Il giorno dell'inaugurazione di Italia 90, Gianni Brera intreccia da par suo i pronostici tecnici con la storia e la cultura, non solo pallonara, dei popoli presenti in mutande ai Mondiali del Bel Paese. Soprattutto esprime un timore, azzeccandoci: "Il solo pericolo può derivare dall'eccessiva sapienza tattica di quasi tutti i protagonisti, la quale potrebbe ingenerare un continuo susseguirsi di gesti ampiamente previsti e quindi stucchevoli la loro parte"
Uno dei simboli di Italia 90 La bellissima cattedrale nel deserto del San Nicola di Bari |
Ha inizio oggi a Milano, con l’incontro Argentina-Camerun, la parte finale del XIV campionato mondiale di calcio. L’ambizione di organizzare questa parte finale è costata e costerà molti sacrifici al nostro Paese, che peraltro ha già ospitato la II edizione del torneo nel lontano 1934. Se la Federazione Internazionale delle Federazioni Calcistiche si è trovata d’accordo di assegnare all'Italia l’edizione numero XIV, segno è che tutti l’hanno considerata degna e all'altezza di tanto impegno. Né stupisce che qualcuno abbia approfittato, fra noi, per intorbidire le acque già fin troppo agitate sulle quali da tempo galleggiamo. Che gente saremmo, via, se non dimostrassimo quando serve (e anche quando non serve proprio) di pensarla a nostro modo? Questo Paese è libero e la lira svolazza in gaia umiltà: nessuno se ne offende al paragone e tutti si beano di poterla contare annotando poi cifre con molti zeri. Un paio di millenni or sono vigeva l’abitudine a Roma di chiamare in tribunale (diem dicere) chiunque avesse mal esercitato una carica politica o semplicemente amministrativa: nessuno potrà impedire a noi di dire il giorno a chiunque sia sospettato di avere vertiginosamente fatto lievitare i costi dei dodici magnifici stadi aperti ai mondiali. Straparlare di creste o addirittura di malversazioni è piuttosto agevole, al punto che molti ne hanno contratto il vizio orrendo: sanno tutti però che la stupidità dei ladri è proverbiale, perché un giorno o l’altro il furto aggalla, e quasi sempre paga chi merita. Convinzioni contrarie vengono nutrite alla stregua di pii desideri: ma gli onesti hanno fiducia che in ogni caso giustizia sia fatta. E questa fiducia è anche la nostra. Non per altro sfioriamo l’argomento solo all'ultimo giorno di vigilia, con l’intenzione di chiuderlo in pace, soprattutto con la nostra coscienza.
Tornando allo sport, ammirate le opere che ospiteranno gli eventi del torneo, altro non ci resta da fare se non augurarci che anche il pubblico sia degno dell’avvenimento che ne intriga direttamente la cultura e la maturità civile. L’andamento tecnico-agonistico della manifestazione promette di per sé autentiche meraviglie. Il solo pericolo può derivare dall'eccessiva sapienza tattica di quasi tutti i protagonisti, la quale potrebbe ingenerare un continuo susseguirsi di gesti ampiamente previsti e quindi stucchevoli la loro parte. E’ il destino dei giochi troppo ispirati alla tecnica, diremmo perfino alla scienza, come è fatale che accada là dove ormai si contano i miliardi a migliaia. Fosse un fenomeno trascurabile, il calcio non verrebbe studiato con tanto impegno: e basti questa considerazione a consolare chi veramente lo ama come sport, dunque come indice primario della maturità civile e del benessere delle Nazioni. Vediamo ora, secondo consuetudine, di procedere a un pronostico di massima, esaminando a uno a uno i sei gruppi in cui sono divise le 24 protagoniste.
Girone A: Vicini deve avere paura
Ne fanno parte l’Italia, l’Austria, la Cecoslovacchia e gli USA. So per antica esperienza che quando gli italiani si abbandonano a un ottimismo eccessivo, quasi sempre toppano amaramente. Ho dunque fondate paure che si sia esagerato nel prevedere piacevolezze e mi ha molto rallegrato sentire il C.T. Vicini chiedere a tutti maggiore prudenza nelle previsioni. Quando abbiamo dichiarata paura, siamo anche modesti e ne traiamo vantaggi superlativi. Non aspettiamoci dunque facili passeggiate: speriamo invece di venire smentiti nel nostro pessimismo. L’ho detto anche dopo la partita con il Cannes: fare gioco non è mai stato il nostro forte. Ai Mondiali, molto verosimilmente, saranno gli altri ad offrirsi: così almeno ci conviene sperare. Il solo reparto sul quale si può giurare è la difesa. Il centrocampo va soccorso, come sempre; le punte sono attese a risultati per ora imprevedibili (da qui l’abbondanza dei convocati di punta). Da parte mia, auspicabili staffette in centrocampo e in attacco, fino a che non si ottenga il meglio. L’Austria e la Cecoslovacchia si equivalgono: hanno molto orgoglio e picchiano anche lontano da casa. Penso che riescano anche esse a passare il turno e poi, fatalmente, si debbano fermare per insufficienza di ritmo.
Girone B: troppi delusi con Lobanovski
Sanno tutti degli stenti accusati dall’Argentina, incapace di rinnovarsi come sarebbe ambizione dei suoi capi. La tendenza è quella di vederne il possibile rendimento nella condizione di Maradona, divino gaglioffo della pedata mondiale. Maradona rientra fra i geni e si sottrae a qualsiasi considerazione di indole morfologica. Il modulo di Bilardo ripete quello imposto da Enzo Bearzot nei Mondiali ‘82: non si ispirasse al più acre difensivismo, non avrebbe possibilità alcuna di successo. Vediamo intanto come se la cavano i campioni in carica con i misteriosi camerunesi, forse più belli (in senso morfologico) che buoni (in senso tecnico). L’Urss ha perduto Mikhailicenko, come a dire il suo elemento di maggior classe. Due russi famosi hanno deluso in Italia, altri in Francia e Spagna. Difficile dar molto credito a Lobanovski, risicato assertore del calcio come scienza esatta. L’istinto non molto altro, per ora induce a privilegiare i rumeni, sia per la pietà umana destata dal loro popolo, sia per le molte necessità pratiche dalle quali sono afflitti. Picchiano pure, corrono, forcano, impiccano: e il loro Hagi è un asso autentico.
Girone C: è un Brasile stile prudenza
Brasiliani e svedesi si dicono certi di passare il turno. Gli svedesi, insolitamente sbruffoni, manifestano addirittura il proposito di metter subito sotto i brasileiros. Questo atteggiamento può anche insospettire in gente di norma cauta e perfino musona. Può darsi abbiano avuto notizie particolari sui loro antagonisti più temibili (ormai si sa tutto di tutti): quello che è certo si è che gli scandinavi si sdilinquiranno se il tempo si metterà secondo solstizio. Se invece farà fresco, come finora, chissà che non siano davvero capaci di sorprese grosse e squillanti. I brasiliani vanno pronosticati per l’insolito rispetto che il loro C.T. Lazaroni nutre per la difesa: questo rispetto esprime prudenza e non la sbruffonaggine di sempre. I tre titoli del Brasile sono stati colti con tanto di doppio terzino centrale d’area: quello che in Italia, paese di estremisti infantili, si è chiamato con spregio catenaccio. Lazaroni è un ex lombardo pragmatico: le sue scelte privilegiano i lavoratori, non gli artisti.
Girone D: tedeschi bravi senza fuoriclasse
La longanimità di don Giovanni Agnelli, occupante armato di lire, ha concesso ai milanesi la soddisfazione di applaudire i tre tognini dell’Inter benamata nella formidabile armata di Beckenbauer. Kaiser Franz sproposita che questa sua edizione è anche più forte di quella che vinse il mondiale nel ‘74. Cuntela gista, bravom! Fa un certo effetto sentir parlare di fuoriclasse da parte di questa ex primadonna. Dove li vede mai? I tedeschi sono di classe media elevata, non irresistibile. I tre che conosciamo in Lombardia corrono malvolentieri (Brehme), corrono troppo (Matthaeus) pensando poco, si agitano molto ma spesso a vuoto (Klinsmann). Di ottima classe mi pare Voeller. I limiti di Berthold sono noti. I centrocampisti sono di livello notevole, non grandioso. Ma i tedeschi meritano sempre rispetto per la serietà del loro impegno e la fondatezza del loro orgoglio. Vanno visti tra i favoriti, con Brasile e, forse, Argentina. Dell’Italia preferisco non parlare per scaramanzia. Gli jugoslavi, nostri vicini orientali, sono travagliati da dissapori etnici. Fratelli, coltelli. Pare assodato che con gli olandesi a Zagabria abbiano sprecato molte palle gol prima di arrendersi, per rabbia, agli sfottò dei croati e alle impennate di Gullit e C. A parte la bullaggine di Osim, sono d’accordo nell’ammettere possibile un gran torneo di questi ragazzi più belli e bravi che fortunati.
Don Luisito Suarez sulla caliente panchina spagnola |
Girone E: l’equilibrista Suarez fa forte la Spagna
Tre squadre (compresa la migliore terza) destinate a passare il turno: l’Uruguay, il Belgio, la Spagna. Dagli uruguagi, lo sapessimo o no, abbiamo imparato quasi tutto dopo gli anni Venti (dominati invece dai danubiani e dai mister britannici). Quello che so io è che mi hanno insegnato più di tutti, a partire dai quattro bolognesi agli interisti Mascheroni e Scarone, al grandissimo indimenticabile Pepe Schiaffino (per tacere di Faccio, degno erede di Monti, e dell’elegante Abbadie). L’Uruguay non ha la popolazione di Roma e manda per il mondo 200 pedatori di ventura. Il suo tecnico promette novità che ci riesce difficile individuare, per il momento. Ha anche garantito che gli uruguagi hanno smesso di picchiare: questa excusatio non petita allarma e insieme diverte: le ultime botte le ho viste prendere da Ciccio Graziani al Mundialito. Per rispetto e gratitudine comprendo l’Uruguay fra gli outsiders di questo mondiale. Il Belgio è rappresentato da tosti fiamminghi, capaci di strozzare chiunque per una lira: per solito ottengono risultati superiori a quelli che dovrebbe consentire un piccolo grande Paese come il loro. Li vedo lottare ad armi pari, o anche leggermente superiori, con la Spagna di Suarez, al quale vogliamo bene come quando rilanciava i disimpegni di Picchi. La Spagna accusa la decadenza del grande Real: come l’Italia, lamenta anche una smodata importazione di talenti stranieri, dai quali vengono chiusi i migliori virgulti indigeni. Come e più dell’Italia, la Spagna s’affida a tecnici stranieri che non sanno niente dei latini e dei loro abituali anzi costituzionali limiti psicofisici. Suarez ha la fortuna d’essere celtibero della Coruna: fosse di Madrid non lo soffrirebbero i catalani di Barcellona e viceversa (con un velo pietoso sui fratelli baschi).
Girone F: tutto dipende da Gullit
Per fondato timore dei loro teppisti, hanno mandato sulle isole i superstiti di due grandi potenze marinare, l’Inghilterra e l’Olanda. Gli uruguagi hanno insegnato che Uruguay es el padre e Inglaterra la madre del futbol. Giusto l’orgoglio uruguagio, ma un tantino esagerato. In effetti, il pallone è arrivato sul Rio de la Plata con i macellai inglesi dei frigorificos. La storia è dalla loro parte e gli inglesi lo sanno bene, anche se questo ha molto influito sul loro destino. Il calcio da loro giocato è sempre mazzolato con grossolana pervicacia: rarissimamente vedi un dribbling, un’intuizione fuori cliché, una qualsiasi trovata. Ho seguito l’Italia a Wembley e ho visto un solo inglese giocare a quel biondo: l’ala destra del Marsiglia. Tutti gli altri, castroni di coccia dura e zoccolo distorto. Schemi sempre eguali, mazzolati con molta prosopopea. Non gli do un’unghia di credito e forse sbaglio. Tant’è. Gli olandesi, quelli sono ben altra gente. I loro splendidi mulatti hanno vero genio. Se ritrovano Gullit possono competere per il titolo mondiale, che sarebbe il primo della loro storia sciupona. La sola riserva mi viene imposta da Koeman II, il biondone che gioca libero e ricorda, capelli a parte, il lento a girarsi Di Bartolomei. Van Basten è un asso di rara eleganza: se ha voglia (leggi coraggio), nessuno al mondo lo vale. E poi c’è Gullit, fantasia e potenza, generosità e follia; e poi Rijkaard, uomo serio e buono. Insomma, se non si sdilinquiscono al caldo, inglesi e olandesi passano con l’Eire generosa.
Ma poi andrà avanti la sola Olanda, e troverà la Germania, l’Italia, il Brasile, l’Uruguay, l’Argentina, la Romania, la Jugoslavia, la Svezia. Credo anche di sapere quali saranno le quattro semifinaliste ma non lo dico per non far torto a nessuno, nemmeno a me stesso, per una dannata volta. L’augurio, comunque, vale per tutti: godetevi i Mondiali e che Eupalla vi premi con buoni spettacoli di calcio.
"La Repubblica", 8 giugno 1990