviene come cosa naturale ed automatica, alla franca padronanza della palla, alla capacità di bloccare con rapidità la via di accesso alla propria rete. Se si volesse parlare degli uomini migliori di questa compagine, ci si troverebbe in imbarazzo: bisognerebbe menzionarli tutti, da Matthews, che pure non è stato il miglior Matthews che noi conosciamo, a Mortensen che punta diritto come una freccia sulla porta avversaria, ai due mediani laterali, Wright e Cookburn, che pur essendo anelli di una catena difensiva sanno inserirsi a guizzi nel lavoro degli attaccanti. Da circa tre anni questa squadra giuoca e gira il mondo quasi senza varianti di composizione. Ieri essa ha fornito la prova più brillante che un'unità inglese abbia prodotto sul continente europeo da lunghi anni a questa parte. Una prova che non verrà dimenticata tanto presto da coloro che vi hanno assistito, una prova che in fatto di livello tecnico del giuoco dovrebbe dare molto da riflettere a parecchi.

Il comportamento del nostro «undici» ha disilluso. Effettivamente, rispetto alla prova fatta a Parigi poco più di un mese fa, essa sta come uno sta a tre, se non proprio a quattro. Irriconoscibile. Diverso era l'avversario: lo si è già detto. Un uomo solo, degli undici, è stato all'altezza e della sua fama e della situazione: Parola. Tutto il rimanente della compagine ha scricchiolato. Anche coloro che avevano cominciato bene, hanno finito per cedere nel secondo tempo. Hanno cominciato i due mediani laterali a non tenere il controllo sulle mobilissime mezze ali avversarie, e poco per volta tutto il resto ha fatto seguito. Le circostanze attenuanti esistono. Per. noi, per esempio, due dei punti segnati degli Azzurri avevano carattere di validità. Ma bisogna riconoscere che, se anche la sorte invece di esserci avversa ci fosse stata amica, se anche tutto quello che ci è andato male fosse andato bene, anche in buona, in ottima giornata, il giuoco dei rappresentanti dei nostri colori non avrebbe raggiunto il livello tecnico toccato dagli inglesi. Perché non ne è capace. Perché non ne possiede i mezzi. 

Si era creata tutta una euforia speciale su questo incontro, dopo di Parigi. Il successo riportato sui francesi aveva fatto credere ai più che non vi fosse nulla di vero nel fatto che il nostro edificio tecnico non è ancora in ordine: aveva anzi convinto molti che tutti i nostri problemi di ricostruzione fossero risolti. E la massa degli appassionati italiani aveva finito per commettere l'errore che poco più di un mese prima aveva rimproverato alla massa degli appassionati francesi. Questa partita non poteva avere che un risultato: non poteva terminare che in un trionfo dei padroni di casa. Ha lasciato quindi l'impressione di una amara sorpresa, in questi entusiasti, la constatazione chiara, palese, aperta, marcata che c'è qualcuno che giuoca meglio, parecchio meglio di noi. La via da percorrere nel lavoro di ricostruzione italiano, è lunga e. non facile. I successi che si possono ottenere nel corso di esso non devono essere né sopravalutati, né fraintesi; vanno presi come dei fatti confortanti, senza più, senza perdere la chiarezza nella visione delle cose. Precisamente come occorre non scoraggiarsi dopo certo distacco che s'è visto ieri. Dobbiamo migliorare il livello tecnico del nostro giuoco, e la cosa, per essere fattibile, ha bisogno di ambiente ragionevole.

I capitani alla guida delle rispettive truppe:
Valentino Mazzola e Frank Swift
La partita: Cineteca