L'ultima coppa del mondo
21 luglio 1966
21 luglio 1966
Con toni amari (e sarcastici nella chiusa), Pozzo ricorda (giustamente) di essere stato uno dei pochi che avevano lanciato segnali d'allarme in tempo utile. Rimangono ora e ancora senza risposta le domande sulla conduzione, la formazione, l'atteggiamento della squadra in campo.
Middlesbrough, 20 luglio.
Il crollo della nostra squadra ha colpito tutti gli italiani presenti — e beninteso anche coloro che, non italiani, credevano nel valore degli azzurri —, è stato come un colpo di fulmine. Noi diciamo, come prima cosa, che ci vuole un po' di coraggio per dichiararsi sorpresi da quanto avvenuto. Noi, fin da quando la squadra arrivò in Danimarca — non ancora in Inghilterra, cioè — abbiamo dichiarato subito, e lo scrivemmo anche in chiari termini, che l'undici nostro non aveva giocato come al solito. Il gioco fluido e convincente, svolto in tre delle quattro partite, qui in Inghilterra non c'era più, è stato un'ombra di quello svolto in quelle circostanze. Il gioco stesso non è venuto mai alla ribalta.
E' una cosa, questa, che hanno visto tutti. Molti hanno anche approfittato del fatto per riprendere apertamente i motivi polemici che avevano già sviluppato in Italia. Ma, nella possibilità di qualificarsi per i quarti di finale, quasi tutti hanno continuato a credere, magari anche fermamente. Noi guardavamo agli avvenimenti, e più si andava avanti e più si radicava in noi la convinzione che, se non avveniva un cambiamento nel modo di funzionare della squadra, si sarebbe finiti male. Sono cose, queste, che non diciamo ora, ma che abbiamo scritto in caratteri chiari e da Copenaghen, subito dopo l'ultima partita di preparazione, e da Sunderland dopo il primo incontro ufficiale del torneo, quello contro il Cile. E le nostre considerazioni pessimistiche le abbiamo confermate a seguito della gara perduta con l'Unione Sovietica.
Ora il disastro si è verificato. La squadra ha perso, il pubblico si e schierato tutto dalla parte dell'avversario nostro, deridendoci anche. E la nostra è la compagine più commiserata di tutte quelle che sono convenute in Inghilterra. Qualcuno qui cerca di trovare consolazione pensando al modo come sono andate le cose per il Brasile, che veniva considerato come vincitore assoluto del campionato. Qualcun altro pensando anche che né la Svizzera, né la Francia, né la Spagna e nemmeno il Cile ed il Messico sono andati meglio di noi. Qualcun altro arriva perfino a ricordare che la nostra sorte è stata così triste come quella subita dall'Inghilterra nell'altro campionato del mondo, ad opera del misero undici degli Stati Uniti. Consolazioni, tutte queste, dei disperati, vien da rispondere: mal comune mezzo gaudio.
Noi, cioè i giocatori nostri erano venuti fin quassù con ben altre prospettive ed altre speranze. La fortuna non si è schierata dalla parte nostra. E' questa una circostanza che abbiamo già menzionato e che occorre qui ripetere, ma il valore intrinseco dell'undici era tale da rendere possibile alla compagine italiana di elevarsi anche al di sopra della sorte. Ed il modo in cui siamo crollati, così miseramente, autorizza a supposizioni, congetture e considerazioni diverse.
Abbiamo messo in campo diciotto giocatori diversi in tre partite, ed in nessuna di esse il funzionamento ha soddisfatto. Nell'incontro ultimo, quello che doveva decidere della nostra sorte nel torneo, la formazione ha stupito tutti quanti, perché in nessuna delle partite di preparazione essa era stata nemmeno provata. Perché tanti uomini nostri sono apparsi talmente fuori forma? Perché la squadra ha battuto genericamente in ritirata, ogni volta che l'avversario si è fatto avanti più o meno baldanzosamente? Perché la nostra difesa, che rappresentava il baluardo della nostra sicurezza, è apparsa improvvisamente così sconnessa e titubante? Perché la nostra prima linea non ha combinato nulla di buono? Mistero.
E concludiamo che con tanta aperta discordia regnante nel nostro ambiente, con tanta gente che si atteggia a tecnico, ad ultraesperto, che assume atteggiamenti da generalone, con tanta gente che esprime giudizi inesorabili su tutto e su tutti, la nostra impresa in terra britannica — che pure si presentava in forma lusinghiera — era condannata all'insuccesso fin da prima che cominciasse. In Italia il nostro pubblico è composto tutto ed esclusivamente da maestri, da professori, da tecnici di levatura insigne — gelosi tutti quanti, fino all'ultimo sangue, l'uno dell'altro.
"La Stampa", 21 luglio 1966, p. 8