Dolenti note

Le cronache di Monsù
L'ultima coppa del mondo

18 luglio 1966

Un altro sciopero dei poligrafici impedì a "La Stampa" di andare in edicola domenica 17 luglio, giorno successivo al rovescio subito dagli Azzurri per mano dell'undici sovietico. Sul giornale del lunedì, Pozzo - in due contributi - espone le ragioni del pessimo momento vissuto dalla nazionale, improvvisamente spenta ma con una carta ancora da giocare per restare a galla. Nel secondo, il vecchio CU fa un breve bilancio generale sul torneo, nel quale si è concluso il secondo turno.


Sunderland, lunedì mattina.
Le impressioni negative riportate assistendo al primo incontro sostenuto dai nostri calciatori sui campi inglesi non erano sbagliate: la squadra italiana aveva battuto il Cile giocando male, però, sabato, non ha migliorato troppo il suo rendimento ed è stata sconfitta per 1 a 0 dall'Unione Sovietica, che ha segnato il suo goal con l'ala destra Cislenko all'11° minuto della ripresa. Una seconda brutta giornata per gli azzurri, e di fronte ad una squadra per nulla trascendentale. Quella della Russia non può infatti essere considerata una grande formazione nel senso tecnico del termine. E' una compagine di discreto valore e nulla più. E' priva di fantasia nella sua attività, e contro di noi non ha dato prova che di una sola dote, la superiore velocità. 
E qui siamo alle dolenti note per l'unità degli azzurri. Il suo contegno quassù, nel nord dell'Inghilterra è — l'abbiamo già detto e dobbiamo ripeterlo — addirittura incomprensibile. Giocatori che sino a ieri, pur senza arrivare al livello dei grandi campioni, erano però degli elementi di levatura superiore alla media, si sono come smarriti non appena varcata la Manica. Ne risulta che la squadra non si muove sul terreno né come sa, né come può. Chi la conosce e la segue da tempo sa che essa si può portare due, anche tre volte meglio di quanto faccia in questa edizione della Coppa Rimet. 
Sul terreno di Sunderland, gli stessi tifosi nostri giunti allo stadio animati da buone intenzioni, con bandiere, trombe e molto entusiasmo, sono ad un certo punto ammutoliti per lo spettacolo che veniva loro offerto. L'undici italiano praticamente non ha giocato, anche se un leggero miglioramento è stato possibile riscontrarlo nei confronti della Nazionale che aveva pur battuto il Cile. 
I difetti degli azzurri sono ovunque, sono difetti di tecnica e di temperamento. Nemmeno la difesa che ha sempre costituito la nostra forza maggiore si porta adeguatamente. Di fronte ad un attacco avversario che si faccia avanti essa si ritira, ed invece di affrontare i rivali lontano dalla propria porta, dà loro battaglia alle soglie o addirittura dentro l'area di rigore, ovvero nella zona più pericolosa perché da quella distanza può sempre venire scoccato dagli avversari il tiro del goal, il tiro decisivo come è accaduto ieri al russo Cislenko. 
Gli avversari invece vanno affrontati senza paura a centro campo, non bisogna avere timore negli interventi, occorre avere coraggio singolarmente e non ripiegare sino a quando si sentono i compagni vicini, come per avere da loro un aiuto. E' come ammettere di essere inferiori, una tattica del genere, e sembra davvero una tattica dettata dalla paura, una sensazione che nello sport può bloccare i muscoli, se l'atleta non reagisce e se ne lascia impadronire. 
Ai tempi nostri, ci si scusi se li ricordiamo una volta tanto, la battaglia, quando era necessaria, si dava a metà campo, in una zona cioè dove, se battuti una volta, c'era ancora tempo e spazio per riprendersi, per recuperare, per rincorrere l'avversario lanciato verso il portiere nostro. Qui in Inghilterra, giocando a questo modo, se i nostri avversari sanno tirare in porta, noi finiremo per incassare ogni volta una quantità di reti. Ed un fatto del genere sarebbe già avvenuto contro il Cile, se i cileni avessero avuto dei tiratori dotati di precisione, ed una sconfitta più forte l'avremmo subita da parte dei sovietici stessi, se questi pure avessero saputo portare meglio a termine i loro attacchi. 
Dopo due partite, un bilancio davvero deludente per il calcio nostro, almeno per quanto ha dimostrato sinora. Fortunatamente la squadra azzurra ha ancora la possibilità e l'occasione di qualificarsi per i quarti di finale. Basta che si batta martedì la Corea del Nord sul terreno di Middlesbrough e la rappresentativa azzurra salirà a quattro punti nella graduatoria del suo girone, fuori della portata del Cile che ha un punto, ed anche se superasse la Russia non arriverebbe che a tre. Se gli azzurri non chiuderanno almeno alla pari con la squadra asiatica, il disastro per noi sarebbe completo. 


Sunderland, lunedì mattina.
Adesso ci troviamo a sperare di battere la Corea, quasi a temere di non riuscire nell'intento. Questo il risultato delle impressioni negative riportate sul conto della squadra nostra dopo la vittoria, senza troppo merito, sul Cile, e la purtroppo meritata sconfitta subita ieri ad opera dell'affatto trascendentale selezione dell'Unione Sovietica. Se almeno i giocatori russi si fossero mostrati nel frangente dei campioni di statura internazionale, la battuta d'arresto della formazione azzurra — stavolta senza Rivera — parrebbe meno dura: invece Cislenko e colleghi hanno superato i nostri rappresentanti nella velocità e nella decisione, due fattori che nel calcio hanno grande importanza, ma non sono come la tecnica e la classe: velocità e decisione si possono avere sempre, basta volerlo ed essere in buone condizioni fisiche, mentre tecnica e classe sono cose più difficili, sono il frutto di un lungo lavoro o di una particolare predisposizione allo sport della palla. 
Per il calcio nostro, qui giunto con aspirazioni non di vittoria finale ma certamente di buon comportamento, il risveglio è stato duro dopo le partite con Cile ed Unione Sovietica. Delle debolezze dei nostri attaccanti già eravamo abbastanza certi, per le numerose dimostrazioni in tal senso date anche in campionato, ma non ci si aspettava di vedere anche i forti difensori, i Salvadore, i Rosato, i Burgnich ed i Facchetti, cedere cosi chiaramente di fronte agli avversari, ripiegare disordinatamente verso Albertosi, invece di giocare decisi fuori dell'area di rigore. Per i nostri ogni partita è un affanno, le sconfitte diventano inevitabili. Si può ancora sperare nel prossimo futuro, nel proseguimento della Coppa Rimet, ma ormai abbiamo deluso la grande attesa che ci circondava. L'aria d'Inghilterra ha tolto le forze ed il coraggio agli atleti nostri. 
Intanto, guardando i campionati da un lato più generale, dopo quattro partite per girone la situazione comincia a diventare più chiara in questa mastodontica manifestazione che è il campionato del mondo. Ognuna delle sedici squadre è comparsa in campo due volte ed i risultati — spesso contraddittori nella loro essenza — hanno fatto sentire il loro effetto. Significativo è il fatto che due sole squadre già a questo punto della tenzone figurino a punteggio pieno. Esse sono quella del Portogallo del gruppo 3°, e quella della Russia del gruppo 4°, il nostro. Il Portogallo ha avuto la fortuna di incontrare l'Ungheria prima che questa avesse trovato il suo miglior grado di forma, e l'ha battuta clamorosamente. Poi, con la Bulgaria, ha avuto relativamente la vita facile. E' la squadra che ha segnato il maggior numero di reti, quella del Portogallo: sei reti, e la sua potenza di attacco è quella che, assieme alla forza di costruzione dell'Ungheria, maggiormente ha impressionato finora nel torneo. 
Come forza penetrativa in un torneo che fino al momento presente ha visto le teorie difensive prevalere su quelle offensive, si sarebbe stati disposti a dare la preferenza all'undici della Germania. Fino a ieri. Poi, ieri stesso, i tedeschi si sono fatti bloccare sullo 0-0 dall'Argentina, e il fatto ha sorpreso tutti quanti. Contro i sudamericani, la Germania ha presentato una formazione diversa dalla solita: con Haller in posizione di mediano laterale e con Bruells, conosciuto anche in Italia, come mezzala destra. 
Gli argentini si sono battuti, a base di gioco stretto e minuto come al solito, in modo rabbioso. E, detto fra parentesi, l'incontro ha dato luogo alla prima espulsione di un giocatore d'attacco. Il calciatore espulso è stato il mediano laterale Albrecht il quale, dopo di avere commesso un fallo di violenza inaudita, ha tentato invano la solita commedia di buttarsi a terra come se si trovasse in agonia. Una commedia, detto fra parentesi, che si ripete anche qui con troppa frequenza. L'arbitro, che ad essa non ha creduto affatto, è stato lo jugoslavo Zenecnic [sic]. L'argentino Albrecht rifiutò dapprima di ubbidire all'ordine di espulsione, un fatto questo che da parte dei sudamericani era successo anche a Torino, e dovette intervenire un dirigente argentino per costringerlo a lasciare il campo. 
La più forte impressione di tutte l'ha lasciata comunque finora l'Ungheria, per il modo in cui ha giocato e vinto contro il Brasile. La partita che i magiari hanno svolto sul campo dell'Everton a Liverpool è stata di una bellezza tale da far riconciliare col gioco le persone più seccate dalle tendenze moderne. I magiari non sono ricorsi a complicazioni di gioco. Essi hanno svolto i loro temi in modo semplice e naturale, tanto da fare parere facile il difficile. Un modo di comportarsi, questo, che ha richiamato alla memoria il gioco di una volta. E i brasiliani hanno confermato a tutti quanti che la loro squadra, quando non compare in campo il divo Pelé, perde la metà del suo valore. I sostenitori del Brasile quasi si offendono quando si dice loro questa grande verità. Essi sostengono il principio che è il Paese intero ad essere forte, ed a possedere una produzione di elementi di valore che gli altri non hanno. Un principio che stavolta ha ricevuto un colpo formidabile. 

I due articoli sono apparsi su "Stampa Sera", edizione del lunedì, 18-19 luglio 1966, rispettivamente in prima e a p. 8