Con tanta nostalgia di uno sport nobile

di Gianni Brera

Povero calcio, di noi povera gente: sport per eccellenza plebeo, proibito per secoli in quanto a praticarlo erano gli umili, troppo spesso confusi con i villani! Le plebi hanno preso quota nell'ordine politico-sociale delle nazioni e anche i loro gusti hanno finito per imporsi. Giocò a calcio in Italia anche un principe del sangue: e i suoi compagni erano quasi tutti nobili o grandi borghesi. Poi si accorsero che pedatare squalificava, nel Paese-guida dello sport moderno e passarono al golf, al tennis, rimanendo pur sempre alla scherma e all'equitazione. I pedatori furono allora di schiatta piccolo-borghese, e belli come poteva essere chi da qualche generazione pappava bistecca. Infine raggiunsero il plus-calore anche i poveri del quarto e quinto stato: e decadde la qualità ma crebbe il numero. 

Noi italiani siamo a questo punto. Gli inglesi, loro hanno incominciato a cedere un tantino nei confronti della pedata volgare. Decaduta la boria imperiale, bisognava consolarsi dov'era possibile. Il calcio ha preso quota allora anche presso i non indigenti (come da poco in Svezia e Danimarca), ma il relativo benessere del singolo cittadino ha consentito a troppi di spostarsi nelle vesti di pseudo-turisti. Erano spesso i fanatici a imbrancarsi: e tanto più feroci quanto peggiori erano le condizioni economiche del loro quartiere o della loro città. 

Ora la più decaduta tra le città inglesi è proprio Liverpool. E le sue due squadre eccellono come per una rivalsa che in altri campi non è possibile. I belgi hanno conosciuto l'Everton l'anno scorso e pareva non avessero altro da apprendere sui seguaci del Liverpool. Purtroppo hanno fatto penosissima cista. Il loro Heysel, un tempo onorevolissimo, è ormai insopportabilmente obsoleto. Ha le due curve in terra battuta con gradini sorretti da pietre malferme: in queste curve gli spettatori sono costretti a stare in piedi. Ammassare oggi folte moltitudini sugli spalti di curve senza posti a sedere significa esporsi a rischiose calamità pubbliche. Per loro disgrazia, i belgi hanno ottenuto dalla Uefa l'incarico di organizzare la Coppa Campioni. Sapevano di aver a che fare con orde di inglesi avvinazzati e feroci. Non hanno riflettuto però che gli spiantati liverpooliani non potevano competere con i ricchi juventini di tutta Italia, e che metà della curva destinata agli ospiti albionici sarebbe stata accaparrata - magari a borsa nera - dagli italiani. Così non hanno ritenuto i belgi di dividere più efficacemente i rappresentanti di due popoli l'uno all'altro inviso per troppo differenti destini passati e presenti. 

Alla tradizionale spocchia degli inglesi, il visibile benessere degli italiani doveva suonare come un'offesa patente, uno sberleffo tragico della sorte: dunque, ai più scalmanati non è parso vero di farla subito fuori. I pochi sparuti poliziotti belgi sono stati travolti. Gli italiani, prima sorpresi, poi atterriti, si sono ristretti fino a soffocarsi. 

I vecchi spalti interrati dello Heysel sono divenuti orrendo cimitero. Mortificati e stravolti, i belgi hanno taciuto lì per lì la tragedia, hanno chiamato allo Heysel tutta la polizia a disposizione nel regno: non è bastato. La partita, che pareva giocata per tacitare i manigoldi, si è risolta a favore della Juventus, il cui tripudio ha un po' stupìto dopo tanti decessi. Gli inglesi di Liverpool sono tornati alle loro tane, alla loro quotidiana mortificazione di paria. Gli italiani, fino a ieri sottovalutati e derisi, hanno meritato la sincera comprensione di tutti. Giorno verrà - non è affatto lontano - che il calcio perderà i suoi satanici sapori di transfert dalla degradazione e dalla miseria. Allora tornerà ad essere per molti quello che è sempre stato: il gioco forse più bello di tutti. Parola di un povero fra i tantissimi poveri di questo mondo.

La Repubblica, 31 maggio 1985