Polemiche arbitrali

L'ultima coppa del mondo

26 luglio 1966

A Liverpool per vedere la semifinale tra sovietici e tedeschi, Pozzo scrive di ciò che ha annusato o che semplicemente sa: il torneo è indirizzato. Gli arbitraggi dei quarti hanno destato polemiche. Ma il peggio deve ancora venire ...

Liverpool, 25 luglio. 
Che in questo campionato del mondo avvengano delle cose che lasciano alquanto interdetta la persona che avendo vissuto a lungo nell'ambiente tiene gli occhi aperti anche sui fatti che paiono meno interessanti, non costituisce una novità. Noi lo abbiamo accennato in qualcuno dei nostri servizi precedenti. Qui bisogna guardarsi bene dal fare troppo rumore con notizie sensazionali, per non venire definiti come «scandalmongers», cioè «mercanti di scandali». Ma pure in tono cauto e pacato, certe impressioni, certe verità bisogna pur dirle, se si deve servire con onestà la causa del grande pubblico. 
Abbiamo scritto ieri che l'espulsione del giocatore argentino Rattin nella partita di Wembley con l'Inghilterra era parsa a tanta gente come un gesto di una severità eccessiva. Il Rattin si era avvicinato all'arbitro per richiamare la sua attenzione su alcuni fatti nella sua veste di capitano, e per questo aveva accennato alla fascia di comando che portava al braccio. Il Rattin domandava la presenza di un interprete per spiegare le sue ragioni. Come risposta egli fu espulso dal campo. L'arbitro austriaco [sic: in realtà tedesco] venne salvato poi dalla polizia alla fine dell'incontro. Ma l'impressione che negli avvenimenti di Wembley ci fosse qualche cosa di artificioso e di non facilmente spiegabile rimase in parecchie delle persone presenti. 
Poi vennero presi gravi provvedimenti contro tre giocatori argentini, cioè Rattin, Onega e Ferreira, ed una multa di 83 lire sterline (oltre un milione e 400 mila lire) alla Federazione argentina insieme alla minaccia di esclusione dai campionati del mondo del 1970 se certe assicurazioni non verranno date. Ora quello che è successo in seguito riconferma proprio queste impressioni. A non parlare del fatto, che torna strano, che a dirigere la partita dell'Inghilterra sia stato mandato proprio l'arbitro austriaco che aveva fatto espellere già prima un altro giocatore argentino, mentre a dirigere la partita della Germania era stato mandato un inglese. 
L'arbitro italiano Lo Bello ha arbitrato stasera la prima delle due semifinali, quella di Liverpool fra la Germania e la Russia. Ed il fatto è stato interpretato da molti come un contentino dato al siciliano, per mettere a tacere ogni sua aspirazione a dirigere la finale del torneo. Perché il Lo Bello si è portato bene finora, e tale onore se lo sarebbe meritato pienamente. Lo abbiamo già detto e lo ripetiamo: dove non arriva il denaro l'ambizione arriva certamente, e fra gli arbitri qui presenti che sono i più noti del mondo, tutta una piccola lotta subacquea si combatte ora per arrivare al grande onore di dirigere la finale del campionato del mondo. Un austriaco [sic: in realtà tedesco], Kreitlein, ed un ungherese, Zsolt, paiono essere i candidati preferiti. In quale stato di mente questi due arbitri od altri ancora entreranno in campo nella finale se ad essa parteciperà l'Inghilterra? 
Il Comitato organizzatore poi, quando ha visto il grande ricupero effettuato dal Portogallo nella gara dei quarti di finale contro la Corea del Nord, si è spaventato ed ha addirittura invertito la data delle due semifinali, da lunedì a martedì, lasciando così un giorno di più di riposo alla squadra inglese, ed ha anche spostato la sede della seconda semifinale da Liverpool a Wembley per far giocare gli inglesi stessi sul campo che non hanno mai abbandonato durante tutto il torneo. Il fatto ha provocato vivaci e risentite reazioni nell'ambiente nordico dell'Inghilterra che voleva vedere all'opera la Nazionale del Paese almeno una volta, ed un giornale di Liverpool — il «Liverpool Echo» — si è fatta eco, proprio come dice il suo nome, delle vivacissime proteste del pubblico della città e della vicina Manchester.
Noi siamo molto rispettosi del senso di dirittura e di onestà degli inglesi. Ma sappiamo pure che leali e schietti essi lo sono fino al momento in cui gli interessi del loro Paese non vengono a essere in contrasto con quelli di altri. Ricordiamo fin dagli anni in cui eravamo studenti quassù, una frase scultorea che nel consesso massimo del Paese era stata pronunciata dal «premier» Gladstone: « My country, right or wrong, but my country » («Il mio Paese, abbia esso ragione o torto, ma innanzitutto il mio Paese»).

"La Stampa", 26 luglio 1966, p. 8