Elogio dello spirito danese

Le cronache di Monsù
L'ultima coppa del mondo

6 luglio 1966


Nell'estate del 1966 l'Inghilterra ospitò la Coppa del mondo, e Vittorio Pozzo - a ottant'anni già compiuti - fu l'inviato principale nell'isola del suo giornale. Seguì la manifestazione dall'inizio; ovviamente trasmesse i suoi resoconti e le sue osservazioni sull'infelice spedizione italiana, ma rimase in loco sino alla finale. Fu l'ultima grande fiera mondiale del football cui Monsù poté partecipare. Mancò solo nel 1930, ma era già stato presente ai tornei olimpici degli anni precedenti, che in alcuni casi si configurarono come autentici campionati mondiali. 
Così, iniziamo a seguire le sue rotte. Il 6 luglio è a Copenaghen, dove gli Azzurri giocano l'ultima partitella di preparazione. Il pezzo dettato da Monsù - che lascia ad altri inviati il compito di informare sulle condizioni dei nostri prodi - è tutto dedicato al modo di vivere il calcio della gente di Danimarca. Un pezzo magnifico.


Copenaghen, 5 luglio.
Geograficamente parlando, la distanza che intercorre tra l'Italia e la Danimarca non è poi troppo grande. Al giorno d'oggi si può raggiungere Copenaghen da Milano molto comodamente in un'ora e cinquanta minuti di volo. Sono le abitudini di vivere dei due popoli che sono piuttosto diverse nell'un caso dall'altro. Nel senso calcistico del termine, per esempio, gli italiani ed i danesi vivono come ai due estremi opposti d'uno stesso emisfero. Da noi, perché un giocatore voglia tirare dei calci secondo certe regole e secondo le consuetudini del momento, bisogna pagarlo più d'un direttore di banca, a base di tariffe cioè che hanno per unità di misura i milioni a decine. Qui in Danimarca il giocatore invece, anche quando assurge agli onori della squadra nazionale, non viene ricompensato col becco d'un quattrino. Al contrario, per poter giocare, egli deve pagare alla società che lo assume una determinata quota mensile. 
Questo spiega perché il calciatore danese sia un genere di così facile esportazione al giorno d'oggi. In Italia ne abbiamo avuti parecchi, e se attualmente il loro numero è ridottissimo, il fatto è dovuto alle restrizioni nostre e non da altro. Ora ve ne sono, di giocatori, in Germania, in Olanda, in Belgio, in Francia, un po' dappertutto. E nella sola Scozia vi sono giocatori della Danimarca fra i migliori. Tanto da poter formare, se si volesse, nella Scozia stessa, un'abbondante squadra nazionale. 
Questo spiega perché la Danimarca non possa in questo periodo venir considerata come uno dei Paesi nei quali il gioco del calcio abbia raggiunto una levatura tecnica eccelsa. Vi si gioca molto, ecco tutto, e i calciatori di talento vi sorgono per via naturale, come i fiori in un giardino. E se essi vogliono fare strada o in qualche modo guadagnare dei soldi, sono costretti ad andarsene senz'altro all'estero. Si tratta di gente intelligente, disciplinata, rispettosa, che sa fare molto bene il dovere proprio. Basta pensare al buon ricordo che hanno lasciato di sé nelle squadre i diversi Hansen, Nielsen, Soerensen, Praest, Pillmark. Attualmente, per citare un esempio, i figli di John Hansen e di Karl Hansen giocano e si distinguono nella compagine nazionale giovanile danese che incontra gli altri Paesi scandinavi.
Domenica scorsa la federazione danese, per contrapporre una formazione a quell'undici dell'Inghilterra che aspira a vincere in casa propria il prossimo campionato del mondo, ha dovuto allineare sette ragazzi della categoria dei «sotto i 23 anni», tre esordienti e un solo elemento anziano. Questa volta, per far fronte ai giocatori azzurri, metterà in campo cinque degli elementi che hanno militato contro gl'inglesi, qualche altro esordiente, assieme a diversi uomini che una certa esperienza già la posseggono. 
Se la nuova compagine che porta il nome d'una combinazione fra le diverse società di Copenaghen — una 'Alleanza', come volentieri la definiscono quassù — riuscirà a riprodurre il grado di forma sfoderato domenica contro i britannici, la partita sarà bella, vivace e interessante, se ne può stare certi. Simpatica, cioè priva di falli, di violenze e in genere di brutalità, essa lo sarà senza altro. Il pubblico danese poi è uno dei più corretti che ci si possa augurare ed immaginare. Sostiene, com'è naturale, i rappresentanti dei propri colori. Ma non dà prova di nessun fanatismo, non impreca, non insulta. Il suo aiuto ai propri beniamini lo esprime con un ritmico batter di mani che pare quasi non avere un indirizzo determinato. Domenica, due dei giocatori inglesi hanno fatto ricorso a certe scorrettezze di gioco veramente riprovevoli, tanto da venire severamente richiamati all'ordine dall'arbitro. Il pubblico non ha reagito, non è esploso affatto in escandescenze notevoli. 
La formazione in cui scenderanno in campo le due squadre viene annunciata a parte. Gl'italiani allineeranno una squadra che si può schiettamente considerare come una delle migliori possibili in questo momento. Mancherà Bulgarelli, che ancora soffre dei postumi di una lesione riportata l'altro giorno a Firenze contro il Messico. Ma gli accordi intervenuti con i dirigenti danesi offrono la possibilità di cambiare nel corso della partita, oltre al portiere, altri quattro uomini. I nostri giocatori, nella seduta di preparazione tenutasi stamane su un campicello lontano più di quaranta chilometri dalla capitale, sono apparsi sciolti, freschi, disinvolti. Di nervosismo la squadra non reca più nemmeno la minima traccia. L'ambiente nel quale sono confinati, a breve distanza dal castello che Shakespeare rese celebre, pare fatto apposta per indurre alla calma ed alla riflessione. L'incontro di preparazione di domani dovrebbe essere uno dei migliori che si possano desiderare.

ITALIA: Albertosi; Burgnich, Facchetti; Rosato, Salvadore. Fogli; Perani, Lodetti, Mazzola, Rlvera, Pascutti.
K.B.U.: Nielsen; Larsen, Worbye; Petersen, Hellbrandt, Moller; Laudrup, Olsen, Klint, Sondergaard, Machon.

"La Stampa", 6 luglio 1966, p. 9