Un dirigente 'principe'
di Paolo Bertoldi
Pezzo su pezzo aveva messo insieme un capolavoro, il Torino di Mazzola destinato a rimanere squadra-simbolo del calcio italiano. Dopo iI giorno di Superga, però, non fu più lui. Continuò ad avere incarichi di presidente, in Federazione, nella Nazionale, nel Club granata: ma appariva un sopravvissuto e forse lo sapeva. A qualche amico discreto confidò che la sorte era stata troppo amara, impedendogli di condividere il destino dei calciatori che aveva radunato come in una famiglia ed amato come figli. Lottava tuttavia per lo sport, anche se sentiva affievolirsi la caratteristica grinta mascherata della cortesia piemontese; lo chiamavano il diplomatico sorridente. Negli ultimi anni della sua piena attività avrebbe dovuto impegnarsi per restare all'altezza dei tempi: inconsciamente vi rinunciò. Il vero Novo è stato l'ultimo dei «principi» delle società calcistiche, un elemento rinascimentale che dà tutto al Club, ma vi domina per la personalità marcata. Nell'epoca dell'efficienza tecnica sulle sue spalle l'abito da dirigente-manager sarebbe apparso stonato, peggio del giubbotto con bleu-jeans al posto del doppio petto scuro, e Novo era uomo da eleganza classica, in grigio.
Nato nel 1897, era arrivato al calcio incominciando nel Collegio San Giuseppe. Aveva poi giocato in maglia granata da terzino, ma il Novo famoso era stato un altro, un giocatore dell'epoca dei pionieri, da lui appena conosciuto.
Il suo destino era di comandare. Industriale abile nella vita, diventava un costruttore avveduto come pochi nel football. Copernico, che collaborò con lui nel Torino ed in Nazionale, racconta commosso come Ferruccio Novo arrivò a creare la squadra leggendaria. La svolta decisiva avvenne dopo un colloquio notturno in cui Borel, già allora profondo conoscitore della tecnica, convinse il presidente della necessità di adottare il WM, in un'epoca in cui molti impazzivano per il metodo. Borel e Gabetto erano considerati elementi finiti nella Juventus; passarono all'altra sponda per poche lire in un trasferimento che suscitò sensazione. Novo stava pilotando la squadra con eccezionale abilità tra i marosi della guerra.
Nella stagione '42-'43 venne acquistata la coppia di mezze ali destinata a lasciare un'impronta inconfondibile: Loik e Mazzola. Novo pagò senza esitare un milione, più Petron, battendo sul tempo la concorrenza di Schiavio che trattava per il Bologna.
Grezar era costato 600.000 lire, Maroso proveniva dal vivaio, come pure Rigamonti, studente in medicina a Torino, presto attratto dal fascino del campo di via Filadelfia.
Bacigalupo era costato relativamente un'inezia, meno di 200 mila lire. Castigliano poco più di mezzo milione. Per avere Menti dalla Fiorentina, il Torino aveva dovuto assicurarsi Gei e dirottarlo alla squadra viola; Ossola era stato segnalato da Janni, allora allenatore del Varese.
Novo, diventato presidente nel 1939, riuscì così a formare uno squadrone invincibile nel periodo più difficile dello sport italiano. Era tanto stimato che a lui affidarono la Nazionale quando si trattò di sostituire Vittorio Pozzo. Ne sorse un'inimicizia profonda da parte del vecchio CU.
Novo ne fu amareggiato, ma comprese lo stato d'animo del vecchio capo vincitore di due titoli mondiali e di un'Olimpiade. Cercò sempre un riavvicinamento, che il ferreo Pozzo ostinatamente rifiutò. Al di là dell'episodio azzurro i due probabilmente continuavano a stimarsi. Erano uniti dal filo indissolubile della passione per il calcio.
Con gli azzurri, Novo, che ebbe come collaboratori Copernico ed Aebl, esordì bene nella partita vinta a Genova sul Portogallo ma finì con la disillusione dei mondiali in Brasile dove l'Italia fu eliminata. Nel frattempo, però era accaduta la tragedia di Superga. Gli assi del Grande Torino erano scomparsi: occorreva attendere perché le nuove generazioni riportassero il nostro football ai livelli di un tempo.
Anche nella ricostruzione del Torino, dopo il 1949, Ferruccio Novo partì di slancio, assicurandosi Moro, il più estroso e certo più forte portiere italiano.
Non tutti gli altri granata risultarono all'altezza del difensore. Il Torino ebbe alti e bassi di rendimento ed il suo presidente ne seguì la sorte. Nel 1955 passò l'incarico al senatore Guglielmone.
Ferruccio Novo rimase presidente onorario, una personalità dapprima molto importante ed ascoltata, poi via via sempre più evanescente. Seguiva le partite 'nascondendosi' nei popolari.
Tra pochi giorni la sua figura popolare e patetica sarebbe apparsa ancora una volta il 4 maggio a Superga. Novo, invece, non assisterà alla cerimonia per il venticinquesimo anniversario della data che più ha avuto influenza sulla sua vita. Ora è anche lui con quelli del Grande Torino.
La Stampa, 9 aprile 1974