Soltanto l'orgoglio non è venuto meno

di Giovanni Arpino

Rotterdam, 31 maggio.
L'Inter, squassata dagli assalti dei «tulipani», ha ceduto a Rotterdam dopo una battaglia disperatissima. La squadra nerazzurra ha denunciato tutti i limiti attuali, malgrado la prova d'orgoglio dei suoi uomini migliori: Facchetti, Bellugi, Oriali, Burgnich e Boninsegna si sono battuti allo spasimo, ma le costruzioni interiste, che avrebbero dovuto poggiare sul senso geometrico di Frustalupi e sulle inventive di Mazzola, hanno dimostrato di balbettare di fronte alla furia atletica e alle vampate degli olandesi. 
Due volte Boninsegna ha sfiorato un paletto della porta avversaria e una volta Mazzola si è lasciato anticipare dal portiere. Ma è tutto per le possibilità dell'Inter di oggi, priva di scheletro e dì una «memoria» di gioco offensivo. 
Gli olandesi hanno imposto non solo il ritmo, ma il grado di una tecnica superiore e freschissima. Terzini che coprono le zone avventandosi sulle fasce laterali, uno stopper e un libero di una truculenza agonistica quasi assassina, e poi quei due: cioè Cruyff e Keizer. campioni di un timbro davvero europeo. Keizer è un'ala che svolge compiti massacranti ma con un pizzico di autentica genialità sia a centrocampo sia in proiezione offensiva. Cruyff (anche se Oriali lo ha controllato con strenui sacrifici) è uomo di accelerazioni impressionanti, stacchi e passaggi impeccabili. 
L'Inter non poteva spremere altri succhi da se stessa, se non la tenacia dei difensori vecchi e nuovi. Ma la povertà del suo gioco, la nullaggine patetica di Jair, la mediocrità di Frustalupi e di Bertini non erano certo scudi per questi assi del «football tulipano». 
Costretta ad aprirsi dopo il primo gol, la squadra nerazzurra è apparsa sbilenca e legata a uno striminzito calcetto anche in Mazzola, talora frenetico e subito dopo intimidito e saltato via dal gioco profondo degli avversari. Certo, i milanesi possono avanzare una grossa attenuante, il forfait di Giubertoni stroncato dal «libero» olandese (di fronte al quale certi falli del Benetti «in ritardo» sul pallone sono autentiche carezze). 
L'uscita dello stopper ha scompaginato il pacchetto difensivo dell'Inter, aprendo incrinature pericolose. Ma dal limite della propria area in avanti, i nerazzurri non hanno costruito quasi nulla, aggrediti com'erano appena tentavano un contropiede. L'Inter ha compiuto un miracolo arrivando a questa finale, e lo dimostrano con sincerità gli stessi suoi dirigenti. A Rotterdam, se il calcio obbedisse alla pura logica, avremmo dovuto vedere contro i Keizer e i Cruyff atleti quali Netzer e Beckenbauer, esponenti d'un calcio europeo dal quale oggi bisogna saper trarre una giusta lezione. 

Il destino dell'antica Inter si è consumato a Rotterdam, spegnendosi a poco a poco, come l'ultimo centimetro di una candela. Bordon, sul finire della partita, ha detto no ad almeno tre palloni-gol che avrebbero schiacciato la squadra milanese con una punizione fin troppo dolorosa. L'Ajax si trova al vertice della sua stagione. Gli olandesi temono di non poter dare ricambi a questa generazione di notevoli calciatori. Ma per ora se la godono un mondo, e meritatamente. 
Il gioco dei «tulipani» è lucido e brillante come i campi ed il verde della loro campagna, ma è anche costruito con un gran fil di ferro interiore. Quello stesso fil di ferro che una volta teneva in piedi l'Inter di Suarez. L'Inter che non poteva non arrugginire. Il suo ciclo è chiuso, contemporaneamente a quello del Club Italia. Bisogna ricominciare subito. E alla Juventus, futura protagonista di Coppa, servono sì gli auguri ma anche una ferma disposizione a creare gioco. La vittoria dell'Ajax è un esempio lampante di come fare, di come mettere una squadra in condizioni di perfetto decollo.
Rotterdam, impazzita di gioia, stasera brinda con torrenti impetuosi di birra. Ai nerazzurri, che proprio non potevano fare di più, resta la consolazione d'aver ceduto ai più forti. C'era un visone di premio per il miglior interista; senza voler fare dell'ironia, speriamo che non sia una pelliccia, ma un visoncino vivo: da allevare per il futuro.

"La Stampa", 1 giugno 1972, p. 14
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