In morte di Enrico Ameri, mister radiocronaca

Il 7 aprile 2004 se ne andava Enrico Ameri. Se Ciotti era Coppi, Ameri era Bartali. "Se Ciotti era la voce, Ameri era il ritmo" (Gigi Garanzini).

Addio Ameri, mister radiocronaca. La voce che faceva vedere il calcio

di Antonio Dipollina


E' stata la voce più celebre del calcio italiano, Enrico Ameri, morto l'altro ieri ad Albano Laziale. Tra una settimana avrebbe compiuto 78 anni. La voce più celebre di un'epoca in cui il calcio era soprattutto radio, racconto a voce. Resterà per sempre in uno degli slogan più popolari, "scusa Ameri", di cui era protagonista ma che venne pronunciato migliaia di volte alla radio da schiere di telecronisti colleghi, in primo luogo Sandro Ciotti, che lo ha preceduto nel viaggio, scomparso lo scorso luglio.

Era nato a Lucca, era entrato in Rai nel 1949 e la sua prima radiocronaca, un Udinese-Milan, è del 1955. L' ultima fu un Genoa-Juventus del '91, prima di andare in pensione. Ne hanno calcolate circa milleseicento, comprese quelle storiche e immortali per almeno tre generazioni di italiani, dalla finale dei Mondiali vittoriosi nell'82, alla tragedia dell' Heysel. Ma aveva raccontato anche lo sbarco sulla Luna da Cap Canaveral, era stato inviato di guerra in Indocina, nello sport aveva seguito anche il ciclismo, le Olimpiadi e tutti gli eventi più importanti in quarant'anni di storia. Resterà il simbolo più riconoscibile di un calcio mediaticamente all'opposto di quello attuale: le partite della domenica erano protette all'inverosimile, "Tutto il calcio minuto per minuto" iniziava addirittura dal secondo tempo, e lui era la voce che annunciava a milioni di tifosi incollati alle radioline (espressione che nasce proprio da lì) il risultato del primo tempo della partita più importante della giornata. Ma non erano pochi quelli che, nelle gare serali di coppa sempre più trasmesse dalla tv, azzeravano l'audio del televisore e accendevano la radio per seguire la partita con il "ritmo Ameri", instancabile, incalzante, il motto "rete!" secco come un fucilata e mai urlato. Con le dovute eccezioni, come il bagno di follia collettiva del Mundial 82 quando si urlava eccome, il file Mp3 dell' estasi ai gol di Rossi-Tardelli-Altobelli è merce da collezione su internet.


Con Sandro Ciotti, celebrato come la voce più letteraria del calcio, il dualismo è sempre stato intenso. Troppo diversi, per quanto accaniti avversari in interminabili partite a carte nelle trasferte di lavoro. Per Ameri la giornata era soleggiata, per Ciotti la ventilazione inapprezzabile, per Ameri il rettangolo di gioco e quanto vi accadeva esaurivano eccome l'evento da raccontare. Aveva, in effetti, tecnica superiore nella parola e un modo assolutamente istituzionale del racconto della partita, un modo che dettava legge e relegava gli svolazzi di Ciotti (molto più competente, peraltro) a seconda voce, per sempre. Lo sbarco in forze delle truppe televisive su tutto il mondo pallonaro ha archiviato definitivamente l'epoca.


Si racconta che Ameri avesse terrore di arrivare in ritardo alle partite e fosse solito presentarsi allo stadio tre ore prima dell'inizio. Nei vari stadi aveva compagni fidati che lo aiutavano a ingannare l'attesa con le carte. A fine gara si mescolava tra la folla in uscita dallo stadio e se ne andava, abitudine che tenne finché non diventò anche un volto televisivo. A lui si deve l'idea del Processo al calcio, che suggerì ad Aldo Biscardi: in effetti ne condusse le prime due edizioni, nell'81 e nell'82. Ameri fu anche in video nelle prime "contemporanee" con le partite domenicali, prima ancora di Quelli che il calcio, nel programma Italiani di Andrea Barbato. Era il 92, stava per arrivare lo strapotere delle tv sul pallone e Ameri, colpito anche da un ictus, sparì dalle scene. 

Milioni di italiani non hanno bisogno certo di parole per portare Ameri nella memoria, ognuno ha un ricordo particolare, da chi sosteneva che "fa vedere la partita alla radio" a quelli più critici per un modo del racconto che andava invecchiando rapidamente. Lo hanno ricordato tutti, ieri, dal suo successore diretto Riccardo Cucchi a molti altri. I radiofonici del calcio (quelli che secondo un commento molto cinico di un dirigente, tempo fa, "vengono ascoltati ormai solo dagli automobilisti") rimpiangono non solo lui ma un intero mondo perduto per sempre. E ne elogiano convinti soprattutto il tono e il ritmo. Come ha detto Cucchi: «Ci raccomandava sempre di stare attenti al ritmo delle parole, che però non significava parlare a raffica o urlare». Ecco, il rimpianto è tutto lì, e non solo nel calcio, e non solo alla radio.

La Repubblica, 8 aprile 2004