19 aprile 1957
Le primissime edizioni della maggiore competizione europea per club non andarono malissimo per le italiane: semifinalista il Milan nel 1956, addirittura finalista la Fiorentina l'anno dopo. Entrambe trovarono sulla loro strada il grande Real, e la Casa Bianca monopolizzò le prime caselle dell'albo d'oro. La Fiorentina acquisì il diritto a giocare l'ultima partita dopo un duro doppio scontro con la Stella Rossa. Nemmeno un gol subito, uno solo segnato, a Belgrado, sullo spirare del match d'andata. Il ritorno a Firenze, disputato di pomeriggio, vide la Viola impegnata soprattutto nella difesa del vantaggio acquisito. Il resoconto di Vittorio Pozzo è dunque ben lontano dall'esibire patriottico entusiasmo. Anzi. Con toni quasi sarcastici, Monsù denunciava quel che tutti sapevano: la qualità dei nostri giocatori e del nostro gioco era piuttosto modesta ...
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Firenze, 18 aprile
La Fiorentina si è classificata per la finale della «Coppa dei campioni», quella finale che dovrà svolgersi a Madrid il 29 del prossimo mese di maggio con avversario a scegliere fra il Real Club di Madrid e il Manchester United. E vi è da augurare alla compagine toscana che in quell'occasione essa giochi meglio di quanto non abbia fatto oggi.
Qui la Fiorentina ha vinto la semifinale del torneo senza vincere la partita della giornata. Come comportamento in campo, essa non ha soddisfatto che a metà per quanto riguarda il settore arretrato, la seconda e terza linea cioè. Magnini, Cervato, Chiappella, Orzan e Segato, con l'aggiunta dell'attaccante arretrato Gratton, hanno fatto blocco e hanno salvato il risultato. La prima linea invece è partita d'impeto, ha mancato subito un paio di eccellenti occasioni di segnare e poi ha ceduto: si è smembrata, dissolta e sconvolta.
Virgili non ha imbroccato un solo tiro - e altro egli non sa fare di buono-, Montuori è scomparso completamente nel secondo tempo, Prini è stato confusionario e poco preciso, e Gratton non assumendo che eccezionalmente posizione avanzata, a rappresentare un pericolo per la difesa avversaria è rimasto il solo Julinho, l'ala destra che vagava un po' dappertutto alla ricerca della buona posizione e della favorevole occasione. Era un po' poco, un uomo solo su cinque, e né la buona occasione né la favorevole situazione si sono presentate mai.
E così il famoso portiere continentale Beara non è stato disturbato mai: né per raccogliere un pallone in fondo alla sua rete, né per impedire che il fatto avvenisse. Ha avuto da lavorare, questo sì, sia nel primo che nel secondo tempo, ma esclusivamente per parate di ordinaria amministrazione, per sbrigare situazioni di poca difficoltà.
La Stella Rossa di Belgrado ha lasciato un'ottima impressione di sé, bisogna dire. Presentatasi incompleta, ché oltre all'attaccante che era stato ferito nell'incontro di andata, mancava ora anche il terzino Stankovic, essa ha condotto il suo incontro in crescendo. Ha cominciato lasciandosi dominare in modo anche netto, se vogliamo, poi si è ripresa poco per volta e ha terminato il primo tempo svolgendo qualche bella azione. La ripresa è stata invece tutta sua. Nella seconda parte dell'incontro la fisionomia tecnica della compagine è apparsa trasformata.
Comandando la palla, gli jugoslavi comandavano il gioco. Con calma e precisione essi facevano della sfera quello che volevano: facevano cose che gli uomini nostri più non sanno fare. Salvo un breve periodo verso la mezz'ora, essi hanno dominato con continuità nella seconda parte dell'incontro. Buon per la Fiorentina che le occasioni da rete che hanno fat- to maturare, essi le hanno mancate tutte in modo bambinesco.
Tre sono state queste occasioni che hanno lasciato un loro attaccante solo davanti al portiere fiorentino - prima la mezz'ala sinistra, poi l'ala sinistra, infine il centravanti - e nessuno dei tre ha saputo trarne profitto, sparando ogni volta a lato. Senza di questi madornali errori, il risultato della gara sarebbe stato diverso da quello che fu.
Il pubblico delle grandi occasioni affollava il campo, più di 60 mila persone, con critici del gioco convenuti da ogni parte d'Italia. Molto pubblico attorno al rettangolo e parecchio nervosismo sul campo, dove i falli e i colpi duri non sono stati risparmiati né da una parte né dall'altra. Gli spettatori reclamarono anche la punizione massima in un paio di occasioni, per la squadra di casa naturalmente. Ma l'arbitro, la cui lingua nessuno capiva sul campo, fece in ogni caso orecchie da mercante. Molto ben affiatato coi suoi due guardialinee, egli ha diretto l'incontro con discreta oculatezza ed è riuscito a portarlo a termine senza gravi inconvenienti.
Ma quella che abbiamo vista non è stata la Fiorentina che ci attendevamo. Di «squadrablocco » - di quella compagine salda e ben registrata in ogni suo reparto, della quale il calcio italiano ha tanto bisogno in questo momento in cui stiamo misurandoci con lo straniero - non si è vista che una metà: la metà difensiva. E' già qualche cosa, ma non è tutto. Anche in questa occasione è avvenuto quello che speravamo non avvenisse: l'undici venuto da oltre confine ci ha insegnato come si fa ad attaccare, ci ha fornito un esempio di come il giocatore possa controllare la palla, di come egli debba avanzare tenendo l'azione a terra e trovando il proprio compagno libero da marcatura.
Da parte italiana le cose belle sotto questo aspetto le ha fatte un attaccante solo: Julinho: combinazione non era italiano nemmeno lui.